Per parlare di Paradiso, partiamo dai gol.
Due gemme così profondamente incastonate nella corona di una notte da regina europea da restare dietro le palpebre tutta la notte.
La Juve ha una fase difensiva tale da frantumare record europei secolari e annichilire attacchi da oltre 150 gol in stagione, ma è la qualità di quelli che estraggono e raffinano gemme e diamanti a fare la differenza.
Il primo.
Dopo un contrasto rude su Glik la Juve restituisce il pallone al Monaco che però per la prima volta negli ultimi minuti non arriva fino al fenomeno Buffon. È il 28° e, dopo 15 minuti di Juve sontuosa, il Monaco ha bussato 2-3 volte: pressing deciso, esterni arrembanti e cross insidiosi per la pantera Mbappé.
La Juve inizia un giro palla da sinistra a destra, da Alex Sandro a Barzagli che pesca sicuro Marchisio in posizione defilata ed arretrata. Claudio pare vispo e guizzante. Dopo anni di solitudine davanti alla difesa, ritrovarsi ora in due (con Pjanic) e nella sua prima grande notte di Champions lo rende volitivo e frizzante. Marchisio non ritorna dai tre centrali ma con un elegante lob va da Dybala che però è schiacciato sull’out e pressato da due uomini.
A quel punto la Joya in una frazione di secondo intuisce che l’unica mossa funzionale è sfoderare una delle cose più belle da vedere su un manto d’erba: tacco volante di prima quasi sulla linea ad innescare Dani Alves. Il primo prodigio è compiuto. Dani, avvezzo a migliaia di giocate del genere di Messi e Iniesta, non è rimasto in zona centrale titubante, ma, prima ancora che il tacco di Dybala impatti il pallone, si è già scaraventato nella pista lasciata aperta dai monegaschi fiutando la traccia magica che l’argentino avrebbe aperto.
Questa è la differenza tra avere fenomeni avvezzi a giocare a livelli siderali e giocatori normali: l’intuizione, l’intelligenza e l’audacia senza palla, la voglia matta di vincere e credere all’assalto della porta altrui, l’abitudine ad un gioco associativo dipinto tra gli astri. Dani non solo segue il sentiero, non solo ha già visto Higuain perno centrale, ma soprattutto, dopo averlo servito, corre come un demonio fino in fondo, incuneandosi tra i due difensori monegaschi che se lo vedono piombare in area quasi senza senso. Il senso è ancora quello di vedere il futuro, sfidare la sorte con l’audacia della qualità stellare. Dani sa che Higuain non avrà incertezze, che lo servirà profondo, che lo armerà nel ventricolo sinistro del Monaco premiando la corsa matta nel nulla.
Ed è così: il passaggio di ritorno di Higuain è una linea immaginaria del coraggio, è la diagonale netta del destino sul palmo destro della Juve di Champions e apre le acque dei difensori di casa allineandosi alla corsa da indio di Apocalypto, da giaguaro, di Alves. A quel punto l’uomo che ha già visto il futuro, e nella stessa azione ha già scommesso sulla doppia giocata dei due compagni argentini, potrebbe mai titubare in mezzo a due avversari e spalle alla zona calda? Mai! Dani, l’uomo delle stelle e tra le stelle, spalanca il terzo occhio del top player e di tacco (ancora!) mette la sfera alle spalle dei suoi marcatori, alle spalle di quegli altri che potrebbero tamponare Higuain, alle spalle di tutti noi che dobbiamo voltarci per ammirare il destino dei Top Player compiersi, roteare gli occhi cercando di capire cosa ha presagito la testa matta e gloriosa di quel folle brasiliano.
Solo a quel punto, tutti capiscono: i difensori Monaco, i 18mila allo stadio, i milioni di cuori tifosi impazziti, tutti ignari e con la bocca a O aperta. Tutti tranne Higuain che, per la terza volta in 30″ ha fiducia e visione: Dani ha visto lo spazio nel cuore molle del Monaco, il punto esatto dove il suo partner nella fulminea copula europea si ritroverà a suggere quel passaggio poetico. Pipa ci arriva e, con una fame atavica che è la nostra con la sua, che è quella del campione perdente, la dannata voglia di rovesciare una sorte di sequele di finali perse, tocca con una zampata tanto famelica quanto carezzevole, sfrontata quanto saggia. 0-1.
Se uno solo dei nostri 4 non avesse fatto (e rifatto) esattamente quel gesto, il lob, il tacco volante, lo scatto, il passaggio profondo e millimetrica, il tacco alla cieca, la zampata, tutto il castello difensivo bianconero sarebbe stato meno brillante e leggendario. Ogni gol che non nasce dal complesso di prodezze e gesti solitario ma da azioni così mirabilmente compiute non finisce mai di stupirci per l’ineluttabilità eppure fragilità dei singoli eventi che si concatenano. Nell’azione del primo gol c’è la sensibilità dei piedi, c’è l’empatia visionaria di talento sudamericano, poi c’è la coordinazione di fisici e corpi così diversi, ma così proiettati all’unisono verso la rete. Nel primo gol poi c’è l’orgoglio del riscatto di Marchisio, la voglia di stupire ancora di Dybala, c’è la rabbia calma di Higuain nel sentirsi decisivo anche in Europa e poi c’è il mix sublime di classe, coraggio, follia e magia sprigionato da Alves.
Il Secondo.
Se lo 0-1 è come danzare di notte, come fare l’amore al buio e visitare una galleria d’arte in preda a sostanze allucinogene, ed è il trionfo poetico di tecnica, fiducia e visione, il secondo è invece il dialogo visibilissimo degli stessi tre talenti. 58°.
Il Monaco sta sviluppando il massimo dello sforzo e la Juve esce bene ma sterile. Proprio al tramonto del primo tambureggiamento dei francesi, Bakayoko va ad infilarsi nella sua metà campo in un vicolo cieco, gigante mascherato contro due sgallettanti brevilinei piranha –Dybala e Alves– unici ad unire classe magistrale a sacrificio e bramosia di riconquista palla. Qui c’è il primo dialogo, un codice braille tra campioni: Dybala, che ha opposto il primo fastidio a Bakayoko legge negli occhi di Alves la certezza di completare l’opera di recupero palla. Paulo guarda per un istante Dani, l’elettricità che il brasiliano sprigiona gli dicono che di lì a poco dovrà agire da sponda. È stupefacente come Dybala in un istante decida di NON continuare ad aiutare Alves nel pressing ma di spostarsi di un metro pensando già a creare spazio per la triangolazione.
Alves infatti con un solo movimento toglie palla al rivale, assiste Dybala -che si è messo in posizione ideale- e si libera di Bakayoko avanzando sulla fascia. Il movimento di Dybala è ancora una volta elegantissimo e scaltro: fa dei passetti verso il centro ma, SENZA GUARDARLO, serve d’esterno Dani Alves che ovviamente è già lì –dialogo invisibile-.
Ancor più spettacolare -e plateale- la comunicazione Alves-Pipa: Higuain prima taglia centrale, poi si allarga guardando fisso Alves e alza la mano nel momento in cui incontra i suoi occhi: “mettimela lunga, alta, vado sul secondo palo, dietro il difensore, scavalcalo, fammi sognare come sai fare solo tu!“, tutto questo con un braccio alzato e un movimento del corpo.
A quel punto Dani Alves sa dove metterla, sa che Pipa sarà lì, sa che sarà il 2-0, sa che deve coordinarsi ed eseguire un gesto che non è quello di un cestista che con le mani tira per la millesima volta dalla medesima posizione sul medesimo canestro a non importa quale velocità. No. E’ un calciatore che si trova in una zona unica e singola e, con i piedi, dovrà lanciare la palla con quei precisi giri, a quella precisa velocità e con quel preciso tempismo, a scavalcare il difensore e trovare, in un preciso punto dell’area che è esattamente quello dove scivolerà il suo compagno nel lasso di tempo che va dal braccio alzato all’esecuzione e traiettoria del cross. Dani sa. Pipa sa. Tutti sanno, stavolta. E nondimeno è stupefacente la precisione del tutto e ancora l’inevitabilità del gol. DUE a ZERO!
Se col Barcellona la Juve aveva segnato d’assalto e prodezza (i due diamanti della Joya) e di strapotere fisico (Chiellini dal corner), a Monaco i bianconeri segnano e vincono con una congiunzione astrale, per nulla casuale, nella quale se unisci tecnica, esperienza, capacità associativa e voglia di tre giocatori come Dybala, Alves e Higuain la palla la metti dentro, le gare le vinci, in Champions arrivi fino in fondo.
Tutto questo poi si poggia sulla leggendaria fase difensiva, sull’assurdo ennesimo clean sheet contro Barcellona e Monaco che ne hanno fatti 302 (TRECENTODUE) in stagione. Tutto poi si fonda e si arrocca dietro le prodezze del singolo, del difensore estremo della bellezza confezionata dai tre davanti: Gigi Buffon. Il Pallone d’Oro dei Palloni d’Oro mancati. Ad Allegri basta solo metterli in campo, scegliere gli uomini, fidarsi di loro ed incastrarli alla perfezione.
A noi basta solo sognare, ad un passo dal Paradiso. E attenderlo come magico e non dannato.
Sandro Scarpa