Il silenzio degli innocenti

di Antonio Corsa


È il silenzio dell’AIA, che continua a permettere alla stampa di condizionare i propri tesserati e di incidere sulle designazioni. È ora di farla finita.


Insomma, alla fine ha vinto l’ovvio: abbiamo saputo, indirettamente, che Allegri non ha mai rivolto l’espressione «testa di *azzo» a Di Liberatore e che, semmai, quella frase potrebbe tornare utile per descrivere il comportamento di altre persone, diverse dal quarto uomo (unite i puntini…).

Non vi è traccia di tale insulto nel referto arbitrale e – di conseguenza – nessun provvedimento è stato preso nei confronti dell’allenatore bianconero. Tutto chiarito, insomma, almeno formalmente. Eppure no, non basta e non va per niente bene. Non basta ai complottisti, che resteranno tali anche “a prescindere” dalle sentenze e dalle evidenze, ma non basta nemmeno a me.

Quello che è successo resta infatti gravissimo sotto vari aspetti.

Il primo è ormai l’acclamata capacità da parte della stampa di creare dei casi anche in mancanza di “sostanza”. In altre parole, non importa nemmeno più se una cosa sia vera o meno: basta parlarne, in tanti, tutti assieme (nei TG, negli editoriali, nei talk-show, sui giornali, sui social), per scatenare reazioni di indignados e moralizzatori e – soprattutto – per gridare al complotto.

«Allegri graziato» è stato ripetuto un po’ ovunque, non prendendo mai nemmeno in considerazione l’idea più semplice, ovvero quella che non ci fosse nulla da punire. Ma di questo ho già scritto, e vi rimando al mio precedente articolo.

È un modus operandi pericolosissimo, poiché si finisce per buttare merda addosso ad un professionista come l’assistente pescarese, mettendogli addosso pressioni e stress tali da indurre comunque poi il suo designatore a fermarlo (con una motivazione francamente risibile, chiaramente una scusa). E su Allegri, che non si capisce per quale motivo debba essere accusato di aver tenuto comportamenti che mai si sarebbe sognato di avere.

È pericolosissimo perché, così, la stampa si dimostra in grado di incidere, e di farlo in maniera netta, anche supportando una palese fesseria.

Il secondo aspetto gravissimo ed inaccettabile di quanto successo, è nel silenzio da parte dell’AIA. Dinanzi ad un’accusa così infamante, ovvero l’aver accettato supinamente un umiliante «testa di *azzo» senza batter ciglio, cosa che dovrebbe indignare non solo Di Liberatore (e Allegri), ma l’intera categoria arbitrale, non c’è stato nessun comunicato e nessuna smentita pubblica diretta.

Ancora una volta, questa classe arbitrale si è dimostrata incapace di proteggere i propri tesserati dagli attacchi mediatici e, ancora una volta, si è preferito scegliere il provvedimento più facile e, quello sì, frutto di sottomissione e sudditanza, ovvero il restare zitti e fermare il fischietto finito sui giornali perché avrebbe dovuto comunque riprendere o cacciare Allegri, perché urlava. Anche se non offendeva. Un provvedimento pilatesco, degno dei peggiori politici nostrani e già troppe volte visto in passato. Lo stesso, ad esempio, che si adottò con Rizzoli dopo il famoso derby “della testata” di Bonucci, lo ricorderete. Anche allora, l’arbitro internazionale venne fermato un turno, ufficialmente “per riposo”.

Di fatto, però, anche allora la stampa riuscì ad incidere raccontando una bugia e ripetendola senza una forte presa di posizione contraria talmente tante volte che nell’immaginario collettivo Rizzoli resterà per sempre “l’arbitro che si fece prendere a testate da uno juventino senza cacciarlo”.

Dinanzi a questi comportamenti scorretti, sarebbe perciò il caso che l’AIA iniziasse a cambiare atteggiamento e a mostrarsi più intransigente e più protettiva nei confronti dei propri fischietti. Siamo il Paese in cui Rizzoli, già designato per Napoli-Juve, si diede improvvisamente indisponibile causa microlesione al polpaccio, miracolosamente poi guarita in una settimana (roba che Milik fatti da parte!). Perchè nei suoi confronti si stava riscatenando una caccia all’uomo vergognosa in cui, la volta precedente, si arrivò persino a pubblicare il suo indirizzo di casa non solo violandone la privacy, ma mettendolo anche a rischio incolumità fisica.

È ora di intervenire, di farlo direttamente e in maniera cristallina e di mostrare un po’ di attributi.