Dimenticare Berlino. Dimenticare Tevez e il problema dell’assuefazione al grande campione. E poi dimenticare Vidal, l’anima di un grande amore, mentre devi salutare Pirlo, colui che rimesso al centro delle cose aveva reso tutto possibile. Dimenticare tutto, dopo che un anno prima avevi dovuto dimenticare Antonio Conte. Dimenticare. Ripartire.
Dimenticare. Senza dimenticare come si vince.
Più difficile di così…
Questa è una storia di spettri e di banchi di prova, di tentativi ed errori, di spaventi cancellati da numeri senza precedenti.
Di mezzo ci sono il secondo anno di Allegri, Coman che saluta contro la volontà di tutti, i 66 milioni di euro investiti per Paulo Dybala e Alex Sandro. La scommessa della vita e la classica operazione che ti attira i fucili addosso.
Questa è la storia del quinto scudetto consecutivo della Juventus targata Andrea Agnelli e nessun altro. Con la gentile e sentita e applicata partecipazione di tre uomini su tutti: l’amministratore e direttore Beppe Marotta, il braccio armato Fabio Paratici e lo specchio societario sul campo: Gigi Buffon.
Una storia senza precedenti. Una storia tutta italiana. Con un padrone solo e tanti sudditi affannati che si sono sentiti re per un giorno senza guardarsi intorno.
Dapprima l’illusione, mentre il primo trofeo stagionale era già in tasca della Juventus. L’unica cosa che fin lì contava (la Supercoppa). Poi la cruda realtà delle gambe che non girano e della bussola da riconfigurare. Serve arrivare al 20 settembre, quarta di campionato a Marassi contro il Genoa per sospirare con la prima vittoria in campionato.
Intanto l’Inter è andata. Un colpo qua e un colpo là, un golletto qua e un Handanovic là e c’è già chi se la ride. Della tenace sfida a due con il Napoli non c’è traccia. E’ proprio un campionato nuovo, forse.
La Juventus lo capisce a Sassuolo in un sabato di fine ottobre: serve davvero qualcosa di nuovo. Un capolavoro mai visto prima. Per provarci, quando le sentenze di morte erano già state scritte, c’è stato anche bisogno delle sberle verbali dei senatori. Dei confronti a casa Agnelli e nei cunicoli di Vinovo.
Allegri non si scompone, almeno al di fuori. Ed è l’arma in più. Il punto era piuttosto trovare la miccia, quindi un punto netto e chiaro dove accendere la fiamma e i motori della fuoriserie Juventus. Oggettivamente, a livello di profondità di organico, la miglior Juventus del quinquennio. Quella miccia è nascosta sotto la natica di Juan Cuadrado, e spunta nel minuto finale di un derby casalingo spettacolare quanto sofferto.
E’ l’inizio di una cavalcata vissuta letteralmente alla giornata. A Torino la testa resta bassa. Proclami, giustamente, non ce ne sono più. Allegri dice di guardare a Natale. Deve fare delle imperfezioni virtù: arrivano le vittorie ciniche e silenziose di Empoli e Palermo, le impronosticate partite da dentro o fuori contro le milanesi.
La missione è chiara: anestetizzare l’Inter a San Siro e liquidare il Milan a Torino. Succede questo e molto di più: contro i rossoneri mettono definitivamente fuori nerbo e talento Paulo Dybala e Alex Sandro. Serviranno come il pane. Anche per non dover guardare troppo indietro, all’estate, a cosa è stata e cosa poteva essere con Julian Draxler.
Da qui in avanti il racconto diventa più facile. La Juve in Italia torna ad essere un martello. La rinascita è impietosa, l’appuntamento con la leggenda è dietro l’angolo. Sarà una lunghissima festa. A darle il là ci pensa un fischione firmato Simone Zaza nell’avvelenato scontro diretto di ritorno contro il Napoli.
Era stata la settimana di Rizzoli e Orsato.
Non ce se ne ricorda più.
La Juve diventa troppo più forte. La corsa è ormai solo più contro se stessa e contro i nuovi record da stabilire. Higuain intanto va fuori giri. Pogba e compagni inseriscono il pilota automatico. Nei tabellini di fine gara, tutti più o meno uguali, entrano anche i nomi di Andrea Barzagli e Simone Padoin. Daniele Rugani diventa un calciatore.
Troppo, tutto, cinque volte tanto.
Come neppure nei sogni della proprietà (che ha la forza di gongolare a proposito della drammatica e spettacolare notte di Monaco di Baviera in Champions League). Come negli incubi di ogni avversario.
E questa gestione bianconera entra così nel mito…
Luca Momblamo