Paulo Dybala non sente la partita, è un professionista, ed è un professionista serio. Sente però il momento, è un uomo, come ha ribadito in una recente intervista nello scherno generale. La deve preparare tra voci, frasi, schiamazzi. Tra le parole. Mettendoci dentro anche quelle del mister. Sarà una partita nuova, infrasettimanale, a fare la punta; sarà una partita normale, con il gol di tecnica precisa in velocità anche quasi con le gambe all’aria (quando la testa torna a dominare il corpo), dalla sua posizione, al secondo respiro concesso da Gentiletti. Normali le botte, le spalle alla porta, la condizione di eletto per guadagnarsi la sufficienza. Sei e mezzo.
Paulo Dybala non si è ripreso la Juve. Si è riposizionato dentro la Juve. E, forse, con questo nuovo spartito che guarda avanti, lo chiamano moderno, si è forse anche divertito. Le punizioni verranno, così come il primo tocco della partita non offerto agli avversari. Sono normali anche le altre cose, ed è per questo che Allegri lo vuole spingere più avanti, altrove, nel mondo di quei cinque o sei là, uomini che si dedicano al concetto di Champions con la stessa naturalezza con cui Dybala abbraccia il nuovo amico Matuidi, certezza in più insieme al primo della lista Barzagli, a Buffon, a Higuain. Sei al sette.
Sono piccole cose, come un quarto di Coppa Italia da giocarsi contro il Torino due giorni dopo capodanno. Viene quasi voglia di giocarlo, vero Paulo? Piccole schegge attraverso le quali si torna all’essenziale: alla prima sgroppata a testa bassa Cofie sembra Casemiro, serve un passo indietro per farne dieci in avanti. Per esempio appoggiarsi a Marchisio che ha cinquanta minuti di chi vuole spaccare un lungo tormento, oppure venire incontro per l’appoggio semplice che apre alla riconquista del campo. Fa parte dell’essenziale anche calciare due punizioni contro la barriera: il calcio è terra, corpi, imperfezione, cose che devono accadere al momento giusto. Come un’apertura da destra a sinistra, una saggia gestione combinata della ripartenza, un appoggio di testa convinto. Sette più.
Per il settimo gol da fuori area, sui quindici stagionali, qualcuno è già pronto a correggere il tiro. Non Allegri, che lo vuole portare là dove la squadra lo può esaltare, e viceversa. Non solo a parlare la stessa lingua di Douglas Costa, Bernardeschi e Pjanic. Lassù nel 4-3-3, primariamente da destra, protetto e innescato da vicino, quando la catena avrà migliore padronanza della questione. La Juve, per la prima volta in due anni abbondanti, esce dalla verve-dipendenza che si era creata intorno all’idea concreta che nelle difficoltà ci si affidasse a lui. Dybala non è più il salvatore, Dybala non è più soffocato. Ne possono uscire una serie di Dybala nuovi, anche quelli che mancavano. Dieci (di cui uno così, normale, fatale, con il gol e tante altre cose carine).
Luca Momblano.