L’assist di Juventus-Napoli in chiave tattica -perché molto c’è da scoprire dei pensieri e dei compromessi logici che svilupperà nel tempo un Maurizio Sarri più aperto di quanto venisse descritto- è enorme e apre a una gestione dell’organico forse più consona viste le caratteristiche dei calciatori e la bulimia sulla quale ancora spinge questo management nell’immaginare la Juve perfetta, dunque senza punti deboli.
L’assist in realtà è triplice, e riguarda più l’occhio che i dati: le due partite in una dei bianconeri (nota in chiaroscuro già venuta in superficie al Tardini) nonché l’approccio malleabile di Sarri che in questa fase “si accontenta” di soluzioni spurie un po’ per necessità, un po’ per non minare certezze di campo nel mentre in settimana si lavora per reparti circa le intenzioni, quelle sì, radicalmente diverse dal recente passato. In ultimo, ma non ultimo gerarchicamente – anzi sarebbero fattori da sistemare a oggi tutti alla pari – un po’ per cercare di trovare la zona di galleggiamento ideale per due indubbie chiavi di volta della Juventus che il tecnico ha in testa (a proposito di perfezione): Cristiano Ronaldo e Miralem Pjanic.
Partendo dal non casuale break del 3-0, ecco la Juve Uno.
Cioè la Juve giusta per l’atteggiamento e per l’avversario, una squadra che con la forza fisica e mentale di Khedira e Matuidi, più il tremendismo di Douglas Costa, non è votata al palleggio (che era invece vocazione di Sarri a Napoli, per esempio). Verticalità, trasferimento rapido del pallone tra i reparti, il campo da prendersi con più metri possibili nel minor tempo possibile, palleggio conservativo ridotto all’osso, giocate di respiro solo sul corto e per arrivare al cosiddetto “secondo passaggio”, dai e vai o dai e fallo andare. Ha funzionato tutto? Non tutto, ma tanto. Khedira e Matuidi hanno lavorato in profondità e ai fianchi un Napoli che a Firenze aveva mostrato la pancia molle del quadrilatero difensivo composto dai due mediani e dai due centrali difensivi: tante parità numeriche, poche coperture preventive e squadra lunga nelle distanze anche e soprattutto nel corpo centrale del campo.
Ancelotti voleva soffocare Pjanic ed è finito soffocato per un tempo (forse la miglior notizia in prospettiva, perché il bosniaco è per antonomasia un giocatore attaccabile), soffrendo il recupero del pallone della Juventus e la pulizia nel muovere il pallone velocemente da parte dei bianconeri proprio al momento dell’ottenimento dello stesso. Non a caso il momento migliore (e autorevole) nel quale si sono espressi de Ligt e Alex Sandro sul centrosinistra con Bonucci e De Sciglio più concentrati a innescare Douglas Costa dall’altra parte. Una volta al di là, in caso di mancata possibilità della ripartenza veloce e palla a terra (situazione potenziata da Sarri grazie all’esperienza con il particolare parco attaccanti del Chelsea) il tema è stato sovraccaricare a sinistra, dove Ronaldo ha potuto giocare sempre con almeno due uomini ai quali appoggiarsi (e viceversa). Più che la pericolosità, venuta comunque quasi interamente dal lato mancino, il senso era portare i numerosi battitori bianconeri al “tiro libero” in lunetta o comunque in posizione centrale e ideale. La Juve ha segnato in campo aperto (transizione da corner avversario) e ha raddoppiato a difesa del Napoli schierata, triplicando su uno sfondamento combinato e conclusione a rimorchio dal dischetto: il comune denominatore positivo, non solo dei gol ma dell’intero break, è stata la quasi totale assenza di tiri forzati ai quali sovente ci siamo arresi o limitati nelle ultime due stagioni nel gioco a terra.
La testa, la pancia, le gambe. Una misteriosa combinazione di fattori che è sempre difficile da decifrare con certezza. Sta di fatto che il secondo tempo nasce già con la Juve Due.
Si tende a spostare in avanti la lancetta della metamorfosi perché al rientro dagli spogliatoi manca ancora il sigillo di Ronaldo e la sensazione comune è che la partita cambi poi per un quasi casuale uno-due partenopeo che scombina psicologicamente la gara. La Juve Due però è già quella che consegna il pallone al Napoli al fischio d’inizio della ripresa, probabilmente perché il piano prefigurato era quello di un avversario del quale approfittare perché ormai impaurito oppure perché disperato e dunque sbilanciato. Ma guardiamo la Juve, non il Napoli. Guardiamo anche i cambi: Sarri non vuole un passo indietro -e questo dovrebbe essere un concetto molto europeista- neanche poi sul 3-2. La squadra non cambia il modo di stare in campo. Accettabile perché non è terminata 3-4 ma 4-3 (e questa è astrattamente la parte meno europeista). Certo la testa fa molto e le gambe hanno fatto il resto: restare in campo “alla stessa maniera” con tre giocatori ormai costantemente sopra la linea del pallone, difendere con un uomo per lato cercando di assicurarsi la zona di copertura davanti a Bonucci e de Ligt, sottoporre calciatori scarichi o condizionati fisicamente a uno stress calcistico pari a quello richiesto al primo minuto (per esempio Douglas che non può più aiutare a destra, Bonucci e de Ligt costretti ancora a coprire ampie porzioni di campo in avanti e alle spalle). Queste le scelte, queste le incognite, queste le paure. Premiate sul gong come non così raramente è accaduto alla Juventus di Allegri, che sulle scelte a partita in corso ha quasi sempre proposto ricette opposte.
Cambia nel frattempo la percezione dell’organico anche per gli osservatori e per la critica. Cioè per chi sta fuori. Il 4-4-2 spurio, ma piuttosto evidente, scelto da Sarri per questo inizio stagione chiede tanto a Douglas Costa, riposiziona virtualmente Cuadrado come primo possibile vice, rimette in circolo Bernardeschi nel domandarsi se sarà un quarto di centrocampo o un possibile attaccante centrale vice Ronaldo o vice Dybala o vice vice seconda punta (che è esattamente ciò che sta facendo il portoghese, dividendosi il campo con Higuain in non possesso e allargandosi sugli esterni in base alla sensibilità personale del momento). La categoria degli esterni di centrocampo (Ramsey potrebbe finire in quella posizione e come qualità di tempi e giocate può scalare posizioni, ma nello spurio Matuidi resta un artista della sostanza meccanica che il ruolo raccomanda) richiama in causa il centrocampo a due, anche se mobile e supportato sempre dal terzo uomo, un po’ come accade in difesa quando si sgancia il quarto basso. Il principio di Sarri è “stringere” alle spalle di chi va alla caccia del pallone. Alla peggio, saltate le linee di pressing e in caso di allarme rosso ovvero palla scoperta e conseguente annullamento del tentativo di anticipo preventivo sugli attaccanti avversari, la soluzione è mandare l’avversario in bandierina.
Tornando a come probabilmente si dovrebbe riguardare la rosa della Juve: si pensi ai nomi dei quattro attaccanti centrali e ai nomi dei quattro/cinque interni naturali a disposizione e appunto a ali o mezzeali che diano ampiezza e sostegno costante in entrambe le fasi. Gli esuberi reali diminuiscono. E supponendo che dica il vero chi sostiene che lo staff bianconero ritiene Rabiot il più “veloce di comprendonio”, allora chi rischia di finire davvero in coda è uno tra Emre Can e Bentancur se si parla di una maglia da titolare. O Bernardeschi se non si specializza e non sarà di nuovo di copertina il tema infortuni. Ed ecco allora spiegato perché Paratici, qua e là, può aver dato la sensazione di maneggiare un mercato bipolare o psicotico. Sembra facile, ma lui è l’uomo che ha dovuto mettere insieme tutto. E soltanto da Firenze si potrà analizzare meglio e più a fondo la gestione tecnica e tattica del nuovo allenatore della Juventus.
Luca Momblano.