Doveva essere la rivincita della Supercoppa giocata ad agosto ed è invece una serata amarissima e, per certi versi inspiegabile. Diventa davvero difficile in effetti comprendere come, in appena nove minuti della ripresa, la Juve possa farsi non solo raggiungere, ma anche superare da una Lazio che fino a quel momento aveva giocato un’ottima gara dal punto di vista difensivo, ma non aveva davvero fatto altro che coprirsi. Altrettanto arduo è capire come, pur avendo a disposizione più di mezz’ora per raddrizzare il punteggio i bianconeri non riescano mai ad arrivare dalle parti di Strakosha, se non negli ultimissimi secondi che rendono il risultato ancora più beffardo. L’unica spiegazione è che certe partite nascono storte e, per quanto uno ce la metta tutta, non c’è verso di raddrizzarle. La tesi, per quanto rafforzata dai legni colpiti da Higuain e Dybala e dal rigore fallito all’ultimo seconda, è ben poco razionale, ma in una gara tanto folle, è forse davvero l’unica possibile.
RIENTRA KHEDIRA
Che contro la Lazio non sarebbe stata una passeggiata si sapeva e la prima parte del match conferma l’organizzazione della squadra di Inzaghi. Il tridente schierato da Allegri, che ritrova Khedira nell’undici titolare, non sempre viene servito a dovere. Con il centrocampo intasato da cinque laziali, diventa complicato manovrare palla a terra e per arrivare in avanti i bianconeri hanno due soluzioni: ricorrere al lancio lungo, oppure affidarsi a qualche giocata di classe, come il colpo di tacco di Mandzukic che manda al tiro Matuidi dopo una decina di minuti. Gli ospiti impostano invece la gara sul classico “difesa e contropiede” e se la seconda parte del piano raramente riesce, la prima è invece impeccabile, grazie ai raddoppi continui e all’ordine con cui vengono mantenute le distanze tra le linee.
LA PRIMA VOLTA DI DOUGLAS
A forza di insistere, di accelerare la velocità dei passaggi e aumentare la qualità delle giocate però, la Juve trova il varco giusto: è il 24′ quando Khedira, pescato in area da Asamoah, scarica un sinistro rasoterra che Strakosha riesce a intercettare, ma non a respingere sufficientemente lontano. Il pallone si impenna e Douglas Costa, in agguato, può sparare in rete il suo primo gol in bianconero.
TRAVERSA INGRATA
La partita, ora che la Lazio deve necessariamente uscire dal guscio, è più vivace e la Juve ha più spazio per attaccare. Khedira è ancora pericoloso con un destro angolato da fuori area che Strakosha mette in angolo. Il portiere laziale è poi letteralmente miracolato quando Higuain, in pressing, riesce a intercettare il suo rinvio, ma il pallone, dopo il Pipita, colpisce in pieno anche la traversa e rimbalza in campo senza varcare la linea di porta.
IMMOBILE GELA LO STADIUM
Così, invece di andare al risposo con un doppio vantaggio, la Juve si ritrova improvvisamente sull’1-1. Non sono passati neanche due minuti dall’inizio della ripresa quando nella difesa bianconera si apre un buco nel quale si fionda Immobile. Luis Alberto lo serve con una verticalizzazione millimetrica e il centravanti laziale infila nell’angolo alla sinistra di Buffon.
La Juve reagisce subito e Higuain, grazie all’assist di Mandzukic, può entrare in area e calciare a colpo sicuro dal dischetto del rigore, ma non angola abbastanza il tiro e Strakosha riesce a respingere. Dalla parte opposta invece Immobile non fallisce un colpo: si presenta solo davanti a Buffon, viene steso, si guadagna il rigore e lo trasforma. Nove minuti e il risultato è capovolto.
La Juve è ferita e attacca a testa bassa, cercando di sfruttare anche la freschezza di Bernardeschi, in campo al posto di Douglas Costa. Al 20′ poi Allegri cambia Khedira con Dybala, tornando al 4-2-3-1, e poco prima della mezz’ora sostituisce Lichtsteiner con Sturaro. La manovra bianconera però è più rabbiosa che lucida e la Lazio può giocare la partita che sognava, chiudendosi e ripartendo.
Il risultato è che i bianconeri non solo non riescono a creare pericoli, ma neanche arrivano a tirare. Se poi ci riescono la sorte certo non li aiuta e quando in pieno recupero il sinistro di Dybala dal limite si stampa sul palo, ogni speranza di rimonta sembra svanire. E forse sarebbe meglio che finisse così, con quel tiro respinto dal legno: invece tocca ancora vedere Strakosha all’ultimo secondo, ribattere il rigore di Dybala, concesso per fallo di Patric su Bernardeschi dopo il ricorso al VAR. Un finale più amaro, davvero non potrebbe esserci.
JUVENTUS-LAZIO 1-2
RETI: Douglas Costa 24′ pt, Immobile 2′ st, Immobile (rig.) 9′ st
JUVENTUS
Buffon; Lichtsteiner (27′ st Sturaro), Barzagli, Chiellini, Asamoah; Khedira (20′ st Dybala), Bentancur, Matuidi; Douglas Costa (9′ st Bernardeschi), Higuain, Mandzukic
A disposizione: Szczesny, Pinsoglio, Benatia, Rugani, Alex Sandro, Cuadrado
Allenatore: Allegri
LAZIO
Strakosha; Bastos, De Vrij, Radu; Marusic, Parolo, Leiva, Milinkovic, Lulic (39′ st Patric); Luis Alberto (27′ st Nani); Immobile (31′ st Caicedo)
A disposizione: Vargic, Luiz Felipe, Guerrieri, Bruno Jordao, Mauricio, Di Gennaro, Murgia
Allenatore: Inzaghi S.
ARBITRO: Mazzoleni
ASSISTENTI: Manganelli, Preti
QUARTO UFFICIALE: Giacomelli
VAR: Fabbri, Aureliano
AMMONITI: 8′ st Buffon, 48′ st Sturaro, 52′ Patric
8a Serie A: Juventus-Lazio 1-2
di Andrea Lapegna
Simone Inzaghi batte Max Allegri in una partita iniziata in sordina e terminata in débâcle. La serataccia di Torino mostra dubbi sulla capacità di questi interpreti a giocare un calcio più ragionato, e conferma allarmanti limiti caratteriali.
Che poi, intendiamoci, per la Juventus non è mai veramente una “sosta”. Nel senso che di pause non ce ne sono. La Vecchia Signora è serbatoio inesauribile e imprescindibile di giocatori per le rispettive nazionali, e se tutto va male i titolari giocano due partite nella settimana di calcio internazionale. Altro che pausa, il conteggio dei chilometri di volo condisce una settimana ad alta intensità. Sia ben chiaro, non deve mai essere un alibi per le prestazioni in campo (e ad onor di cronaca scrivo questo incipit prima di conoscere il risultato del match di giornata), ma un allenatore accorto deve farci i conti.
Per di più, lo sguardo d’insieme sul match casalingo con la Lazio non può non scorgere, all’orizzonte, quello più pesante contro lo Sporting mercoledì. Con queste considerazioni a mente, e lo stato di forma dei propri giocatori davanti agli occhi, Allegri sceglie di dare continuità e minuti al 4-3-3 sperimentato in vari spezzoni di gare in questo inizio di stagione. Buffon prende possesso dei pali, la difesa con Lichtsteiner (De Sciglio e Höwedes devono ancora recuperare), Barzagli, Chiellini e Asamoah; Bentancur tra Khedira e Matuidi; Douglas Costa a destra, Higuaín al centro dell’attacco e Mario Mandžukić a sinistra.
Simone Inzaghi, che su questi lidi è stato a più riprese lodato per l’egregio lavoro svolto con mezzi molto modesti, sceglie invece la via della formazione più assimilata dai propri giocatori. Il 3-5-2 recita: Strakosha; Bastos, de Vrij, Radu; Marušić, Parolo, Leiva, Milinković-Savić, Lulić; Luis Alberto, Immobile. In realtà l’assetto biancoceleste non è dogmatico come siamo abituati a vedere noi juventini con questo modulo, ma assomiglia – curiosamente – al 3-5-2 con cui Allegri tornò a ridisegnare la Juve al suo secondo anno. L’idea è quella di avvicinare i due giocatori di maggior talento della squadra, che per una ragione o per l’altra in questo momento sono senza dubbio Milinković-Savić e Luis Alberto. Così, il serbo si prende il mezzo spazio di sinistra, ricercando con costanza la posizione alle spalle della mezz’ala avversaria; lo spagnolo, al contempo, si abbassa a rifinire l’azione, potendo contare sul supporto sia atletico che tecnico di Milinković-Savić. In molti lo chiamano 3-4-2-1, a me ricorda molto Pogba e Dybala versione 2015/2016.
In teoria, questo assetto dovrebbe creare qualche grattacapo alla struttura della Juventus, dal momento che la scelta di giocare con due mezz’ali così prone alla difesa in avanti è una dichiarazione d’intenti da parte di Allegri. Il rischio è quello che Khedira e Matuidi lascino uno spazio troppo grande da coprire per la corsa orizzontale di Bentancur; uno spazio in cui Lucas Leiva dovrebbe far arrivare il pallone con puntualità, manco fosse magnetico. Alla prova del campo invece, la Juventus ha mantenuto nel primo tempo posizioni molto prudenti, con Khedira prodigatosi in un pressing molto sporadico e allo stesso tempo ragionato. Matuidi è stato come al solito molto generoso, tanto che in fase di non possesso Allegri ha tenuto basse le due ali, disegnando la squadra con un 4-5-1 in cui spesso il francese affiancava Higuaín nella pressione.
Il piano della Lazio prevedeva il sabotaggio sistematico della costruzione bassa della Juventus, con Immobile e Luis Alberto. I due attaccanti, in fase di possesso avversario consolidato, si stagliano su linee sfalzate per cercare uno (Immobile) di inserirsi tra i due centrali e indirizzare il possesso sui lati e l’altro (Luis Alberto) di schermare le ricezioni di Bentancur. In realtà il piano ha funzionato a metà, perché se all’inizio questo ha lasciato spesso Barzagli col cerino in mano, d’altro canto il centrale azzurro si è ritrovato libero di lanciare lungo, con ottima precisione, verso Higuaín. Il numero 9 ha avuto vita abbastanza facile contro i centrali avversari, dal momento che de Vrij – forse ancora acciaccato – raramente cercava l’anticipo e lasciava all’argentino il gioco spalle alla porta. Il risultato è stato aver trovato un modo semplice ed efficace di risalire il campo.
I primi 15 minuti di gioco regalano un buon possesso da parte della Juventus, anche se la circolazione è apparsa più lenta delle attese. Senza il pallone, Inzaghi ha sistemato i suoi con un 4-4-2 d’ordinanza, dove era Radu a scalare di lato, lasciando Parolo esterno. In questo disegno, Milinković-Savić si sovrapponeva a Lulić e si allargava sulla fascia di Lichtsteiner, forse ritenuto preda più semplice di Barzagli. Qui lo svizzero ha manifestato da subito un atteggiamento molto fisico, dal momento che la battaglia sarebbe stata impari atleticamente e tecnicamente.
Non è chiaro se Allegri avesse preparato la partita per cercare rotazioni del pallone, o per giocare fasi di gioco verticali, o per difendersi col blocco basso (improbabile). Fatto sta che la squadra non era di certo pronta a dominare il pallone. Allora la Lazio ha scientemente concesso campo e metri agli avversari, il cui giro palla è stato fin troppo scolastico per creare pericoli alla retroguardia biancoceleste. Le soluzioni migliori continuavano ad essere i lanci lunghi, con i terzini (entrambi) troppo bloccati perché la squadra potesse esplorare soluzioni in ampiezza, come forse sarebbe stato opportuno col senno di poi.
In effetti la Lazio faceva molta densità in mezzo al campo, sperando forse di incastrare la produzione offensiva della Juventus sulle fasce. Inzaghi in questo ha avuto gioco facile, dal momento che la Juve si intestardiva con i cavalli Khedira e Matuidi a cercare fortuna nei corridoi interni, senza nemmeno provare ad aprire gli alfieri (in questa metafora le ali) o ad avanzare le torri (i terzini). Sarebbe stata peraltro un’idea tutt’altro che peregrina, per sfruttare appieno le qualità sull’out di Douglas Costa, apparso per l’intera partita un corpo estraneo alle idee di gioco della squadra.
Dopo i primi minuti di possesso (forzato) della Juventus, la Lazio ha ripreso con insistenza a cercare i propri uomini migliori tra le linee. E ci è riuscita, soprattutto con Luis Alberto, che per scappare dalle grinfie di Chiellini è emigrato nella zona di sinistra dell’attacco laziale, pur spingendo Milinković-Savić sempre più ai margini del campo. Il nostro centrocampo è stato desolantemente lento nel correre ai ripari, ma per sua fortuna Barzagli e Chiellini sono stati egregi nel chiudere la profondità ad Immobile nella prima frazione.
A riposo comunque su un confortante uno a zero.
La ripresa cambia il giro della giostra, ma lo fa con una repentinità talmente brusca, che dà la sensazione di un evento irreversibile ed impossibile da controllare. La prima segnatura materializza tutte le paure degli juventini, con la ricezione tra le linee, la triangolazione nello stretto, e sia Barzagli che Chiellini a perdere lucidità stile giocatori NBA in Space Jam.
Quest’anno, il problema principale è che ad ogni scricchiolio segue lo sprofondamento. Non ci sono avvertimenti, ci si scioglie anche agli ultimi colpi di coda dell’estate. Così, per chi si fosse perso il primo gol, 8 minuti dopo c’è stato il replay. Le distanze tra giocatori e tra reparti sono sballate, la Lazio sfonda tra le linee in posizione centrale, Bentancur è preso in mezzo, i terzini sono tagliati fuori e Barzagli e Chiellini non sanno se uscire sull’uomo, seguirlo in profondità, o prendere la linea del passaggio. Buffon deve uscire a valanga, e Immobile è lesto ad approfittarne.
La Juventus non sa reagire al doppio colpo incassato, e il secondo tempo diventa un lento supplizio, in cui la squadra non riesce a far girare propriamente il pallone, non smuove mai la struttura avversaria, non trova mai uomini tra le linee e non crea mai superiorità numerica. Semmai, subisce più di un contropiede pericoloso, per il ripetersi incessante degli stessi errori di posizione (largamente imputabili alle due mezz’ali). In questi spazi gargantueschi, l’intelligenza calcistica di Milinković-Savić ha costretto i difensori della Juventus a rincorrere palla e uomo al tempo stesso.
Credo che la maggior parte dei tifosi quest’anno si sia messa l’anima in pace nel concedere qualcosa di più in difesa, dietro corrispettivo di una più copiosa ed ariosa produzione offensiva. Giocare diversamente, insomma. Ma la cosa peggiore del pomeriggio torinese è stata che – con questi interpreti – nulla di quello che era preventibabile si è visto poi in campo. Alcuni (Khedira, Mandžukić, Higuaín) sono apparsi fuori condizione, mentre altri (Lichtsteiner, Asamoah) addirittura inadeguati al contesto tecnico e tattico. Semmai, è stato allarmante vedere Chiellini affiancare Asamoah nell’eterno sforzo di mettere dentro cross a casaccio, a 30 metri dalla linea di fondo.
La Juventus è sembrata riflettere lo stato d’animo del suo centravanti. Higuaín, istintivo e passionale, si abbatte in un circolo vizioso di autolesionismo quando le cose non girano. Ieri ha commesso errori tecnici banali per uno come lui, è apparso contratto, conservativo e timoroso nel decision-making. Come afflitto dalla più classica delle scimmie sulla spalla, l’argentino si è ritrovato nel brodo di un’auto-imposta paura. Il rigore sbagliato da Dybala non è che il passaggio della scimmia da compagno a compagno. Così la Juventus non ha saputo opporre né la propria tecnica né un’adeguata scelta nelle soluzioni offensive: né carne né pesce. Né il grande pressing in avanti – con i centrali che faticavano ad accorciare sul centrocampo – né la difesa posizionale – con i centrocampisti che se ne scappavano in avanti allungando insostenibilmente la squadra.
Quando la realtà lo impone, ci tocca dirlo. In questa sconfitta c’è molto di Allegri. Pensava probabilmente di poter giocare il suo calcio tecnico con interpreti diversi, ma la realtà dei fatti ha mostrato giocatori inadatti alle sue idee, o fuori condizione. Un campanello d’allarme non indifferente, se pensiamo che delle 4 partite “toste” in stagione (supercoppa, Barça, Atalanta e Lazio) pur per motivi molto diversi, ne abbiamo perse tre e pareggiata una.
Juve – Lazio 1 a 2 – Regna la confusione
Al di là di un risultato che al netto delle occasioni non ci gratifica, la sensazione del secondo Juventus-Lazio della stagione evidenzia una confusione nella scelta del modulo, una mancanza di identità che ci riporta indietro di due anni, quando ci trovammo a inseguire Napoli, Roma e Inter dopo le prime dieci giornate di campionato. Incomprensibili le scelte conservative di Allegri, specie in una partita così importante per la morale e la classifica. Ingiustificabile il continuo cambio di modulo fra undici titolare ed esperimenti a gara in corso. I nuovi innesti estivi, eccezion fatta per Matuidi, sono corpi estranei in un meccanismo che non ingrana. Prendiamo, quindi, a distanza di tre mesi l’ennesima lezione di compattezza e spirito di squadra di una Lazio che, seppur nettamente inferiori negli interpreti, dimostra una volte per tutte la sua maturità. Ci tradisce anche Dybala dal dischetto per la seconda volta consecutiva, sintomo che oltre a una questione tecnico-tattica anche psicologicamente non si respiri un aere idilliaco. Per il resto, c’è poco altro da dire su una prestazione di squadra nettamente insufficiente che rischia domattina di risvegliarsi a cinque punti dalla vetta della classifica.