Che sarebbe stato un weekend difficile lo abbiamo capito già diversi giorni prima, quando i soliti noti hanno prima deriso l’ingaggio di Juric, ovviamente raccomandato da Moggi, e poi rilanciato con toni tra il malizioso e il rassegnato la balla di Piatek a riposo in vista della Juve. Il nostro cammino a punteggio pieno, a quel punto ne eravamo certi, si sarebbe fermato contro i rossoblu. Ovviamente, al contrario di altri giocatori chiave di determinate squadre contro altre pretendenti al titolo, il polacco ha giocato e il nuovo tecnico del Genoa ha tolto i primi punti ai bianconeri, dopo averli già sconfitti pochi anni fa, ovviamente grazie alla raccomandazione di Moggi.
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Il gol di Ronaldo, dopo un palo e prima di altre conclusioni del portoghese, Cancelo inarrestabile, la Juve che diverte, si diverte, crea occasioni, ci fa pensare che forse vinceremo agevolmente anche questa, ma pian piano ci spegniamo, si avverte una strana aria e non siamo sorpresi quando arriva la rete del pareggio genoano – col pallone che sì, mi pare stia uscendo, dai, uscirà, ah no, è ancora in campo, che noia, ora crossa ma siamo messi male e segna di testa un giocatore più basso di tutti i nostri difensori -, che illustra bene i rischi derivanti da un atteggiamento supponente, quasi come se si credesse davvero alle fesserie dei media sul campionato già chiuso, dimenticando che già contro Frosinone, Chievo e Parma avevamo dovuto soffrire fino alla fine per vincere.
A quel punto, come da tradizione, non essendo consentito alla Juventus pareggiare una partita dopo due mesi di calcio ufficiale, comincia la caccia al colpevole da individuare (Bonucci che non lo tiene, Szczesny che non esce, Benatia che non va sul pallone; oppure Allegri, che è come il nero e va sempre di moda), non cogliendo appieno il principale pericolo: l’eccessiva sicurezza, appunto, la consapevolezza di essere forti, fortissimi, ben più pericolosa dei singoli errori individuali. Le motivazioni contano almeno quanto la bravura, poche squadre storicamente lo sanno meglio della nostra, e ogni anno diventa più complicato trovare le motivazioni per battere di nuovo chi non ti sconfigge da una vita, quando intorno tutti (molti tifosi juventini compresi, ahimè) pensano che lo scudetto sia già vinto prima di cominciare.
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Per il resto, il weekend scorre sereno, in quanto le prime rivali della Juve vincono, noi per una volta ci blocchiamo e allora basta, con questi noiosi discorsi sui cartellini, la gestione, i gialli tuoi che diventano gialli altrui (con incredibile accerchiamento dell’arbitro per convincerlo a farlo diventare un rosso altrui!), i rigori concessi per falli di mano così e così, basta, dai, la ricordate la regola fondamentale? Se le distanze dalla Juve si accorciano e non si allungano non è tempo di polemiche, ci si torna finalmente a godere il magico mondo del pallone, tornato limpido per una domenica: bentornato, caro vecchio calcio!
E noi, sia chiaro, lo ripetiamo fino all’inverosimile, preferiamo così. Paradossalmente, le giornate in cui apprezziamo di più media e dintorni sono queste, quelli in cui non vince la Juve, perché finalmente si parla di calcio, e per noi, in questi due giorni, semplicemente il Napoli è stato più forte dell’Udinese (che ha avuto le sue occasioni e le ha sprecate) e l’Inter ha voluto il successo nel derby molto più del Milan, trovandolo alla fine con un super centravanti che segna appena ha mezza occasione, in qualunque tipo di partita. Altro che quei ragionamenti tragici che ci siamo abituati a sentire in questi anni, in virtù dei quali “tu intanto ammonisci il loro giocatore e lasciami Biglia senza giallo, a quel punto cambia l’inerzia perché lui può intervenire e blablabla”, tutte idiozie, l’Inter ha voluto il derby nettamente di più ed è riuscito a vincerlo all’ultimo tentativo. Punto e a capo.
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Così, chiudono la domenica le notizie sulla salute di Emre Can (in bocca al lupo, ragazzo!) e più tardi, nei salotti televisivi di un certo livello, quelli ammiccanti alla Juve, ci si chiede se in Champions se peserà più l’assenza di Messi o quella di Nainggolan. Due che da sempre in Europa fanno il bello e il cattivo tempo.
Vallo a sapere, domanda troppo difficile.
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Per fortuna, a tranquillizzare tutti, arriva il nuovo presidente della Federcalcio Gravina – una boccata d’aria fresca – il quale, alle prese con un calcio senza stadi di proprietà, tessera del tifoso sostanzialmente fallita, bilanci pericolosi, plusvalenze salvifiche, società che spariscono, altre che devono ripartire dai dilettanti, seconde squadre votate in maggioranza e poi fatte solo dalla Juve, giovani che non crescono, nazionale da tempo lontana dalle big, ci informa in modo solenne che gli scudetti della Juve sono 34 e non 36.
E allora, se prima ero un po’ giù per il pareggio contro il Genoa, adesso improvvisamente sorrido, ora non può più esserci tristezza, perché il calcio italiano è ripartito davvero.
Il Maestro Massimo Zampini.