Prima domanda, la più gettonata, la più istintiva e naturale, che travalica tutto e tutti, ogni contesto e ogni presa di coscienza: “Chi arriva?”. Non stupisce, strappa sempre un sorriso, accende sempre una parvenza di dibattito, uno scambio di dibattute, una considerazione, un’opinione, un desiderio, un non capisco perché. E fin qui nessun problema. E’ così da sempre ed è così anche nell’estate dei 28 giocatori – con la g maiuscola – in organico. Diverso è lo step successivo, la seconda martellante domanda – che ammetto, alla lunga mi ha sorpreso – di un agosto in cui oggettivamente è successo poco o niente se non andare a toccare il palato fine del tifoso: il gusto su Maurizio Sarri, le acidità dell’operazione Joao Cancelo, il boccone dell’uscita del prossimo mancato eroe Moise Kean. “Qual è la formazione della finale di Champions?”. A campionato da iniziare, lo giuro. Fa profondamente riflettere, anche se non c’è nulla di male: è una domanda che è un gran bel gioco, ma che nasconde anche altro. Tipo: campionato e girone Champions non fanno per niente paura (finché non si gioca) o peggio ancora vengono dati per scontati o peggio ancora non esiste che ci si possa inceppare nuovamente ai quarti di finale. Come se non conoscessimo il calcio. Come se la Juve sia ormai come era Usain Bolt, cioè per forza uno contro tutti ma oggettivamente forte e praticamente costretta a vincere, e che la finale di Champions sia per forza l’unico cronometro della stagione. Non i risultati della stagione, non il percorso, ma quell’unico parziale al massimo dello sforzo. Quello che per Usain Bolt e per chi seguiva fibrillando le sue finali corrispondeva al tempo sul tabellone: sarà la volta del record oppure no? E di quanto? Ma, appunto, il calcio non è uno sport di forza e velocità bensì uno sport di bravura. Di destrezza. Di momenti. Di scaltrezza. Di strategie e controstrategie. Di tentativi e anche di errori. L’opposto dei 100 metri piani. E allora, questa benedetta formazione della finale di Champions? Quale sarebbe oggi quando ancora non conosciamo la formazione delle prime due stagionali, che saranno diverse dalla terza dopo la pausa nazionali, che sarà a sua volta diversa dall’esordio nella massima competizione europea, che sarà diversa dall’andata degli eventuali ottavi, che poi magari sarà simile a quella della partita dell’anno. Battezzarla oggi vuol dire battezzare la propria formazione della finale di Champions, perché Sarri e alcuni dei nuovi arrivi (dai quali escluderei Buffon e includerei nel caso Higuain) ancora non è dato sapere cosa sappiano fare meglio nel nuovo ambiente e nel nuovo dispositivo. Provocatoriamente, rispondendo su Twitter ad alcune domande notturne, qualcuno mi ha costretto a partire dal centrocampo e immaginare:
Qui siamo chiaramente oltre. Ci sono un paio di considerazioni totalmente fuori dallo schema mentale classico con il quale viene inserito il pensiero di calcio di Sarri (per come pensiamo di conoscerlo) sovrapposto a sua volta alle gerarchie tecniche della Juventus (che abbiamo conosciuto). I Pjanic, i Khedira, i Matuidi, per fare tre nomi. Magari varrà anche per la difesa, quasi sicuramente varrà per l’attacco. E la formazione della prossima finale di Champions League sarà quella cancellerà e riscriverà la storia, con due gol di scarto, da favorita alla pari, con o senza CR7 e anche un po’ all’italiana. Oltre non riesco proprio a spingermi. Vale più di recitare un undici immaginario, no?
Luca Momblano