Cerchiamo di essere brevi, perché questo articolo lo abbiamo scritto un centinaio di volte.
Nel modesto racconto del calcio italiano ci sono delle regole, che ormai dovreste avere imparato a memoria: se la Juve non vince si parla di campo, proprio come piace a noi. Lì vengono scandagliate le posizioni di Dybala e Kulusevski, la compatibilità di Morata e Ronaldo, i troppi spazi lasciati dietro, si sorride delle capacità di Pirlo (o di Allegri appena arrivato, di Sarri che non ci mostra lo sbandierato bel gioco e così via), si sentenzia sui flop del mercato. Un bel Verona, un coraggioso Crotone, oh, non vi lamenterete dell’arbitro se pareggiate contro due squadre nettamente inferiori? O addirittura farete sospendere quel povero Fourneau, ecco, l’hanno sospeso, anzi no, vabbè, lo farete bloccare più avanti.
E noi dell’arbitro non parliamo, anzi, viene multato Paratici per avere protestato durante la parti e la cosa fa scalpore: ma come, pareggiano con Verona e Crotone e vanno a caldo dall’arbitro a protestare? Non cambiano mai…
Il secondo assioma del postulato riguarda invece alcune nostre rivali e in particolare l’Inter, come funziona il racconto del calcio quando le cose non vanno come vorrebbero.
E arriviamo al caso di giornata.
I nerazzurri non riescono a battere in casa un Parma in faticosa ripresa dopo settimane complicate a causa dell’emergenza che ha falcidiato la prima squadra: i gialloblu sono reduci dal pareggio interno con lo Spezia e la sconfitta di Udine.
Ebbene, l’Inter a mezz’ora dalla fine è
sotto di due gol, accorcia, chiede un rigore con Perisic e pareggia
proprio con il croato in pieno recupero. 2-2. Quindi?
Quindi sparisce il calcio
(perché i nerazzurri erano sotto a San Siro all’ultimo minuto? Sono
Lukaku dipendenti? A che punto è la squadra di Conte? Niente, vietato
discuterne) e parte un maxi moviolone di un paio di giorni che farebbe impallidire il povero Biscardi.
Marotta si scatena denunciando un vuoto normativo (lo stesso vuoto,
supponiamo, degli sgambetti su Perotti e Zaniolo in area nerazzurra, del
placcaggio di Lautaro, del mani di Young contro il Sassuolo, solo per
citare i primissimi episodi che ci vengono in mente su questi anni di
Var), la Gazzetta fa la prima pagina indignata e utilizza aggettivi
utilizzati raramente come “nettissimo” e “gigantesco”. Sono passate
oltre 24 ore ma siamo ancora lì, al rigore richiesto da Perisic,
Marotta, Gazzetta e compagnia. Siamo alla notte di domenica,
eccoci al “Club” di Sky, dove viene ospitato Rizzoli e quando stiamo per
andare a dormire il campo è completamente sparito dal weekend
calcistico: il Sassuolo dimezzato che vince al San Paolo, il
Milan che non molla, la Juve che riparte, la Roma che convince, la
Lazio che vince non si sa come: i temi sarebbero molteplici, ma il
postulato non ammette sconti. Se l’Inter si lamenta, il tema è quello,
non se ne esce. Rizzoli lo ammette subito: il rigore c’era, il Var ha
sbagliato a non intervenire. Bene, e quindi?
Non si sa, intanto Marotta scrive a Caressa, che legge al designatore, il quale sbugiarda il nostro Beppe ma non importa, il moviolone continua: errori contro il Milan, contro la Roma, contro la Juve (ma lì non si capisce niente, se ne parla in modo confuso: si intuisce che su Bernardeschi era rigore – del resto lo sapevamo da un po’ – ma il tema non intriga i presenti in studio, si passa oltre in un attimo, sennò il postulato che fine fa?), insomma l’Inter decide che per un weekend dobbiamo parlare del Var e non di campo – dopo il match con il Parma sarebbe complicato – e ci riesce perfettamente, come da tradizione.
Piccinini chiosa: “dipende dai punti di vista, Marotta alla Juve non era favorevole al Var mentre ieri l’avrebbe voluto”. Parrebbe una vaga allusione, non centrata, per due motivi: intanto perché il Var è stato introdotto nel 2017 e da lì, con qualunque applicazione, il campionato lo ha vinto sempre quella squadra che alcuni pensavano sarebbe crollato dopo l’ingresso del monitor in campo. In secondo luogo, Marotta ha espresso dubbi sulla sua applicazione, dichiarandosi “favorevolissimo” alla tecnologia sin dall’ottobre del 2017 in un’intervista in cui affermava, pur se con toni ben più concilianti del Beppe nerazzurro, più o meno le stesse cose: “Il protocollo del Var andrebbe coordinato meglio per renderlo un po’ più armonico. Faccio un esempio: è normale riconoscere che il gol segnato domenica da Mandzukic all’Atalanta era da annllare, siamo perfettamente d’accordo. Ma è altrettanto legittimo domandarsi se valutare o meno con il Var il presunto fallo da rigore subito da Higuain al 94′”. Detto che lì non avrebbe avuto tutti i torti a lamentarsi, visto che nelle prime giornate accadde di tutto, da un rigore concesso all’attaccante del Genoa in fuorigioco a un penalty per Mandzukic diventato espulsione per Marione, Marotta non è cambiato a seconda dei punti di vista, dice più o meno le stesse cose, è semplicemente diventato più “aggressivo” sul tema, come capita a chi finisce da quelle parti. L’unica vera differenza è che oggi non definisce più le polemiche interiste “imbarazzanti“ come un tempo, ecco, ma questo si può comprendere.
Avevo promesso di essere breve e non ci sono riuscito. Avrei voluto parlare di Danilo che importa, McKennie che si inserisce, Arthur che ragiona, la difesa che soffre un po’ troppo, l’atteggiamento un po’ molle, Morata che segna sempre, Cristiano Ronaldo che in due minuti spiega la differenza tra averlo e non averlo a disposizione.
Ma non è il weekend giusto. Per il calcio, per parlare di campo, ripassate la prossima volta. Quando la Juve non vince e le rivali sì.
Il Maestro Massimo Zampini.
Marotta ritrova la lingua e Sky piange con l’Inter
L’indignazione dell’abate Marotta e il rinnovamento della Chiesa arbitrale
NON E’ VERO CHE la lingua di Marotta se l’era mangiata il gatto, se ripensate agli anni juventini. “E’ doveroso da parte mia esprimere il nostro parere sugli arbitraggi”. Doveroso. O il topo, dipende dalle fonti. “Stiamo assistendo ad un susseguirsi di valutazioni sbagliate”. Il topo, mi sa. Non ricordo bene. “Non sono qui per protestare, ma per denunciare un vuoto normativo”. Ci mancherebbe, Marotta. “Non voglio creare un alibi per il pareggio col Parma, sarei intervenuto in ogni caso”. Poco ma sicuro, Marotta, e chi le discute la coerenza: tutti rammentano con applauso le sue levate di scudi dopo l’artistico rigore negato da Giua (16 luglio) allo spallino Strefezza, piallato da Handanovic senza che il Var dicesse bah, o dopo i clamorosi falli di mano in area di Young, scorso Inter-Sassuolo, o di Bastoni, scorso Inter-Torino e con i granata sopra di uno verso la fine del primo tempo. Fece scalpore, dopo quei match, la sua uscita accorata, la sua coerenza illuministica in recensione agli imbarazzanti smaccati favori ricevuti dall’Inter, per giunta in una stagione in cui (alla Juve) era stato sanzionato il mani o la punta del gomito anche a chi sbagliava l’odore del sapone e\o delle ascelle (De Ligt con Lecce e Torino, Bonucci col Milan, potenziali cinque punti; gli abbracci innamorati a De Ligt con Bologna e Sassuolo, quello su Ronaldo in Juve-Fiorentina).
“Oltre a questa sera, manca un clamoroso rigore non dato in Benevento-Inter”: sì, un mani possibile di Tuia su tiro di Barella, a poco dalla fine e con i Prescritti appena sul 5-1. Desolante, compromettente. Chi era l’arbitro quel dì? “Ancora Piccinini”.
Scusi, Marotta, ma allora non è questione di vuoto normativo: c’è una chiara, bieca congiura demoplutocratica che oltrepassa i confini doganali e che invia dei sicari dall’identikit ben preciso. “C’era rigore su Lukaku anche martedì in Champions”. Vede, appunto, per voi che da almeno quindici anni subite il Diffuso Sentimento e vi ritrovaste per puro caso un vostro consigliere (Guido Rossi) a benedirlo: la faccenda è seria e bisognerebbe resuscitare almeno lord Gladstone.
SCORREVA IL POST Inter-Parma di sabato – un sabato italiano – tra le facce dei flagellanti in studio Sky, incapaci di accettare l’idea che al 94’ il colpo di testa di Vidal fosse finito fuori; e tutto sommato non si trovava di meglio che parlare di calcio: la facilità con cui la Biscia da un po’ prende gol, la facilità con cui li sbaglia, l’inettitudine disperante di Lautaro, l’imprescindibilità di LukakHulk, che sbrigandosela da solo in genere permette agli scrivani rosa di sostenere che l’Inter è una gioia per gli occhi; quando a un certo punto è comparso Marotta. E giù le sue Niagara Falls: Balagh su Perisic è rigore tutta la vita, come si fa a non vederlo, come si fa a non darlo, ma il Var perché non è intervenuto, Piccinini ci danneggiò già a Benevento e comunque, appunto, c’è quel vuoto normativo là. Non c’era vuoto né normativo in Juve-Verona, per la cintura a Bernardeschi di Faraoni e nell’area piccola, dott. Marotta? Per la mancata espulsione di Tonelli (a martello su Ramsey lanciato) da parte proprio di ‘sto Piccinini, in Juve-Samp? Per l’espulsione comica di Chiesa a Crotone? Visto l’argomento, anche e soprattutto lì, e dato il cognome dell’espulso, un abate cluniacense come lei avrebbe dovuto prendere il microfono e lanciare la sua religiosa invettiva riformistica a reti unificate (“sarei intervenuto in ogni caso”).
Ma di gran lunga più comico di quell’espulsione è ciò che sarebbe seguito nello scorso sabato italiano, con Paolo John Goodman Condò e Billy Montessori Costacurta a precipitarsi sullo zerbino del diggì: quanto ha ragione, come si fa, per favore, anche la trentottesima volta, guardate tutti, palla alta e mani addosso, dove finiremo di questo passo?
Marotta alla buon’ora salutava, prima o poi.
Loro, no: disco rotto e per non so quanti minuti, Inter defraudata, Inter presa di mira, Inter Var-icocelica. In attesa del pesce grosso, Antonio Conte, che non arrivava mai.
Che dirà? Che farà? Scazzotterà l’intervistatore? Prenderà a calci il sicario Piccinini che passa col borsone dopo la doccia? O uno dei guardalinee, tanto per? Invocherà la terza riunione degli Stati generali, dopo quella di Re Sole del 1614?
Fiduciosa attesa con mani giunte e sguardo supplice.
Ahimè, anzi: ahiloro.
Conte finalmente arriva, però l’arbitro non se lo caca neanche.
Semmai sottolinea durissimo coi suoi che non si può sbagliare tanto, né quando si prende un gol come il primo di Gervinho né quando si manda sui gradoni un numero di pallegol talmente elevato, questione di cattiveria, di determinazione, nel calcio vince chi la butta dentro, noi no.
Noi no.
Loro no.
Attoniti, i flagellanti prendevano e portavano a casa: nessuno a quel punto ha osato rimettere bocca sulla congiura demoplutocratica e sull’affaire Balagh-Perisic. Toccava tornare a parlare di calcio, di cifre, di situazioni, di Eriksen, di palla aperta o scoperta (Montessori Costacurta).
Tanto che, quasi in calce, Trevisani si è visto cristianamente costretto a farsene carico: mister Conte, a proposito del rigore su…
Risposta: io parlo del campo, chiedete alla dirigenza.
Quale che fosse il motivo, o la strategia, o il sottotesto.
Chi se ne sbatte.
Un po’ meno, appena meno ininfluente è che, dai dieci minuti seguenti alle ore di là da venire, il ritornello mediatico si sarebbe cicatrizzato – indovinare – sul torto angoscioso e sulle vessazioni sistematiche subite dalla Beneamata per colpa di Piccinini. Il Radiorai di domenica mattina, posso testimoniarlo, lo inseriva tra i titoli d’apertura, nella stessa scaletta dei 50 milioni di covid. Abbiamo qualche esperienza, sodali gobbi, o no? Ricordate i tg, i lanci, le testate, le aperture e gli speciali della primavera 2006? Ragioni misteriose mi indussero, qualche anno fa, a segnarmene una di Thoreau: “Diffida di ogni impresa che richiede abiti nuovi”. Se davvero è così dorma sereno nella culla della sua eroica impresa, dott. Marotta.
I suoi abiti nuovi sono talmente vecchi.
Marco Tarantino.