Se c’è qualcosa che sta confondendo
ancora più i pensieri di noi tifosi in questo periodo già ingarbugliato è
senza dubbio la questione che riguarda i risultati opposti in
pochi giorni degli esami effettuati ad alcuni giocatori della Lazio,
che hanno permesso loro di giocare in campionato ma non in CL.
Perché è avvenuto questo?
Quali sono le responsabilità di ogni singola società sportiva?
Cerchiamo di fare chiarezza.
Nel famoso protocollo per la Ripresa degli Allenamenti delle Squadre di Calcio Professionistiche e degli Arbitri che avevamo analizzato anche in questo articolo seguente
ad alcune affermazioni di De Luca, si fa riferimento alle
responsabilità delle singole squadre di calcio professionistiche per
quanto riguarda l’attività di screening.
A pag 5 del documento si legge:
“la
Lega si adopererà, nel rispetto di quanto stabilito al capoverso
precedente, per individuare laboratori autorizzati, criteri di esami e
di trasmissione tempestiva dei referti ad un’unità terza, al fine di
garantire coordinamento e immediatezza delle comunicazioni.”
In realtà ogni società si è appoggiata al proprio laboratorio di riferimento; la FIGC non ha mai identificato un ente unico per la refertazione delle
analisi di tutti i membri del gruppo squadre delle 20 società di A con
conseguente mancata uniformità dei risultati. Qui nasce l’inghippo.
Perché la Uefa, per tutte le squadre italiane impegnate nelle competizioni europee, si affida al Synlab, gruppo presente in 4 continenti e praticamente in ogni paese d’Europa
Come è facile immaginare, rilevare il virus Sars-Cov-2 non è come
misurare la temperatura: esistono vari protocolli e vari criteri
d’indagine.
Qui serve una dissertazione di natura biologica:
L’analisi del genoma del Sars-Cov-2 (il virus comunemente chiamato
CORONAVIRUS che può portare alla malattia conosciuta col nome di
COVID-19) ha rivelato la presenza di alcuni geni denominati
E,M,N,RdRp,S: non tutti questi risultano essere infettanti e non tutti
sono peculiarità del COVID-19.
Grazie ad alcuni esami, tra cui
quello effettuato col tampone nasofaringeo, si riesce ad evidenziare la
presenza di uno o più di questi geni ma non tutti i laboratori ricercano
le stesse unità.
Per esempio alcune cliniche, a cui i club affidano le
analisi dei propri tesserati, possono riferirsi al solo gene N.
La UEFA richiede un’analisi che accerti la presenza dei 3 geni E, RdRp e N.
Stringendo lo stesso tampone può dare risultati diversi se l’analisi viene svolta da 2 laboratori differenti perché differente è il target dell’analisi e i criteri richiesti dalla UEFA sono più restrittivi rispetto a quelli che la FIGC ha stabilito per essere disponibili a giocare in campionato.
Ecco in breve spiegato perché per esempio Immobile non ha potuto giocare contro il Bruges in CL il 28 ottobre, è sceso regolarmente in campo in campionato contro il Torino il 1° novembre ed è di nuovo stato costretto a saltare la trasferta in casa dello Zenit 3 giorni dopo. I referti dei tamponi potrebbero aver evidenziato la presenza degli stessi geni, ma i criteri di ricerca diversi e da qui il responso.
Si intuisce facilmente il ginepraio
in cui si è infilata la federazione italiana non affidando ad un unico
laboratorio la processazione di tutti i tamponi effettuati dai giocatori
delle 20 squadre di serie A o quantomeno, non allinenando i parametri
dello screening sugli stessi geni esaminati per le competizioni della
UEFA.
Un garbuglio a cui ci si poteva facilmente sottrarre con più
attenzione e responsabilità fin dalla primavera, quando è stata
accordata la possibilità alle squadre professionistiche di riprendere
gli allenamenti, invece questa difformità, nella migliore delle ipotesi,
crea dubbi e perplessità, obbliga la procura della federazione stessa
ad aprire una goffa inchiesta sul modus operandi della Lazio, indagine
che ricorda molto da vicino la scena di Trainspotting in cui Begbie dopo
aver lanciato un boccale di birra dal piano superiore del pub salta
fuori con la frase “nessuno esce di qua finché non scopriamo chi è stato!”