La Juve e gli altri top club: confronto tra i rendimenti di questo avvio

Per quanto la Juventus sia saldamente in testa alla classifica, non c’è una totale soddisfazione all’interno del tifo. Si pensa (probabilmente a ragione) che la squadra abbia le potenzialità per fare di più, che gli investimenti compiuti in estate e il livello della rosa a disposizione giustifichino un rendimento più efficiente.

Visto che l’obiettivo espresso pubblicamente da Andrea Agnelli è la Champions League, può essere interessante vedere come se la stanno cavando gli altri top club nei rispettivi campionati, raffrontando il loro cammino con quello dei bianconeri.

Certo, tra una lega e l’altra ci sono profonde differenze: sia nella competitività generale, sia nella struttura. In alcune nazioni (Inghilterra) la singola gara è tendenzialmente molto più incerta, mentre in altre (Germania) tra Bayern e competitors c’è sulla carta un gap più elevato. Tuttavia, dare un’occhiata al rendimento generale può aiutare ad avere una panoramica più globale.

PUNTI

Le tre capolista di Italia, Spagna (Real Madrid) e Germania (Bayern Monaco) hanno la stessa media punti: 2.5. Se il Liverpool dovesse poi vincere la prossima gara (in Premier si sono giocate 11 gare contro le 12 della Serie A), la media dei reds sarebbe di 2.4, praticamente identica.

Alla luce del calendario, però, la posizione in classifica della Juventus appare la più solida. Big match con la Roma a parte, finora la squadra di Allegri ha già giocato contro praticamente tutti i principali rivali. Discorso diverso per Zidane e Ancelotti, attesi da sfide impegnative: il primo nelle prossime settimane affronterà il derby con l’Atletico, il Clasico e le trasferte del Mestalla e del Sanchez Pizjuan; i bavaresi se la vedranno subito al Westfalen Stadion col Borussia Dortmund, senza contare i match contro Herta Berlino e Lipsia.

Insomma, prescindendo dai giudizi sul livello dei vari campionati (discorso comunque non secondario), si può tranquillamente affermare che in termini di classifica la Juve abbia la situazione più agevole.


OCCASIONI CREATE

Nonostante la società in estate abbia sensibilmente alzato il livello offensivo con l’imponente investimento Higuain, finora la Juventus ha per distacco il peggiore attacco tra le capolista europee: 25 reti in 12 gare. In 11 gare, Real Madrid e Liverpool ne han realizzati rispettivamente 30 e 31, mentre il Bayern è a quota 24 in 10 match.

In generale, la Juve tira in porta meno rispetto agli altri top club e, soprattutto, conclude abbastanza poco dentro l’area di rigore. Certamente, nella manovra offensiva i bianconeri devono migliorare  molto: le cose migliori si vedono in transizione, c’è ancora troppa difficoltà nel sapere cose fare col pallone quando l’avversario è schierato.

Inoltre, la difesa del vantaggio è finora uno degli aspetti più lacunosi della Juventus odierna, soprattutto nella gestione del pallone, tant’è che in molti lamentano una mentalità eccessivamente speculare e passiva quando c’è da difendere il golletto di vantaggio, anche contro avversari sensibilmente inferiori.

Curiosamente, va poi aggiunto che, ad oggi, la Juve è la squadra in vetta (considerando anche il Barcellona a 2 punti dal Real Madrid) che ha segnato di più su calcio di punizione diretto: 2 volte, con le reti di Pjanic a Verona e Dybala contro l’Udinese che hanno risolto situazioni spinose.

D’altronde, una grande squadra deve avere il maggior numero di frecce nel proprio arco proprio per saper sfruttare qualsiasi circostanza. Dopo l’addio di Pirlo, essere tornati a disporre di simili specialisti è sicuramente importante.


TIRI SUBITI

Di contro, la fase difensiva della Juventus si manifesta tra le più solide d’Europa, con appena 9 gol subiti. Questa cifra appare comunque alta se relazionata a quello che sono effettivamente riusciti a creare gli avversari: vengono in mente le gare contro Fiorentina e Milan, in cui Buffon è stato inoperoso per la stragrande maggioranza del match.

Rispetto alla Juventus, han fatto  meglio solo in Germania, dove Bayern e Lipsia (con 2 gare in meno però) hanno concesso rispettivamente 6 e 7 reti. Per quanto riguarda i tiri subiti a partita, i bianconeri sono addirittura al secondo posto in Europa, dietro solo ai bavaresi.

Curiosamente, negli altri campionati le squadre che hanno concesso in assoluto meno gol sono già abbastanza staccate dalla vetta della classifica. Il Tottenham di Pochettino, primatista in Europa con appena 6 segnature concesse, è a 5 punti dal Liverpool (che di gol ne ha già incassati 14). Atletico Madrid (8 gol) e Villareal (7) sono rispettivamente a 6 e 5 lunghezze dal Real Madrid.

Quindi, che per vincere il titolo occorra assolutamente avere la migliore difesa è un postulato che fuori dall’Italia ignorano beatamente, ed è una preoccupazione pressoché nostrana.  All’estero, infatti, si accetta con molta più tranquillità l’idea di rischiare qualcosa in più nelle retrovie pur di adottare un atteggiamento più propositivo.


CONCLUSIONI

L’evoluzione tattica di questa Juventus è un tema oggi tanto enigmatico quanto interessante.  Allegri da un lato ha le risorse per impostare una manovra più offensiva, corale e “spregiudicata”, dall’altro è una figura che tiene molto conto del parere dello spogliatoio. E le dichiarazioni dei senatori dicono che molti uomini non hanno voglia di rivoluzionare l’atteggiamento, e che di conseguenza si continui a preferire una partita in cui si crea relativamente poco ma in cui, allo stesso tempo, si concede pressoché nulla all’avversario.

I dati fin qui esaminati ci aiutano già a cogliere le principali differenze tra Juventus e principali club europei. Vedremo se l’intenzione di Allegri è quella di mutare sensibilmente la mentalità generale della squadra  o se invece non si vedranno cambiamenti significativi sotto questi termini. In ogni caso, a prescindere dalle filosofie di gioco e dal suo modo di intendere il calcio  (cose che si possono benissimo non condividere), il tecnico livornese in questi due anni ha già dato prova di preparare bene il singolo match. Quindi, per nessuno sarà facile vedersela con la Juve in Champions.

L’evoluzione dei laterali nell’era di Andrea Agnelli

L’evoluzione dei laterali nell’era di Andrea Agnelli

Nel calcio degli ultimi anni c’è un ruolo la cui interpretazione è cambiata più di tutti gli altri. Se da una parte l’atavico interesse dell’appassionato medio del Gioco è tradizionalmente concentrato sugli attaccanti e i fantasisti, l’occhio scrutatore dei più accaniti divoratori di tattica è caduto sulla moderna concezione del ruolo del terzino, sempre più decisivo. In una grande squadra infatti, la qualità del laterale è importante ormai quasi quanto il bomber da 30 gol. Noi della Juventus lo sappiamo bene, dato che possiamo godere delle prestazioni di due tra i migliori interpreti al mondo.

Alex Sandro e Dani Alves nella stessa squadra rappresentano un punto di svolta nella concezione della coppia di fascia nella Seria A. E’ una primizia, da tempo immemore, che una squadra italiana vanti due stelle (casualmente ma non troppo anche della stessa nazionalità) del panorama internazionale. Tendenzialmente illegali, i due brasiliani sono uno dei punti di forza della squadra di Allegri.

Durante l’era Agnelli, sulle corsie esterne si sono alternati moltissimi giocatori, la maggior parte dei quali rivelatisi inadatti a vestire una maglia pesante e pretenziosa come quella della Juventus.

Il tifoso bianconero si è oramai ben abituato, ma nonostante ciò non è raro imbattersi nelle sensazioni di disagio e sconforto di chi si ritrova immerso nei ricordi della stagione delneriana. I nomi di Grygera, Traoré, De Ceglie, Motta e Sorensen rievocano ancora brividi e una sensazione di imbarazzo mista a gratitudine per esserne usciti alla grande. E non si preoccupino i pochi stoici capaci di aver rimosso certi ricordi completamente. Siamo qui per voi.

Stagione 2010/2011. Primo anno della presidenza Agnelli. Il 5 luglio 2010 la Juventus acquisisce, con la formula del prestito oneroso a 1,25 milioni e il riscatto fissato a 3,75 milioni pagabili in tre anni, uno dei più grandi oggetti misteriosi della sua storia recente: Marco Motta. Agli inizi di carriera e nelle nazionali minori sembrava potesse diventare un giocatore di livello ma purtroppo per lui, e per noi costretti a guardarlo, il suo periodo alla Juventus è stato un eufemico scempio. In stagione colleziona 32 presenze, portando in dote zero luci e tantissime ombre.

A dargli il cambio spesso e volentieri (più per disperazione che per concrete ispirazioni tattiche o turnover di sorta) sulla corsia si alternavano uno Zdenek Grygera al tramonto della sua carriera juventina mai davvero sbocciata e Frederik Sorensen. Il centrale danese classe 92, preso in prestito per appena € 20,000 dal Lyngby, fu una delle poche note tutto sommato positive della stagione. Arrivato come difensore centrale, viene adattato da mister Delneri sulla fascia destra, lasciando nei ricordi più nitidi e nel nostro cuore, oltre alla sua corsa macchinosa, l’assist con un cross pennellato a Matri in occasione del gol vittoria all’Olimpico contro l’Inter.

Ti vogliamo bene, Fred.

Sulla fascia sinistra, oltre a Chiellini in versione terzino, abbiamo assistito alle apparizioni di due personaggi dall’aura mistica: Paolo De Ceglie e Armand Traoré. Il primo, in bianconero dall’età di 10 anni, è protagonista di un ottimo inizio di stagione, terminata purtroppo precocemente a causa di una frattura alla rotula, risultato di uno sfortunato scontro di gioco a fine ottobre nella clamorosa vittoria per 2-1 a San Siro contro il Milan, nella quale eseguì quello che probabilmente resta il suo miglior gesto tecnico in anni di Serie A: un bellissimo cross per il gol di Quagliarella. L’infortunio lo costringerà a saltare tutta la stagione, e rientrerà solo per l’ultima di campionato contro il Napoli.

Cosa avrebbe potuto essere Paolo De Ceglie?

Breve storia triste anche quella di Armand Traoré in bianconero, scelta di scorta del grande Beppe Marotta all’ultimo giorno del mercato estivo. Il francese arriva dall’Arsenal in prestito oneroso, per circa € 500.000, probabilmente in ripiego alla mancata acquisizione del più quotato Clichy (di cui curiosamente era riserva a Londra). La sua stagione rimane una delle più drammatiche di un singolo nella storia recente del club: una serie infinita di infortuni muscolari lo costringono ad un’annata fatta di tribune ed appena una dozzina di presenze. Sfogliando l’album, di lui resteranno una prestazione decente nella sconfitta interna per 1-0 contro il Milan (#mainagioia), e due novità assolute nella storia bianconera: il cross all’indietro, a U, e una frattura da fatica (!). A giugno torna all’Arsenal, condividendo con i tifosi bianconeri il desiderio di far finta che il 2010/11 non sia mai esistito.

La stagione 2011/2012, primo anno di Antonio Conte allenatore, rappresenta una svolta epocale sotto molteplici aspetti. Come perfetta metafora dell’evoluzione che attendeva la Juve, troviamo il passaggio di consegne sulla fascia destra: in estate infatti, per 10 milioni di euro, arriva colui che sarebbe poi diventato una delle colonne portanti degli anni a venire: Stephan Lichtsteiner. Lo svizzero, (autore non per nulla del primo gol della Juventus allo Stadium in partita ufficiale, su una combinazione con Pirlo che sarà solo l’antipasto di tante altre gioie sullo stesso asse negli anni a venire), è stato il padrone della fascia destra per cinque anni.

Dove tutto (ri)cominciò.

Stephan non è mai stato un giocatore dal piede raffinato, dal cross puntuale o dalla preziosa capacità di palleggio, ma con la grinta, la corsa, l’intelligenza ed un’attenzione tattica maniacale ha saputo compensare gli evidenti limiti tecnici. Grazie alla sua attitudine è diventato uno degli idoli di una tifoseria che, storicamente, si rispecchia sempre in giocatori con questo tipo di verve. Nonostante i suddetti limiti, il suo nome rimarrà inciso negli annali come uno dei migliori assistman della Juve del (momentaneo) quinquennio.

Caparbietà, presenza, intesa. Stephan Lichsteiner.

L’anno del Trentesimo si è dipanato principalmente attraverso due sistemi di gioco, il 4-3-3 della prima metà, martello devastante che fece sussultare il campionato, e il 3-5-2 della seconda prima vera svolta identitaria, apice di una consapevolezza acquisita e sfocio definitivo della voglia di voler portare a casa uno scudetto leggendario. Simone Pepe, arrivato in prestito oneroso l’anno precedente (durante il quale si è barcamenato, con qualche infamia e pochissime lodi, sporadicamente persino da terzino) ma esploso con la gestione Conte, il quale ne bloccò la cessione a pochi giorni dalla fine del mercato, lasciando intuire chiaramente a società, giocatore e pubblico la centralità che Simone avrebbe rivestito nel suo progetto tattico.

Giocatore di grandissima generosità e agonismo, Pepinho abbinava un utilizzo scolasticamente ordinato dell’interno e del collo del piede destro ad una corretta applicazione delle consegne del Mister, diventando titolare da esterno alto di destra, amando l’inserimento a fari spenti sul secondo palo, gli efficaci tiri ad incrociare e qualche assist e rendendosi persino protagonista di uno dei gol più iconici della stagione, in rovesciata contro la Lazio su una ennesima visione del Maestro, nell’ultima vera PartitaDiAlexDelPiero.

L’asse poetico Pirlo – esterno di destra. La folle stagione di Pepinho.

Nella seconda fase di stagione Simone tira un po’ il fiato, contribuendo ad insidiare in Antonio Conte l’idea della riproposizione del sistema che ebbe tutto sommato successo nell’ostica trasferta di Napoli, terminata in rimonta 3-3, in cui lo stesso Pepe si rese determinante da interno di centrocampo in sostituzione di Claudio Marchisio, prestazione culminata con una rete da uno contro tutti.

Nascere esterno e “morire” quadrato.

Pepe sembrò adattarsi agevolmente al ruolo di mezz’ala, tuttavia un infortunio rimediato su un imbarazzante prato barese per un inutile Trofeo Tim gli costò il futuro in bianconero: non riuscì mai più a tornare in campo con continuità.

Ma l’idea dell’esterno impiegato da mezz’ala di inserimento e quantità non fu mai accantonata da Conte: Emanuele Giaccherini, arrivato in sordina dal Cesena per circa € 7 milioni, venne utilizzato in diversi ruoli offensivi prima di trovare la più efficace collocazione torinese da interno, grazie alla quale riuscì a conquistare l’affetto anche degli spettatori più reticenti.

A gennaio del 2012 torna a vestire bianconero un altro giocatore particolarmente amato dalla tifoseria e dal gruppo: Martín Cáceres. L’uruguagio è essenzialmente un centrale, un marcatore fisico e potente, ma anche uno dei giocatori più polivalenti in circolazione data la sua abilità nell’interpretare ogni ruolo della difesa. Il suo impiego sotto Antonio Conte prima e Max Allegri poi, è stato un ventaglio: esterno destro nel centrocampo a 5 (dal quale esordì a San Siro in coppa italia siglando un’epica doppietta), terzino destro, centrale di destra, centrale di sinistra, terzino sinistro, esterno sinistro di centrocampo (rarissimamente, a gara in corso). Il quinquennio di Martín è stato croce e delizia: prestazioni esaltanti, gol e assist pesantissimi, huevos e garra. Tante gioie ed altrettanti guai, tra infortuni assidui e disavventure fuori dal campo.

Ritorno in punta di piedi.

Il biennio 2012/2013 e 2013/2014 vede le novità Isla e Asamoah, annunciati in sincrono dalla Juventus. La stragrande maggioranza (tutti?) dei tifosi era convinta che il giocatore cileno fosse quello da cui attendersi le cose più eclatanti. Isla si fece conoscere a Udine in effetti da grande giocatore, capace di belle cose sotto la sapiente mano di Guidolin, da mezz’ala o terzino destro, eguadagnandosi le attenzioni dei big club. Fatale l’infortunio in uno scontro di gioco con Ambrosini, che gli costò un crociato e tanti mesi di assenza. La folla di presunti pretendenti si diradò, e la Juve fiutò l’occasione. Avventura purtroppo mai sbocciata, complici sicuramente le difficoltà a rientrare in campo, ad assimilare i dettami tattici (suo lo svarione che costò il 2-2 a tempo quasi scaduto contro il Galatasaray in casa nel 13/14), la mancanza di personalità, si è rivelato il “vorrei ma non posso” della fascia destra.

Kwadwo Asamoah, che all’Udinese faceva la mezzala mancina, è stato spostato da subito sulla fascia sinistra da Conte. L’attuale allenatore del Chelsea non è un amante delle mezzali monopiede e in Asamoah ha visto enorme potenziale come giocatore esterno. La scommessa è stata vinta e il ghanese (il cui nome tradotto in italiano significa “Lunedì”) è stato l’assoluto padrone della linea mancina. Dotato di corsa, buona tecnica di base e ottima prestanza fisica, il numero 22 è stato per un paio d’anni il miglior interprete del ruolo nel campionato. Il doppio passo e lo scarico in mezzo al compagno che si inseriva hanno erano un pensiero fisso delle difese avversarie. Faceva forse sempre la stessa cosa, ma la faceva molto bene. Di lui ricordiamo con gioia una Enorme prestazione nel 3-0 al Chelsea, due spettacolari gol a Napoli (supercoppa) e Fiorentina e tanta abnegazione ed efficacia. Grande assente dal Gennaio al Maggio del 2013, a causa della nefasta coppa d’Africa, costrinse il mister ad impiegare Peluso (arrivato come sostituto di Chiellini), il redivivo De Ceglie, Padoin o il fratello Isla nel suo ruolo, con risultati altalenanti. Kwadwo ci ha abituato bene, ed il drammatico infortunio al ginocchio rimediato nel suo primo match da terzino nella difesa a 4 sotto Allegri, contro l’Olympiakos, è stata la pietra sul giocatore che tanti cuori ha rubato.

Palla c’è, palla non c’è.

La stagione 2014/2015 inizia con il botto, le dimissioni di Conte dopo due giorni di ritiro sono un fulmine a ciel sereno. L’arrivo del “nemico” Max Allegri sulla panchina si è rivela una piacevole sorpresa, un curioso esperimento. Ed anche in questo caso, il cambiamento si rispecchia in un acquisto che segna un solco con i predecessori: da Manchester per la fascia sinistra arriva Patrice Evra, leggenda dei Red Devils. Il terzino francese è stato per anni uno dei migliori interpreti del ruolo al mondo, ha vinto tutto nella sua carriera e ha portato alla Juventus un bagaglio di esperienza e carisma notevole. Arrivato a Torino, dimostra subito di non essere più lo stesso giocatore degli anni passati. Tuttavia lo zio Pat, soprannominato così da Pogba per la sua “saggezza”, si rivela una solida garanzia difensiva, provvidenziale per convincere Allegri ad impiegare la linea difensiva a 4. Col tempo il pragmatismo ha avuto la meglio, e con intelligenza si è reso conto dei propri limiti, iniziando a giocare senza strafare, offrendo le migliori prestazioni possibili per un giocatore di 33/34 anni, soprattutto dal punto di vista difensivo. La sua prima stagione si è conclude con uno spiacevole primato. A causa della sconfitta in finale di Champions League contro il Barcellona, il terzino francese è diventato, nonostante una buona partita ed una clamorosa diagonale su Messi, il giocatore con più finali perse: 4. Insomma, un bianconero vero. Possiamo riassumere (precocemente) la carriera bianconera di Evra in due tronchi: il Patrice terzino a 4, decisivo e perno, ed il Patrice esterno di centrocampo, titubante e offensivamente statico, seppur solido e attento. Quest’ultima deriva ha fatto notare anche al mister un futuro migliore da centrale di sinistra, ruolo in cui esalta le sue doti in marcatura, duelli aerei e letture difensive.

Durante tutti gli anni di Antonio Conte alla Juve la richiesta alla dirigenza per la fascia destra è sempre stata una sola: Juan Cuadrado. Non è mai stato possibile accontentarlo, nonostante i tentativi. Nel destino del colombiano la Juventus però c’era, ed agli albori della stagione 2015/2016 il matrimonio si è finalmente celebrato.

Arrivato a Torino a mercato quasi concluso, a causa della delusione per la trattativa Draxler l’acquisto di Juan non è stato celebrato come avrebbe meritato. Il giocatore portava sulle spalle sei mesi deludentissimi al Chelsea e molti dubbi sulla sua intelligenza tattica. Ha inaugurato con un gol decisivo contro il Toro all’ultimo secondo l’incredibile ciclo di vittorie che ha portato allo scudetto e prestazione dopo prestazione ha conquistato tecnico, dirigenza e tifoseria. Durante tutto l’anno si sono visti miglioramenti costanti anche nelle letture difensive e si può sicuramente dire che il colombiano sia stata una delle stelle della squadra di Allegri. A fine stagione, dopo la scadenza del prestito, ha lottato con le unghie per tornare a Torino, diventando oltre che una delle storie di mercato più apprezzate dall’universo juventino, anche una lezione amministrativa magistrale: prestito triennale, a 5 milioni l’anno, riscattabile obbligatoriamente al raggiungimento di determinate condizioni per un totale di 25 milioni più eventuali bonus. Un’operazione che farà scuola.

Montero, che diceva “o la palla o la gamba”, con Juan avrebbe avuto parecchi dubbi.

Un’altra operazione atipica per i canoni bianconeri è stata quella che ha portato sotto la mole il brasiliano Alex Sandro, dal Porto per la notevole cifra di 26 milioni nonostante il contratto in scadenza, dimostrandosi uno dei giocatori più dominanti al mondo nel suo ruolo e alternandosi con Evra sulla corsia mancina, passando una sorta di tirocinio alle spalle dell’esperto francese. Paragonato in patria a Roberto Carlos per come spadroneggia sulla fascia, si è contraddistinto sia in fase offensiva, grazie a una notevole capacità di saltare l’uomo, effettuare cross dal fondo o la trequarti, attaccare per vie interne grazie alle grandissime doti di conduzione e controllo del pallone, che in quella difensiva, dove la specialità della casa è il tackle, pulito e sempre indirizzato al recupero del pallone orientandolo in modo tale da agevolare la giocata successiva più consona.

Fare la differenza.

Alex Sandro, dopo un anno di tirocinio forzato, conoscerà la titolarità ed il suo gemello perfetto. Il giornale britannico The Guardian una volta lo ha definito “il giocatore più forte al mondo dopo Messi”. Daniel Alves da Silva, meglio noto come Dani Alves, è stato uno dei segreti del successo degli ultimi anni del Barcellona. La notizia del suo arrivo a Torino ha scatenato delirio. Ad uno dei migliori terzini sinistri al mondo, si aggiunge anche il più forte terzino destro in assoluto nell’epoca recente. Il suo palmares personale recita 34 trofei vinti, è una leggenda vivente. Dani Alves si sta imponendo alla Juve come il regista ombra della squadra, da vera evoluzione moderna del ruolo: catalizza il gioco, tocca più palloni di tutti e si propone come un attaccante aggiunto sulla fascia destra. Dani risparmia le corse a perdifiato sulla linea laterale, non per una questione di atletismo (ancora di primo livello) ma per un’indole associativa e spregiudicata con la quale può garantire uno sbocco fondamentale per la circolazione pulita della palla ed il consolidamento del possesso, diventando arma preziosa per scardinare le difese avversarie o persino ribaltare l’azione sul lato opposto grazie alla capacità di lancio. Quando la manovra collettiva fatica a produrre a causa di scarsi movimenti senza palla dei compagni o di un’eccessiva presenza avversaria nel corridoio centrale e nell’halfspace di competenza, da buon esterno brasiliano Dani non lesina i cross accurati, rigorosamente dalla trequarti, con la quale crea sistematicamente un’occasione da gol, seppur di realizzazione non sempre comoda. Con la personalità e la filosofia che si porta dietro sta cercando di seminare nello spogliatoio tarli della sua concezione di gioco (impresa vagamente donchisciottiana), improntata sul rischio a campo aperto, sulla sfrontatezza del vincente, tanto poi se qualcosa dovesse andar storto la si può sempre raddrizzare con la superiorità tecnica. Purtroppo il suo stile non viene ancora apprezzato dall’opinione pubblica italiana, che non manca di tacciarlo di “gigioneggiare” anche quando non gioca.

Pensare e muoversi con due tempi di anticipo. Roba da pochi.

Il breve viaggio nel tempo tra le fasce esterne della rosa bianconera aveva un duplice scopo:

1 – capire da dove partivamo e il percorso di crescita straordinario che si è fatto

2 – capire (o almeno provarci) dove la Juventus del presente/futuro sta andando.

Il punto 1 è presto esaurito: il lavoro svolto dai capoccioni di Corso GalFer è stato superlativo, a livello tecnico (il salto da Motta agli esterni attuali è come passare dal triciclo alla Ferrari) e non solo. La Juventus FC ha acquisito appeal anche agli occhi dei giocatori. Un Dani Alves non lo convinci solo con i soldi: per svernare ci sono i sempreverdi paesi arabi o gli States.

Discorso analogo per un giovane, anche se già affermato, dal talento purissimo come Alex Sandro: quando deve scegliere la squadra in cui lanciarsi definitivamente lo fa, lo deve fare e lo vuole fare a ragion veduta.

Arriviamo dunque al punto 2:

Il ben di Dio messo a disposizione va utilizzato nella maniera corretta:

Gli ingredienti ci sono tutti, sta al capo cuoco farli diventare un grande piatto.

Lo chef attuale è quello adatto a portare a compimento questa missione? Non si tratta di stabilire (fosse anche possibile) se Allegri è un bravo allenatore perché la risposta è naturalmente affermativa, ma se sia quello più adatto all’evoluzione in atto nella Juventus.
Se, come dicevamo all’inizio, il terzino è il ruolo che più è cambiato negli ultimi 20 anni e la cui importanza è passata da periferica a centrale nel gioco del calcio moderno, come si sta adattando a questa realtà la Juventus?

La risposta è così così. La necessità di risultati a tutti i costi e un calendario fitto come la nebbia padana stanno limitando gli esperimenti (non scellerati, ma dovuti) che una rosa con tale varietà meriterebbe.

Regnano ancora vecchi equilibri difficili da spezzare, basti pensare che Alex Sandro per diventare titolare ci ha messo una stagione intera, spesa in staffette con Evra, nonostante un evidente mismatch tecnico a favore del brasiliano.

Le difficoltà attuali di Dani Alves dipendono principalmente dallo scarto tra la sua teoria e la pratica con cui si confronta quotidianamente. Molti dicono di lui “ancora non ha capito dove gioca”, qui invece diciamo che forse siamo noi, intesi come tifosi e ambiente, a non aver ancora capito come dovrebbe giocare una squadra che vuole imporsi anche in Europa. Nessuna presunzione, solo un semplice sentore: Dani potrebbe essere profeticamente provvidenziale per una svolta decisiva nell’atteggiamento, per trovare un’attitudine più consona all’Olimpo a cui aspiriamo.

La Juventus FC deve decidere cosa fare da grande, fuori dal campo e dentro.

Uno snodo centrale per la crescita dei prossimi 3-5 anni, così centrale che passa anche per le fasce.

 

Di Dario PergolizziLazar Perovic, Willy Signori