Una gara a senso unico, probabilmente la peggiore giocata dalla Juve negli ultimi anni. Al Genoa basta mezz’ora per deciderla e per rifilare tre gol ai bianconeri, apparsi spaesati e incapaci di reagire alla veemenza e all’aggressività dei rossoblu.
Alla vigilia Allegri aveva avvertito i suoi sulle difficoltà della sfida di Marassi, ma evidentemente non c’è neanche il tempo di capire quanto il tecnico fosse stato profetico, perché dopo appena tre minuti i padroni di casa sono già in vantaggio.:Buffon e Alex Sandro respingono le conclusioni di Rigoni e Ocampos, ma quando la palla arriva a Simeone, solo davanti allo specchio con il portiere a terra, non c’è nulla da fare.
Il Grifone è indemoniato e non si accontenta. La Juve è frastornata e quando Lazovic arriva al cross e Simeone gira alle spalle di Buffon il gol del 2-0 sono passati appena tredici minuti.
I bianconeri provano a scuotersi e prendono campo, ma i padroni di casa rispondono ad ogni iniziativa con una rabbia agonistica impressionante e se al 23′ Rigoni fallisce il 3-0 da ottima posizione, si rifà poco dopo sugli sviluppi di un corner, quando trova la deviazione decisiva di Alex Sandro.
È un incubo che sembra non avere fine, quando Bonucci, al 33′, esce per un fastidio muscolare lasciando il posto a Rugani, così, quando arriva l’intervallo è quasi un sollievo, non perché la Juve rischi ancora, ma perché è evidente la necessità di un confronto.
Il destro di Pjanic in avvio di ripresa sembra un segnale di risveglio e in effetti la Juve si ripresenta in campo con un piglio diverso. Ora schiaccia il Genoa nella propria metà campo e va subito vicina al gol con Khedira, che non centra la porta da due passi. Allegri manda in campo Higuain al posto di Lichtsteiner, passando alla difesa a quattro, con l’intenzione di dare maggior peso all’attacco, ma intanto si deve stare attenti a non subire il quarto gol, che Simeone sfiora con un diagonale messo in angolo da Buffon.
Più passano i minuti più diminuiscono le possibilità di recuperare. Allo stesso tempo cala il ritmo dei bianconeri e cresce la convinzione dei padroni di casa che si difendono con ordine e riescono a tenere la squadra di Allegri lontano dalla propria area. Solo Pjanic, su calcio piazzato, riesce ad accorciare le distanza al 37′, ma ormai è tardi e oltretutto negli ultimi minuti la Juve chiude in dieci, visto l’infortunio di Dani Alves e le sostituzioni già esaurite. D’altra parte la gara si è già esaurita nella prima mezz’ora. Una mezz’ora da dimenticare, si direbbe in questi casi. Invece no. Andrà rivista, analizzata e ricordata. Perché può una partita sbagliata può capitare. Ma non si deve ripetere.
GENOA-JUVENTUS 3-1
RETI: Simeone 3′ pt, Simeone 13′ pt, Alex Sandro (aut.) 29′ pt, Pjanic 37′ st
GENOA
Perin; Izzo, Burdisso, Munoz; Lazovic (22′ st Edenilson), Rincon, Cofie, Laxalt; Rigoni (42′ st Gakpé) , Simeone, Ocampos (44′ st Biraschi)
A disposizione: Lamanna, Zima, Fiamozzi, Gentiletti, Ninkovic, Ntcham, Pandev
Allenatore: Juric
JUVENTUS
Buffon; Lichtsteiner (8′ st Higuain), Bonucci (33′ pt Rugani), Benatia; Dani Alves, Khedira (26′ st Sturaro), Hernanes, Pjanic, Alex Sandro; Cuadrado, Mandzukic
A disposizione: Neto, Audero, Evra, Chiellini, Marchisio, Asamoah, Kean
Allenatore: Allegri
ARBITRO: Mazzoleni
ASSISITENTI: Marrazzo, Vuoto
QUARTO UFFICIALE: Tonolini
ARBITRI D’AREA: Rocchi, Russo
AMMONITI: 24′ pt Rincon, 33′ st Cuadrado, 36′ st Cofie, 47′ st Sturaro, 49′ st Biraschi
15a Serie A Genoa-Juventus 3-1
di Andrea Lapegna
Contro il Genoa, i peggiori 30 minuti della Juventus di Agnelli offrono un pretesto per stilare il compendio di tutto quello che non si dovrebbe fare in una partita di pallone.
Every cloud has a silver lining è un un proverbio anglosassone, che propone di cercare il “contorno argentato” delle “nuvole nere”. Significa semplicemente saper cogliere quel che c’è di bello e positivo nelle cose negative. Io provo a fare lo stesso. Ho il privilegio di poter commentare quella che passa alla storia come la peggior prestazione della Juventus nell’ultimo quinquennio e spicci; così spiccatamente non-Juve da risultare estraniante, specialmente per chi la guarda. Figurarsi per chi l’ha vissuta.Ring
In conferenza stampa, Allegri ha dato prova di quella sottile arte sospesa tra imperscrutabilità, genuina onestà, e troll. È riuscito ad offrire moltissimi spunti per la formazione della partita domenicale, pur lasciando spazio all’interpretazione dei singoli giornalisti, e a ben vedere fornendo più di una formazione verosimile. “Se Higuaín gioca, sarà accanto a Mandžukić”, “Cuadrado può fare tutti i ruoli dell’attacco”, “Marchisio può fare due partite di fila e sa ancora fare la mezz’ala”. Così, i giornali hanno scritto del 3-5-2 con la coppia di attaccanti pesanti, del 4-3-3 mutuato dalla partita di Champions, e c’è chi ha ipotizzato Cuadrado seconda punta. Il tutto, ancora una volta, al netto degli infortuni che – mettiamola così – condizionano la fantasia dei cronisti.
Alla fine, la Juventus scende in campo a Marassi con la calda coperta del 3-5-2, ma con le carte mischiate. Le grafiche di inizio partita danno Lichtsteiner tra i tre dietro, con Benatia a sinistra. Marchisio riposa, e accanto a Mandžukić c’è Cuadrado. Jurić risponde con il suo caro 3-4-3, con Simeone jr al centro dell’attacco. In realtà sin dalle prime battute è chiaro che Lichtsteiner farà il quinto di centrocampo e non il terzo di difesa, dal momento che Khedira ha ampiamento dimostrato di trovarsi più a suo agio con un esterno tradizionale accanto. La vera novità però è che a Cuadrado viene data in consegna la fascia sinistra.
Destro…
Non c’è nemmeno il tempo di prendere le misure televisive dell’avversario, che già siamo saltati sul divano. Il colpo di tacco di Bonucci è quel gesto così superficiale, ancorché telefonato, che se l’avessimo visto su un campo di calcetto da parte di un nostro compagno di squadra, l’avremmo assalito. Quello che rende la situazione ancora più paradossale è che sia venuto dal giocatore bianconero che di solito è più concentrato e “sul pezzo”. Uno che è abituato a strigliare gli altri, e non ad essere strigliato. Desolante anche vedere il ritardo con cui i compagni si accorgono di dover correre all’indietro: il più reattivo (meno fermo) è Alex Sandro, che ha il mesto merito di contrare una conclusione (che intramezza due miracoli di Buffon).
Preludio in Si[meone] minore
La segnatura di Simeone non scompone il piano gara del Genoa, quando avrebbe dovuto quantomeno smuovere le coscienze dei giocatori zebrati. Jurić si è fatto portavoce di un calcio giocato sul recupero palla più alto possibile ed ha portato all’estremo, almeno in Italia, il concetto di verticalità. Seguendo le orme di Gasperini, il 3-4-3 si declina in dei duelli a tutto campo, accettando di lasciare semi-libero il solo Hernanes, ma guadagnando una preziosa superiorità numerica sulla propria trequarti contro i due attaccanti bianconeri. Il pressing squisitamente orientato sull’uomo ha messo in difficoltà il giropalla bianconero, con i difensori della Juventus che non si aspettavano di essere attaccati anche sulla prima circolazione. Una volta mosso il pallone e scatenato il pressing, la manovra veniva scientemente indirizzata sulle fasce, dove lo sciame ordinato di giocatori rossoblu prendeva la forma di una nuvola di piranha attorno al portatore.
Pressing all’uomo e densità sui corridoi laterali per ingabbiare il malcapitato avversario.
In fase positiva, la tensione verticale del Genoa si sostanzia nelle transizioni che hanno origine dalla pressione portata. Come in occasione del primo gol, i giocatori rossoblu hanno sempre la fronte alla porta, e cercano sempre la giocata in diagonale (se non proprio in verticale). Poi se si perde il pallone si difende correndo in avanti, mai allungando il campo scappando all’indietro. È un atteggiamento encomiabile, che attinge a piene mani dallo stato dell’arte attuale in materia d’intensità e attenzione.
…sinistro…
La Juventus invece non è altrettanto reattiva né psicologicamente né fisicamente per poter intaccare questo meccanismo alla Fast and Furious. Per questo lo spettatore riceve la sensazione di una squadra in balia dell’avversario: le brevi fasi di possesso altro non erano che una preparazione ad una nuova scorribanda rossoblu. In particolare, Laxalt e Lazović hanno offerto una prestazione strabiliante, trovando un fertile terreno di ricezione alle spalle dei nostri esterni, incapaci di accorciare o di trovare le giuste distanze con il rispettivo difensore (preso dal diretto avversario).
Giocate in verticale e Lazovic che riesce a superare un imbelle Alex Sandro; sul cross, Benatia perde dilettantisticamente Simeone. I bianconeri sono delle belle statuine.
…KO
La Juventus è in bambola, non gira la testa e non girano le gambe. Il centrocampo manca di fosforo, mentre i grifoni sembrano posseduti. Se non trovano la profondità, riescono a trovare i cross e le imbeccate, anche perché Benatia sembra soffrire più di tutti l’assenza di una bussola, perdendo a ripetizione il proprio uomo in area.
Qui Alex Sandro deve staccarsi dal proprio uomo per andare a contrastare Rigoni; il suo disturbo è stato fondamentale per indurre l’avversario in errore.
Se si esclude lo schock mentale, il vero problema della Juventus è stato a livello fisico. Non si riusciva a star dietro ai loro movimenti, non offriva adeguata copertura ai loro tagli profondi, non si impedivano le giocate diagonali accorciando sul secondo uomo e si lasciava il terzo libero di ricevere nello spazio creatosi da uscite al rallentatore.
In una partita dalle connotazioni negative gargantuesche, non poteva mancare la frittata da calcio piazzato, come da triste tradizione. Il colpo del KO arriva da calcio d’angolo, quando Benatia corona una mezz’ora da neuro lasciandosi sovrastare di testa. La confusione che ne consegue porta all’autogol di Alex Sandro.
Al di là del preoccupante infortunio muscolare di Bonucci, il primo vero cambiamento Allegri lo attua intorno al 35’ minuto, quando la Juventus passa al 4-3-1-2. La mezz’ala a destra è Alves, Pjanić il trequartista. Se da un lato questa soluzione tampona con la disposizione in campo il problema delle ricezioni dei centrocampisti (ce n’è uno in più), dall’altro non risolve il cruccio di una buona circolazione palla, perché la densità sui corridoi interni è compensata dalle strette linee dei liguri. Le catene laterali sembrano letteralmente smontate, tanto che i bianconeri arriveranno al cross solo per le iniziative personali e solitarie degli esterni. E sono comunque cross infruttuosi.
Nella ripresa la Juventus parte con buon piglio, trova anche dialoghi efficaci tra le linee; ma si vede che è una reazione drogata dall’orgoglio e/o dalla strigliata dell’allenatore dello spogliatoio. Intendiamoci, si sono create buone occasioni (Khedira, Rugani, due con Mandžukić e Sturaro), ma su tutte gravava l’enorme macigno psicologico di aver buttato al vento la partita con la prestazione della prima frazione.
C’è un dato, che più di tutti fotografa la differenza di approccio tra Genoa e Juventus. Nei primi 60 minuti, i grifoni hanno commesso 18 falli, contro i 3 fischiati ai bianconeri (a fine partita saranno 26 a 8). L’aggressività del Genoa non potrebbe sostanziarsi in modo diverso, e dall’altra parte la Juventus è molle, tanto molle da non saper nemmeno arrivare a commettere fallo. Da una delle punizioni concesse dal Genoa scaturisce l’unica rete bianconera, peraltro emblematicamente l’illuminazione di un singolo: non avremo mai saputo raggiungere la rete con giocate da squadra. A parere personale, partite così non si pareggiano nemmeno giocando per tre giorni.
Realtà vs fantasia
La sfida di ieri è stata irreale. Un po’ come quando nei cartoni animati il maldestro coyote taglia la rupe e a cadere è lui con tutta la montagna: anche da piccoli sapevamo che una situazione del genere non rispecchia la realtà fisica delle cose, ma ridevamo lo stesso. Così, a Marassi si è creato un cortocircuito dello spazio-tempo, per cui a scendere in campo non è stata la Juventus pentacampione d’Italia. E quindi di conseguenza, io non me la prendo per la prestazione. La cosa migliore del pomeriggio è stata la lucida risposta di Allegri ad una domanda sull’intervento su Mandžukić in area rossoblu: “ho detto all’arbitro che ha fatto bene a non darci il rigore perché partite così è meglio perderle”. Non c’è nemmeno bisogno di dire di voltare pagina, è talmente lampante che non c’è nulla da salvare dal rettangolo di gioco, che sarebbe ridondante. Noi tifosi invece dovremmo ricordarcela questa partita, perché non ne vedremo tante altre così.
di Davide Terruzzi
Commento sulla sconfitta col Genoa. Il black sunday bianconero e il black out mentale.
Qualsiasi partita di calcio è un mix di fattori. La tattica, la condizione atletica e la testa sono quegli ingredienti che determinano la prestazione di una squadra, variando l’incidenza e l’importanza da gara a gara. Chiaramente dentro la sconfitta col Genoa ci sono fattori tattici, ma sarebbe alquanto sbagliato ridursi a queste. La Juventus ha delle questione di campo aperte da tempo (il rebus dei centrocampisti, la posizione di Pjanić, le spaziature e i movimenti senza palla) delle quali abbiamo scritto e parlato in maniera ripetuta, ma nessuna di questa ha determinato quanto successo a Genova. La prestazione col Genoa è soprattutto figlia di un approccio mentale chiaramente insufficiente. Quando non si marca l’uomo in area, quando si fanno tacchi, quando si assiste a quello che fanno gli avversari significa essere spettatori e non protagonisti. Una Juventus che doveva sapere che per la formazione di Jurić la sfida con i bianconeri è una delle più attese e doveva aspettarsi una gara improntata sull’aggressività, sulla corsa e sull’intensità, sapendo che sarebbe stata una battaglia calcistica dalla quale si poteva uscire vincitori con le proprie qualità ma pareggiando la loro durezza mentale. Il Genoa si è autoalimentato vedendo le difficoltà iniziali juventini aumentando il proprio tasso di convinzione, entusiasmo ed energia; la Juventus si è semplicemente smarrita assomigliando tanto a un pugile incapace di reagire, perché quando una partita è approcciata male non è mai semplice rimettere le mani sul volante e prenderne il controllo. Dal primo minuto di gioco semplicemente gli uomini di Allegri erano completamente assenti. Tranne qualche eccezione (Buffon soprattutto), a dimostrazione che hanno steccato la partita tutti, la squadra quindi, e non solo qualche singolo. Mi pare sbagliato trovare quindi paragoni anche con le altre sconfitte. Vero che sono arrivate tutte e tre dopo un impegno di Champions, ma è altrettanto vero che queste sconfitte sono diverse tra di loro: con l’Inter esperimenti falliti, un po’ di mollezza mentale e una condizione fisica non ottimale; col Milan partita giocata sugli episodi (che è un limite della Juventus sia chiaro); col Genoa semplicemente non si è scesi in campo. I cinque giorni post Siviglia erano più che sufficienti per recuperare energie fisiche e mentali, contando anche su una rosa che resta comunque profonda. Allegri avrà certamente contribuito con una formazione con tutti gli esterni destri in campo, avrà capito che Cuadrado è un esterno e non può giocare a tutto campo perché è anarchico tatticamente e non riesce a muoversi tra le linee, ha probabilmente sbagliato a non inserire una seconda punta quando si è trovato sotto due a zero,ma le critiche feroci di parte dei tifosi, la minoranza netta, che vogliono la sua testa sono figlie dell’eccesso dei social in cui alcuni fanno il tifo per le proprie opinioni. La Juventus ha quindi problemi tattici, che non si sono nemmeno verificati col Genoa (mentre col Siviglia nel secondo tempo sì e lì si era giocato male perché movimenti e spaziature sono stati sotto la sufficienza), ma difetta anche di determinazione, concentrazione, intensità. Lo testimoniano i tanti, troppi, gol subiti su palle inattive; lo dimostrano alcune partite in cui la squadra gioca sotto ritmo per poi accendersi improvvisamente e nuovamente ritornare a spegnersi (Chievo ne è un esempio). La forza della Juventus di questi anni è stata anche mentale. Non tutte le partite si vincono perché semplicemente si è più forti e prima o poi arriva il gol. Col Genoa è stato evento raro, ma la durezza mentale è l’ingrediente fondamentale per qualsiasi vittoria. Più che giocare bene. E anche in questo la Juventus attuale non sta esprimendo tutto il proprio potenziale. Magari la non prestazione di Genova servirà a tutti ad esprimersi al massimo mentalmente nelle prossime cinque gare prima della sosta.
A CALDISSIMO / Genoa-Juve 3-1: mai più una prestazione del genere, intesi mister?
Sfida delicatissima per i bianconeri dopo il pass europeo conquistato a Siviglia, si va a Genova sul pericolosissimo campo del Genoa di mister Juric, primo di una serie di impegni di grande difficoltà nel programma della Vecchia Signora da qui alla pausa natalizia.
In cascata a quella strana tendenza che va avanti da inizio stagione, Allegri inventa ancora l’ennesimo undici titolare con Dani Alves nei tre dietro accanto a Bonucci e Benatia, Lichtsteiner ed Alex Sandro larghi in fascia, Hernanes in mezzo con Pjanic e Khedira, c’è Cuadrado in appoggio a Mandzukic in attacco.
Dopo centoventi secondi ingannevoli fatti di buona presenza fisica, il pomeriggio si incanala subito su binari da incubo per Buffon: Bonucci commette una leggerezza imperdonabile praticamente al limite della propria area di rigore, Rigoni ne approfitta, il portierone juventino non può fare miracoli a ripetizione all’interno della stessa azione, e così alla quarta conclusione consecutiva nella stessa spinta offensiva arriva l’1-0 di Simeone. Cholito che si ripete alcuni istanti dopo sfruttando un buco di Alex Sandro a sinistra, e soprattutto di una marcatura tutt’altro che rovente dei centrali bianconeri. Non si sveglia in nessun modo la Juve, tanti errori individuali ma anche tanto disordine tattico, come facilmente prevedibile leggendo i nomi in campo e guardando la posizione a loro dedicata. Quasi inevitabile arriva il 3-0 che è la fotografia perfetta della prima mezz’ora di gioco: corner con dormita generale, l’ultimo tocco che è quello di Alex Sandro che fa partire i titoli di coda del match con un’ora d’anticipo. Nella ripresa si vede un’altra Juve, nulla di particolarmente travolgente, ma è anche ovvio considerando il triplo vantaggio che permette ai padroni di casa di gestire con la massima tranquillità un match per loro inaspettatamente facile. Come se non bastasse, arrivano nell’arco del match anche altre due tegole: gli infortuni di Bonucci e Dani Alves che probabilmente costringeranno a stop forzati per entrambi. La punizione finale di Pjanic non addolcisce neanche minimamente l’amaro pasto genovese, marcatura utile solamente per le statistiche: novanta minuti di disastro totale.
Dopo i passi falsi di San Siro, dunque, arriva in quel di Genova la terza sconfitta stagionale: una partita che evidenzia fortemente quello che si dice da qualche tempo su questa squadra, brutta da vedersi e probabilmente troppo confusionaria sino ad oggi in controllo del campionato più per la forza dei singoli anziché per un’armonia generale di squadra. Ci sarà da lavorare, tanto, e sperare in una svolta più o meno immediata perché dietro sicuramente non resteranno a guardare sempre e comunque, a partire dal Milan già vittorioso ieri, e a seguire con Roma e Napoli che ora avranno la possibilità di ridurre drasticamente il distacco dalla vetta.
A CALDO / Genoa-Juve 3-1: E dove siamo? All’Ufficio Brevetti?
E’ la Juventus concepita in estate quella che ha perso (male) contro il Genoa a Marassi?
No.
Non c’erano Higuain al centro dell’attacco, Dybala al suo fianco, Alves o Cuadrado o entrambi sulla corsia di destra, Pjanic nel cuore del gioco, magari in asse verticale con l’equalizzatore della squadra Marchisio, che resta unico nel suo genere perché capace di modulare il tipo di partita (di corsa, filtro, gestione del ritmo, contrasto, gamba, senso tattico). Non c’era la BBC, per quanto il risultato nasca da un’elongazione dell’unico superstite. Il resto, la si metta come si vuole, è puro contorno se il chiodo fisso è quello di non potersi permettere di regalare due partite su diciannove. Praticamente una su dieci. Che non è il risultato, è proprio la partita ciò di cui si questiona. Delle collocazioni, con il solo Dybala (più Barzagli) fuori dal conto di questa sconfitta. Degli ingranaggi, mentre la sensazione è che si lavori alla spasmodica ricerca della meccanica. Andiamo per ordine e andremo lontano. Una volta tutti assieme i tre mancini di sinistra, un’altra tutti i laterali destri. E dove siamo? All’Ufficio Brevetti?
Fermi tutti, però. Perché siamo tutti un po’ colpevoli.
Le squadre perfette non esistono, tantomeno in un calcio come quello italiano, ancora aggrappato a logiche classiche, che non ama palpitazioni e senso dell’intrattenimento. La Juve ne è dentro, ne è parte, eppure contro il Genoa parte con nove stranieri e in meno di mezz’ora è 3-0 per gli altri. Non che sia questa la causa. Ma, volendo, rifettiamoci. Allegri ama giocare con le dita vicine alla presa della luce, forse era nell’aria, e già solo che non si pareggi in campionato da un secolo è un altro fatto che tiene questa Juventus su un piano anomalo. Il mister dà l’impressione di essere scaltro, creativo, fortunato, permaloso e a tratti artistico, troppo poco convenzionale.
E’ dunque una Juventus figlia dello spogliatoio quella che ha perso (male) a Marassi?
Sì.
Questa volta più di altre.
In campo tutti i lamentosi (per carità, ognuno ha il suo carattere) contemporaneamente fatta eccezione per Evra che intanto la sua Champions se l’è giocata.
Più Hernanes che, l’avrete inteso, non fa parte di questa categoria.
Sembra facile, la difesa a tre.
Sembra facile perché si era spinta fino a sopportare un vertice basso come Pirlo.
Tutto sembra, con il brasiliano al centro di tutto. Nessun capro espiatorio, ma rinunciare ai compiti di una dorsale rende questa squadra ogni volta un indecifrabile invertebrato.
E poi la la difesa a tre va allenata e assortita. Non si fa da sola.
Infatti, molto meglio a quattro, anche con l’inedito Rugani-Benatia (per gli amanti dei giochini sulle coppie ideali), perché improvvisamente finiscono al posto giusto Dani Alves, quarto basso sfigato poi anche lui, e perfino il faccio-tutto-io Alex Sandro che non deve galleggiare in zona Pjanic o far conto su qualcosa che, defilato, il bosniaco non ha (in nessuna delle due fasi). Proprio l’ex romanista, protetto e in trequarti, finisce per apparire vivo e non totalmente carbonizzato dal flipper rossoblu.
Di Higuain che deve correre come un ossesso per prendersi mezzo centimetro in area di rigore ne riparliamo dopo l’Atalanta. Ci sono sette giorni per rimettere in ordine il laboratorio. Un bel gioco dura poco. Mandzukic, che non è un titolare, è uno dei pochi ad averlo capito. E non basta, proprio perché non si tratta di essere presunti pupilli di Allegri o Momblano. La differenza sta nei modi, non nel voto in pagella. Il giorno in cui il croato (e lo farà) dovesse davvero adeguarsi è perché, appunto, saremo definitivamente quella Juventus là, quella concepita in estate e immersa nelle umidità di Vinovo. Immaginatela. Senza pensare sempre e solo a Paulo Dybala, a quel vuoto, anche se vi capisco nel profondo.
Genoa – Juventus: numeri e ragioni di 45′ da incubo
Per analizzare in modo oggettivo Genoa – Juventus, o meglio, i primi 45 minuti che di fatto hanno indirizzato la partita, occorre fissare un paio di paletti. Primo: vietato fare drammi, strapparsi i capelli, disperarsi e inveire contro tutto e tutti. Sono stati 45′ indiscutibilmente disastrosi, i peggiori della stagione per distacco e tra i peggiori dell’intera gestione Allegri, ma vanno inseriti nell’ottica giusta, senza generalizzare giudicando l’allenatore e/o i giocatori solamente per questa prestazione, come se l’intera stagione della Juventus dipendesse da un primo tempo di un qualsiasi Genoa – Juve. Secondo: evitare anche l’atteggiamento opposto, ascrivendo la débacle di Marassi a “semplice incidente di percorso”. Certo, può esserlo davvero, ma una sconfitta diventa utile se e solo se è capace di accendere uno o più campanelli d’allarme nella testa di chi allena e chi gioca. Chiarito ciò, poniamo la nostra lente d’ingrandimento sui 45 minuti di follia (se proprio vogliamo chiamarla così) che hanno gettato la Juve in pasto ai padroni di casa.
Le statistiche relative alle conclusioni a rete descrivono già da sole una gara decisamente diversa dalle solite: la Juventus, che solitamente concede all’incirca 8 tiri in porta a partita alle avversarie, ha concesso al Genoa ben 9 conclusioni solamente nei primi 45 minuti di gioco. Sanguinosa aggravante, il fatto che tutti e 9 i tiri siano arrivati da dentro l’area di rigore, che da bunker impenetrabile in quel di Marassi si è trasformata in un groviera. Il grafico di cui sopra, realizzato da Sofascore, rappresenta la pressione offensiva minuto per minuto nel solo primo tempo, evidenziandone l’intensità, e dipinge al meglio l’andatura di una gara nella quale la Juve, nonostante la netta superiorità nel possesso palla (65% contro 35%, un distacco notevole), non sia praticamente mai stata pericolosa, subendo invece oltremodo qualsiasi iniziativa offensiva del Genoa.
Le cause principali del crollo? Sono molteplici, tutte concatenate tra loro, e non riguardano solamente la difesa:
- Le prestazioni individuali in fase di possesso: Bonucci, protagonista in negativo, oltre all’errore sul primo gol ha sbagliato il 29% dei passaggi tentati nei 33′ disputati, contro il 16% di media a gara, stessa percentuale di errore di Hernanes che solitamente viaggia sull’87% di passaggi riusciti. In pratica, le due principali fonti di gioco della Juventus hanno giocato ben al di sotto delle proprie possibilità, la manovra ne ha risentito pesantemente e gli errori in serie hanno permesso al Genoa di ripartire sempre pericolosamente;
- Le prestazioni individuali in fase di non possesso: su tutti Alex Sandro saltato netto da Lazovic nell’azione del 2-0, un unicum, ma anche la scarsa attenzione di Bonucci e Benatia in area in diverse occasioni. Errori marchiani che certificano un pomeriggio nato male e finito peggio;
- alcuni mismatch non letti da Allegri hanno influito pesantemente sulla gara. Primo: con Veloso squalificato, Juric ha schierato una mediana molto più di lotta che di governo, con Cofie e Rincon, ai quali va aggiunto Rigoni che è solito fare la spola tra centrocampo e attacco. A due/tre centrocampisti di corsa e garra la Juventus ha opposto Hernanes, Khedira e Pjanic; buoni se si riesce a tenere in mano il pallino del gioco, inefficaci se c’è da arginare un contropiede o un’azione veloce;
- secondo: Dani Alves, schierato da centrale di destra, avrebbe dovuto avere una funzione di gestione più che di contrasto delle offensive avversarie, ma la pessima gestione della palla ha esposto l’ex Barça agli attacchi di un Ocampos in fiducia, più potente e più rapido di lui. I susseguenti cambi di posizione non hanno migliorato la sua prestazione, ma hanno sicuramente tamponato la voragine che si apriva ogniqualvolta l’ex River Plate affondava sulla corsia di destra bianconera;
- ultimo, ma non ultimo, il cronico problema relativo ai calci piazzati. Contro il Genoa è arrivato il quinto gol subito sugli sviluppi di un calcio da fermo, dopo quelli di Kalinic, Antei, Icardi e Tolisso, per un inquietante 35,7% delle reti incassate in stagione (14 tra campionato e Champions).
Colpe più o meno equamente divise tra allenatore e interpreti, dunque. Non dev’essere una sconfitta come questa ad insegnare ad Allegri che troppi esperimenti tutti insieme, in un campo storicamente complicato e in un momento positivo per la squadra dal punto di vista dei risultati, ma delicato per i tanti impegni importanti ravvicinati, non possono che complicare le cose. I tre punti oggi erano tutt’altro che scontati, ma qualche scelta meno cervellotica nella disposizione dei giocatori avrebbe probabilmente ridotto i problemi della squadra. Dall’altra parte, alcuni singoli hanno bucato la partita dal punto di vista mentale prima ancora che fisico, indipendentemente dalla foga agonistica messa in campo dal Genoa per un tempo. Succede anche ai migliori, soprattutto dopo una gara mentalmente pesantissima come quella di Siviglia. Correttivi? Non dobbiamo essere noi a indicarli, un’analisi delle problematiche approfondita come e più di quella appena condotta ha già in sé tutte le risposte. Tornare a essere la Juve significa pensare da Juve, comportarsi da Juve, giocare da Juve, com’è successo martedì scorso e come dovrà succedere sin dalla difficilissima partita contro l’Atalanta.