La Caduta (di un gigante ora nudo)

La Juve fallisce malamente il suo primo (o secondo, dopo la Supercoppa?) obiettivo è soprattutto cade in modo prevedibile e rovinoso nella fossa più bassa della stagione, a soli 20 giorni dal momento più importante di questo ciclo.

Quando pattini sul ghiaccio scivoloso della superiorità tecnica e fisica, quando corri una maratona fatta di strappi singoli, mettendoti alla pari col rivale di turno e battendolo per inerzia o guizzi improvvisi, prima o poi – inevitabilmente- la solita acrobazia non ti riesce, la rete delle prestazione dei singoli non ti salva e stramazzi al suolo.
Nulla di più ovvio e prevedibile.

La Juve di questi anni è troppo più avanti delle altre per singoli, rosa, continuità, intensifica fisica e mentale, ma ha sempre dato una sensazione di superiorità più nel fondo che nelle singole performance, sfoggiato una dominanza nel lungo corso piuttosto che una assoluta invincibilità.
La Juve è una sequenza impressionante di vittorie di margine, duelli vinti in surplace, mettendo la spalla senza allungare, semplicemente controllando.

Tutte le squadre dominanti cadono.
Se lucidità o applicazione peccano anche chi ha schemi di gioco eccelsi può svaccare, così come questa Juve soffre se mancano uomini chiave, se la condizione psico-fisica non eguaglia quella del rivale e se i gesti tecnici sono carenti, anzi perfino dannosi.

Questa Juve cade come qualsiasi altra, dalle più “belle” alle più “solide”.
A Gennaio
– la Juve gioca (male) 5 gare (4 fuori) vincendone 4,
– il Barcellona di un Messi in forma messianica perde 2 trasferte (in Coppa del Re) ribaltando al ritorno al Camp Nou,
– il City viene da un periodo opaco con la sterzata contro il Liverpool e il tonfo a Newcastle,
– il Liverpool perde lo scontro diretto e pareggia col Leicester, riaprendo la Premier
– il PSG esce dalla coppa nazionale col Guincamp ridicolizzato poi per 9-1,
L’Atletico pareggia 2 volte col Girona uscendo dalla Coppa del Re, dove resta il Real dopo aver però perso col Leganes,
– Il Chelsea perde 2-0 e 4-0 le ultime, il Tottenham ne perde 3 su 7, mentre Dortmund e Bayern riposano.
– il Napoli rimedia un pari con 0 gol all’attivo nelle due gare a San Siro, per tacere dei 10 gol subiti dalla Roma in 3 giorni.

Non è un mal comune mezzo gaudio, né un “così fan tutte“, ma l’ovvia considerazione per cui nessuna squadra, sia essa basata sul gioco, sui singoli, sull’efficacia, può restare imbattuta e mantenersi a certi livelli di gioco o attenzione per 9 mesi.

Gennaio, come altri mesi “interlocutori”, da questo punto di vista, è il più crudele dei mesi.

Era in realtà la prima volta che la Juve arrivava invitta al 31 gennaio. Ricordiamo gli anni scorsi i black out con Fiorentina (in A e in Coppa), Inter (da De Boer a Perisic), Genoa (2 volte) Lazio o Supercoppe invernali. 
Quest’anno la mazzata è arrivata tardiva, mesi dopo quella di Koulibaly, ma determina il fallimento di uno dei tre obiettivi.

Più dall’alto si cade più pare banale la nudità di una squadra già totalmente spogliata per 70′ dalla Lazio, ed in parte in Supercoppa.

Mai la Juve aveva vinto tutti i duelli con le big nel girone d’andata, eppure era chiaro che la corda psicofisica si stava lacerando, lasciandoci inermi con evidenti lacune tattiche.

Non eravamo mai stati così promettenti sul piano dello sviluppo del gioco, in autunno e, per questo, la solita involuzione tattica speculativa e porta-punti dell’inverno è parsa deludente – seppure vincente-. Non eravamo mai stati così convinti di una Juve finalmente votata non solo al controllo, ma al dominio del possesso, al pressing alto e all’offesa costante in autunno, così abbiamo storto molto di più il naso alle solite vittorie furbe e spalla a spalla di fine girone d’andata.

Allegri non ha saputo sviluppare efficaci alternative di gioco senza Pjanic e Bonucci e la “scorciatoiaMandzukic. Non ha saputo assortire un assetto diverso con Emre, Bentancur, Bernardeschi e Costa, ma ha lavorato all’unica soluzione con l’arretramento di Dybala per consentire l’uso della coppia Mandzukic-Ronaldo.
A questa povertà di soluzioni si è aggiunta la sfortunata (?) morìa dei centrali.

Non è un dramma una scelta mono-dimensionale e conservativa, è tipica di Allegri, ha dato frutti e può essere la migliore soluzione di una squadra forte da all in, ma ti inchioda ad elementi contingenti, soprattutto in quella che si è tramutata in 10 giorni da una situazione ideale (vantaggio ampio in A, possibilità di concentrarsi sulla CL) a nefasta: perdita fulminea di 3 centrali (Benatia, Bonucci, Chiellini), assenza certa di Cuadrado, dubbi fisici su Pjanic, Mandzukic, mancata integrazione di Douglas e Berna nel progetto tecnico.

Puoi cadere, anche così prevedibilmente e rovinosamente, ma non è il dolore per la caduta dall’alto a pervaderci quando la sensazione del tappeto e del punto più basso della stagione, sotto tutti i punti di vista, a soli 20 giorni dal l’appuntamento con uno stadio che cambierà la stagione e darà un senso compiuto o meno all’era Allegri, la più dominante ma forse finora la meno epica di sempre.

Sandro Scarpa.

3 buone ragioni per uscire dalla Coppa Italia (e lavorare)

Ieri ho letto in un tweet:

“Allegri non solo sa quando la squadra deve vincere, ma sa persino quando la squadra deve perdere”.

Ho trovato il concetto ridicolo, tanto che starebbe bene in bocca al Pangloss di Voltaire (come molto di ciò che viene scritto a proposito del nostro allenatore). Paradossalmente però ho ripensato a quella frase dopo la sconfitta con l’Atalanta: c’era, più di questa, una gara che la Juve “doveva perdere”?

Vi do 3 buone motivazioni per seguirmi nel ragionamento, che non vuole affatto essere assolutorio.

 La prima è esogena: L’AVVERSARIO 

L’Atalanta è una squadra forte, fortissima, che oltretutto sta attraversando uno stato di grazia (21 reti nelle ultime 6 partite). Aggiungete alla ricetta uno staff tecnico straordinario e – va detto – incomparabile al nostro dal punto di vista della preparazione tattica del collettivo e dello sfruttamento delle risorse a disposizione. Non c’è dubbio che la Juve abbia pescato il peggiore abbinamento possibile, almeno per l’attuale stato di salute delle rispettive formazioni.

Non è peccato allora ammettere che per una volta ci siamo inchinati a un avversario italiano che si è dimostrato più forte sul campo. Se state sorridendo all’idea che questo avversario si chiami Atalanta, provate a far scorrere mentalmente le partite giocate a Bergamo in questi anni e ditemi se c’è stata una squadra che ci abbia messo più in difficoltà di così negli scontri diretti.

 La seconda è: IL CALENDARIO 

Uscire ai quarti di Coppa Italia vuol dire evitarsi due gare dal forte dispendio di energie nervose che sarebbero cadute nella fase nevralgica della stagione (fine febbraio e fine aprile l’andata e il ritorno), tra l’altro con l’andata tre giorni prima della trasferta a Napoli (e 10 prima del ritorno con l’Atleti) ed il ritorno tre giorni prima della trasferta con l’Inter. Vista anche la situazione degli infortunati, questa non riesce a sembrarmi una notizia poi così brutta.

 La terza è: LA JUVE STESSA 

Ho la sensazione che all’ambiente possa giovare levarsi subito di dosso l’ambizione di vincere tutto e l’ansia di dover rimanere in corsa per tutti gli obiettivi fino in fondo.

Potrebbe anche essere l’occasione buona per riflettere su quanto ci sia ancora da lavorare per migliorare questa squadra costruita per dominare, che però ha finora tradotto questa supremazia sul terreno di gioco in modo inequivocabile soltanto nel corso di un fugace mesetto autunnale in cui sembrava davvero onnipotente. Da allora abbiamo assistito a una netta involuzione delle prestazioni e sembra si sia tornati sul solco del calcio sparagnino visto l’anno scorso.

Come l’anno scorso, infatti, abbiamo una squadra che va in confusione quando viene aggredita, che non riesce a organizzare un’uscita efficace del pallone, che non trova alternative al cross dalla trequarti per imbastire un’azione d’attacco. Una squadra che ha integrato Bonucci, Cancelo e Ronaldo senza trovare soluzioni sistemiche e collettive ai problemi di gestione del possesso.

Questi problemi comunque ce li portiamo dietro da anni e non ci hanno impedito di vincere una marea di trofei – grazie alla supremazia tecnica, fisica e mentale dei calciatori -e giocare grandi sfide anche a livello continentale – grazie alla capacità innegabile dello staff di studiare contromisure e soluzioni ad hoc.

In ottica Champions mi preoccupa quindi di più, e mi riferisco in particolare alla partita di ieri, il grave deficit sotto l’aspetto atletico. Il centrocampo non riusciva mai ad accorciare, l’Atalanta ha vinto tutte le seconde palle e ha avuto vita facile a eludere i tentativi di contro-pressing quando cercavamo di riconquistare il pallone.

 Lavorare sui problemi dell’oggi 

Allora, per tornare alla mia terza motivazione, bene che si sia usciti subito dall’equivoco del solito adagio, veritiero ma un po’ ambiguo, “vincere aiuta a vincere”. Ora che qualcosa si è perso, per tornare a vincere non resta che lavorare.

La speranza è che nei prossimi 20 giorni di lavoro si ritrovi quantomeno un po’ di brillantezza, soprattutto in quei giocatori che di brillantezza ci campano – tipo Matuidi. Forse non basterà per rivedere la Juve dominante d’autunno, ma a questo punto ci sono esigenze più impellenti a cui pensare.

Un déjà-vu nella gestione d’Allegri, maestro nel risolvere i problemi dell’oggi posponendo quelli del domani, al punto di aver illuso molti tifosi che i problemi del domani nemmeno esistano.

Davide Rovati