La Juve in Champions: magari fosse solo “l’approccio”

Magari fosse solo l’approccio. Vorrebbe dire che poi, per il resto della partita, la squadra reagisce, si organizza, ci crede, spaventa.

Ora, è ovvio che se la prima idea che ti viene, dopo avere aspettato per mesi un’altra chance dopo il Lione, è di regalare subito un gol a una squadra che sa perfettamente come difendersi in modo aggressivo e ripartire, la serata si preannuncia complicata. E il mio televisore è ancora lì al suo posto per puro caso, perché di quell’inizio allucinante ha fatto le spese un mini carrello pieghevole di cui ho testato così la resistenza agli urti: promosso.

Però questo, appunto, è il primo minuto. Più che approccio della squadra, viene da pensare che Bentancur – e non partecipo al gioco di individuare capri espiatori di settimana in settimana – talvolta paia aver perso la principale caratteristica che ci ha fatto intravedere in lui il potenziale da centrocampista da Juve: il carattere, ancor prima che le geometrie o la delicatezza del tocco.

Tutti, in quel momento, al di là di prendercela con il malcapitato oggetto di fronte a noi, abbiamo pensato che avremmo assistito a una serata nera, stile Lione. Lì, tuttavia, mancano 90 minuti circa: hai tutto il tempo per reagire e studiare qualcosa. Invece no, possiamo fare il riassunto per chi ieri abbia avuto qualcosa di meglio da fare che calciare carrelli e minacciare televisori: una squadra era aggressiva, talvolta aveva qualche occasione, sapeva anche fare falli piuttosto decisi per far capire chi aveva più voglia; l’altra eravamo noi, timidi, lenti in modo indescrivibile, senza un’idea, capaci solo di imbottigliarci proprio dove i nostri rivali erano chiusi in maniera perfetta. E lo so che sembra solo una semplificazione per rendere il tutto simmetrico, ma dopo un quarto d’ora in cui pensi che abbiano distrutto lo spogliatoio per la rabbia, prima di sfogarla in campo, accade esattamente lo stesso: in sette contro due tira a 5 metri dalla porta uno dei due, siamo sotto 2-0 e il risultato non è la cosa peggiore cui stiamo assistendo. Pochi minuti e ancora loro, con un centrocampista che arriva a calciare una specie di rigore dopo essersi fatto trenta metri da solo, senza ostacolo.

Nulla, non c’è reazione. Ed è vero che se dovessi fare i nomi degli uomini, nei vari ruoli, più capaci di palleggiare, farei quelli di Bonucci, Cuadrado, Arthur e Dybala, ma un’impotenza di questo genere non è giustificata neanche dal non avere a disposizione neanche uno di questi quattro. Perché noi che siamo cresciuti con la Juve di Lippi abbiamo imparato che si può vincere a Roma con Grabbi protagonista, che se serve Tacchinardi fa il centrale di difesa, Tudor di centrocampo e lo spirito non cambia, si può fare qualcosa di buono in ogni caso.

C’è un giocatore, da un po’, che interpreta perfettamente il ruolo che riveste, cioè un giocatore importante della Juventus: è quello già bollato come inadeguato a inizio stagione da parte di molti di noi, ha aperto l’anno sovrastando il Milan e ieri ha tenuto vive le speranze, con un gol bello e difficile, dopo essersi già fatto apprezzare quantomeno per la voglia e la vivacità dimostrate.

Finisce 2-1 e magari finirebbe pure 2-2, se solo l’arbitro non avesse fretta di tornare a casa a mangiare, ma per quanto visto il risultato finale è giù più che positivo: siamo ancora vivi e al ritorno basterebbe vincere, quasi in qualunque modo.

Ma per crederci davvero serve cambiare tutto: recuperare gli infortunati, ritrovare la condizione, mostrare più grinta e (perché no?) anche cattiveria, essere più rapidi, aggredire, spaventare. Insomma, tutto quello che non si è visto ieri. Resterà solo il carrello, che con la sua resistenza si è meritato la conferma ed è bene che sia lì, davanti a me, pronto a ogni evenienza.

Il Maestro Massimo Zampini