Sarebbe la soluzione a tutti i mali, solo che forse i mali non sono quelli ma questo è un altro discorso, un altro pezzo: il tema in questione è ovviamente il tridente, possibilmente pesante secondo una trasversale platea, quindi la compresenza nell’undici titolare di Higuain, Dybala e Mandzukic. E’ una reazione più di pancia che di testa, ma è anche una riflessione seria. E nasce, allo stato profondo, da due domande:
1 – Mandzukic in campo è vitale nell’economia dell’undici attuale?
2 – Vale la pena abbandonare la centralità del centrocampo chiedendo agli avanti, in sostanza, di fare la partita?
Due sole risposte possibili, anche se a denti stretti: NO.
Il perché è presto detto: Mandzukic è tanto per questa Juve, per lo meno quella che fa fatica ad andare al recupero veloce del pallone (quindi non solo attraverso la forza permanente e pregnante del reparto arretrato più che della fase difensiva in sé: eccolo, forse, uno degli altri mali). Il croato permette di accorciare la squadra, aggiungere aggressività e densità, raddoppiare, fin’anche trascinare. Oltretutto, risistemato in qualche modo a supporto di Higuain (o a sostituirlo quasi interamente nelle opere di fatica), ha anche dato oggettivamente il suo meglio. E’ giusto dirlo e ricordarlo, proprio per non farsi condizionare dalla tremenda parentesi di Doha. Mancano i gol, che non è poco, e sarebbe stupido pensare al tridente solo ed esclusivamente in funzione di questi. Non lo pensò con questi presupposti Marcello Lippi dopo una manciata di altalenanti giornate nel 1994, lì c’era bisogno di una sterzata improvvisa, di un cambio di marcia concettuale facendo “con ciò che hai” a caccia di certezze contemporanee in tutti i reparti. Serviva, anche, sorprendere. Certo l’attacco aveva qualcosa in più del resto, sulla carta, e il “trucco” fu rimettere Vialli al centro di tutto come lo potrebbe essere Higuain non fosse che veniamo da un’esperienza vincente fondata soprattutto altrove (certo, se valesse il duplicato di quella celebre virata, oggi il quarto incomodo, ovvero il Del Piero di turno, dovrebbe essere il nostro acquisto di gennaio: Marko Pjaca).
Dunque, Mandzukic non giocherebbe per i gol, ma per alterare le dinamiche nostre e altrui. Con un impatto spirituale che in squadra hanno forse soltanto Buffon e Chiellini, neppure più Lichtsteiner, forse un domani anche Sturaro, in maniera più filosofica Bonucci. Allegri magari andrà a caccia di questa reazione a catena, fino a trovarsi pure con grappoli di gol di Mandzukic, un po’ come accadde a Ravanelli (uno che aveva conosciuto i fischi veri, al Delle Alpi).
Il punto però è altrove. Cioè 25 metrialle spalle, dove tutto nasce e tutto muore, se non sono le fasi finali dei mondiali o le ultime tre partite di Champions, finale inclusa. Da qui la risposta alla seconda domanda. Risposta anche qui, per logica, negativa: la centralità del centrocampo non può essere abbandonata, o defilata, perché il peso sul pacchetto arretrato non può subire sovraccarichi. Per lo meno, fin che resisterà come caposaldo il concetto di equilibrio. A meno che davvero società e allenatore non siano convinti che il lavoro tecnico svolto fin qui abbia imboccato una strada a imbuto. Perché fare la partita solo davanti sa tanto di sogno, fascino e spettacolo. Poi restano i risultati. Il fastidio per i 3-3 come per alcuni 0-0, o ancora 1-1 più calci di rigore.
Dunque, come pensa il mister di coniugare queste risposte con le necessità reali di una squadra costruita per proporsi (calcisticamente, non solo numericamente) come dominante?
Premessa. Tutti, anche e ancora più alla Juve, sono prima di tutto uomini di sport, ed ecco quindi che non è il trofeo in sé, andato di traverso, a mutare scelte e strategie. Ciò che porta alla riflessione tecnica è sempre e solo il come. Cioè mancare un obiettivo per assenza di prestazione, per incapacità di reagire al possesso consolidato avversario (anche quando sterile) nonché per preferire la fiducia nei singoli alla sana e antica contromisura mirata (su Suso nella fattispecie, per quanto il calcio di Allegri possa essere un calcio liquido).
Shakerare bene e Doha è spiegata.
Poi, c’è da spiegare perché non ne si vinca una, seria, in allungo. Ed ecco allora che subentra il possibile concetto di tridente che coniuga l’Allegri-pensiero (perché lo pensa veramente) alle armi a disposizione. E tutto nasce, neppure a dirlo, dal centrocampo.
Si tratta, per farla breve, del 4-3-2-1 ovvero Albero di Natale, senza portare Dybala a fare il Riquelme, strozzandone sia mai i suoi sublimi 25 metri finali; armando Higuain e ormai armortizzando il contributo posizionale di Pjanic in fase di non possesso.
Cosa c’entra Mandzukic, allora? C’entra che il tecnico pensa ad averlo e sfruttarlo sia come vice-Higuain (è qui che è facile fare gli allenatori a distanza) sia come attaccante di supporto senza aprire il tridente adattandone due su tre. Insomma, il croato resterebbe un vice dei tre titolari, ma con due posizioni nelle quali sentirsi coinvolto. A meno che Pjaca non esploda in mano alla squadra, come in tanti si aspettano. Con buona pace di Cuadrado, direbbe qualcuno. “Condannato dal sistema di gioco fin quando non lo si usa e osa anche da quarto basso” (autocit.). Beh, magari nelle turnazioni del 2-1 là davanti ci potrà anche entrare, ma attaccato alla riga il colombiano è proprio un’altra cosa. Che poi, tanto, ci saranno sempre le millemila varianti. E a queste, ciclicamente, ci appenderemo. Un po’ ci siamo anche affezionati.
Luca Momblano.
Caso Tevez, nessun tifoso si metta in cattedra
Il prossimo indirizzo di Carlos ‘Carlitos’ Tevez è la Cina, una società di nuovi ricchi con gli occhi a mandorla e la voglia di partecipare ad un campionato che conterà vecchie glorie e pedalatori riciclati, promesse sbiadite e incassatori d’accrediti.
Con la Juventus non c’entra nulla. Eppure i media continuano nell’accostamento, si gioca nella sovrapposizione tra le foto recenti di quel matrimonio un po’ smargiasso e la sconfitta di Supercoppa che non conta nulla eppure dà fastidio. Non piace questo mettere insieme soggetti e sensazioni che ormai fan parte del passato ed a volte è bene che non tornino indietro. Perché Tevez era numero 10 nella finale di Berlino e perché salutò per quel cuore, non ricchissimo, che batteva per il Boca Juniors almeno ufficialmente. E non bisognava essere dei maghi per capire che quel futuro avrebbe avuto le gambe corte.
A quel punto sono cominciati i rimandi su un possibile ritorno a Torino o una nuova avventura in Europa. Ma quel treno era passato e aveva la maglia bianconera. Tevez l’ha capito, evidentemente, ha continuato a fare il suo e aspettato che la lotteria andasse a finire da qualche parte. E’ arrivata la proposta cinese e l’ha presa al volo. Nulla da dire. Su quel che Carlitos prenderà in una settimana si possono fare esempi e demagogie varie. Non è giusto, nessun tifoso si mette in cattedra.
Grazie Carlos per quel che hai dato, ma diciamocela tutta, la Juve è stata la tua ultima possibilità di giocare ad un certo livello e ad un certo punto la sensazione è stata che hai scelto l’Argentina, l’amico-nemico Messi e quegli accordicchi di spogliatoio che ti possono pure riportare in nazionale ma non ti cambiano la vita.
E’ il gioco del pallone, nulla di importante. E’ uno sport e uno spettacolo, un luogo dove contano i muscoli, i soldi, il talento e la follia, dentro e fuori il campo.
Ecco forse Tevez ha deciso di aver finito, ha scelto di guadagnare tanti soldi per comprarsi un’isola e farsi uno Stato e assicurare la famiglia per sempre senza aver paura di quel che può dire il Messi di turno o quel tipo con affaccio su Buenos Aires.
Per chi t’ha apprezzato allo Stadium e poi alla fine t’ha lasciato andare c’è il rammarico di non aver capito che la tua stella in discesa non aveva più voglia di sputare sangue. Forse la storia poteva esser diversa con Antonio Conte in panchina anche nel secondo anno in bianconero? E’ solo un altro interrogativo che se ne è andato in una sera di luglio insieme con il tecnico salentino che adesso parla inglese.
La Terra dei cachi 137/ Winning is everything (and the only thing…)
di Kantor
Allegri vince… e non è un dettaglio.
Dopo la partita di Supercoppa ho fatto la trasmissione in radio, poi sono andato a letto e il giorno dopo son partito per quattro giorni di ferie. Sul posto avevo una connessione limitata e soprattutto non avevo voglia di leggere granchè, ma ho dato un’occhiata ogni tanto e francamente mi son sembrati tutti al rutto libero. Stasera son tornato a casa (mia moglie domani lavora e quindi anche io) e ho deciso di scrivere due righe prima della fine dell’anno.Allegri è nell’occhio del ciclone in questo momento; conoscendolo un poco sono sicuro che se ne fotte allegramente, ma rimane il fatto che in questi giorni sono state dette e scritte cose abbastanza fastidiose. Io su Allegri (e di riflesso su Conte) la mia l’ho detta in tempi non sospetti in tre corsivi consecutivi due anni e mezzo fa (1,2 e 3). E se devo analizzare l’avversione di una larga parte del tifo juventino per Max mi trovo in imbarazzo, perchè mi tocca pensare che la maggior parte dei miei compagni di tifo ragioni con organi rispettabilissimi che però non hanno alcun collegamento col cervello.
Ci sono quelli che lo contestano con la pancia, perchè è l’ex-allenatore del Milan; sono più o meno gli stessi tifosotti che a suo tempo contestavano Ancelotti (come età e come spirito dico..). Il problema è che Ancelotti in due anni e mezzo alla Juventus, perse uno scudetto già vinto e di fatto non ne lottò uno in cui aveva la squadra migliore. E in Europa raccolse notevoli figure di guano. Allegri ha vinto due Scudetti e due Coppe Italia e ha fatto una finale e un ottavo di CL. E soprattutto in Europa non è MAI uscito con squadre inferiori alla Juventus, cosa che molti allenatori della Juventus (Conte compreso) hanno fatto.
Ci sono poi quelli che lo constestano con l’occhio; sono i nerds delle statistiche, quelli che pensano che una partita si giochi undici contro zero. Oppure i cultori di un imprecisato concetto di “bel gioco” che, appena gli chiedi un attimo di entrare nello specifico, si inalberano e rifiutano il confronto, oppure cominciano a citare esempi improbabili (come il Napoli di Sarri). Perchè ragazzi, e qui mi gioco l’asso, se entro 2/3 anni Allegri non sarà ancora alla Juventus, allora siederà sicuramente sulla panchina di qualche top club europeo (esattamente come Conte). E Sarri sicuramente no.
Ci sono poi quelli che lo contestano col fegato; le vedove di Conte, quelli che avevano previsto sfracelli e che appaiono solo quando la Juventus fa qualche passo falso (per poi inabissarsi di nuovo quando, inevitabilmente, le cose cambiano). Quelli che non accettano di non aver capito una mazza di quello che è successo alla Juventus negli ultimi due anni e mezzo e sono disposti a qualunque minchiata pur di avere ragione.
Che poi stavolta siamo veramente al limite del ridicolo; perchè l’anno scorso la Juventus cominciò l’anno veramente male e qualche punta di scoramento era fisiologica e persino accettabile. Ma scatenare questo can can per una sconfitta (ai rigori!) nella Supercoppa Italiana (ovvero il trofeo più inutile dell’universo) fa veramente ridere. Certo in quella partita Allegri ha sbagliato e basta ascoltare il nostro podcast per capire che non gliene abbiamo fatta passare una. Ma c’è un limite al senso del ridicolo, un limite che molti sembrano voler superare con entusiasmo.
Mentre invece una cosa dovrebbe essere facile da comprendere: Allegri sta cercando di trasformare la Juventus in qualcosa di diverso da quella che era. Non sono sicuro che questa trasformazione mi piaccia e sono invece ben cosciente del fatto che è ancora molto lontano dal far girare la squadra come dovrebbe e potrebbe. Ma mentre sta facendo questo, Allegri vince; non ci sono “anni di transizione”, non ci sono “periodi di assestamento”. La Juventus è prima in classifica per distacco alla fine del girone di andata e ha vinto il girone di CL (cosa che non capitava da tempo). E questo è un merito enorme che è veramente difficile togliergli. Ed è precisamente quella la ragione per cui, nel caso malaugurato lui e la Juventus dovessero separarsi, non faticherà a trovare un ingaggio di prestigio.