Forse il miglior modo di definire il rapporto tra Conte e la Juventus si trova cercando la definizione di eclissi sulla sempre affidabilissima Treccani. Conte e la Juventus sono diventati alternativi come il giorno e la notte. La Stella di Conte c’è stata e ci sarà sulla pavimentazione dello Stadium: ma quella stella si è definitivamente eclissata, nascosta.
Roberto Pavanello, firma storica del quotidiano torinese “La Stampa” si è soffermato sul rapporto Juve-Conte nel programma Casa Juventibus, sul canale JB Live twitch e sul dibattito vivace che si è scatenato anche all’interno della tifoseria bianconera, col pensiero che subito alla famosa “stella” allo Stadium.
“La storia non si cancella, così come non si buttano giù le statue”, ha dichiarato Pavanello, “togliere quella stella sarebbe ridicolo; ci faremmo ridere dietro da tutto il Mondo”.
Il tema divide i tifosi con una eclissi della stella Conte già scalfita dall’addio repentino e dalla fuga in Nazionale, col doppio tradimento del matrimonio con l’Inter -rivale di questi decenni fuori dal campo e rivale sul campo ora col suo arrivo- fino all’eclissi totale giunta durante Juve-Inter, con quel gestaccio verso gli spalti, verso la Presidenza, verso la Juventus, insomma.
La Juve non toglierà mai la stella al suo ex-capitano di un’era gloriosa e al suo allenatore-artefice della rinascita, quella è Storia, a prescindere dal presente e del futuro.
La riflessione da fare è molto meno divisiva. Al netto delle posizioni di ognuno sul tema, è tramontato l’idillio tra Conte e tutti (stavolta davvero tutti) i tifosi bianconeri. In anni di “spaccature”, quella su Allegri, quella su Sarri o su Paratici, fino a qualche estate fa le “vedove” contiane erano ancora molte, soprattutto l’estate in cui Antonio poteva essere vicino al ritorno, almeno per alcune speculazioni giornalistiche.
Ora invece la stella Conte è davvero eclissata, sullo sfondo di un rapporto non più logoro ma davvero esplosivo tra Agnelli e il mister nerazzurro, quasi due ex-fidanzati ora nemici giurati, sul campo e fuori.
Il passaggio di Conte all’Inter ha segnato l’inizio dell’eclissi, completata definitivamente ora in modo inevitabile: proprio lì, a pochi passi da dove quella stella è stata incastonata e dove tutto era cominciato. All’Allianz Stadium come l’ha chiamato lui, non più “Juventus Stadium”, il nostro stadio, la nostra casa.
Dove le stelle sono rimaste e rimarranno tutte, ma una si è eclissata per sempre.
Il dito degli ex-allenatori Juventus
Lo strascico più amareggiante che ci ha lasciato la -per il resto splendida- serata di martedì (qualificazione alla finale; la Juve gioca male; Pirlo sempre più Allegri; Andrea Agnelli maleducato; ennesima profezia sballata di Padovan) è che adesso abbiamo non più uno bensì due ex allenatori della Juventus che hanno esposto il dito medio trovandosi su panchine di altre squadre.
Il primo in ordine cronologico venne come noto esposto ai tifosi bianconeri di fronte allo Stadium da un signore in tuta che qualche anno dopo sarebbe stato spinto a forza sulla nostra panchina dall’Adanismo imperante. Da lui ce lo aspettavamo, e ci aspettiamo che ripeta il gesto in futuro, una volta che avrà cessato di percepire denari stando comodamente sul divano di casa. Un dito del tutto prevedibile, che nulla ci lasciò, e di gran lunga preferibile al doverlo vedere sulla nostra panchina.
Questo secondo, lasciatemelo dire, lascia molto di più l’amaro in bocca. Antonio Conte è stato per molti anni il nostro capitano, per poi diventare il condottiero della rinascita, prima di iniziare a peccare di tracotanza, scappando via nell’estate 2014 probabilmente con in tasca già il contratto con la Nazionale e con il suo futuro buon amico e sodale di lamentele arbitrali, Lele Oriali. Nella primavera del 2019 probabilmente sarebbe tornato volentieri, ma qualcuno oppose un senz’altro corretto e condivisibile veto, inducendolo quindi a gettarsi nelle braccia dell’Inter, per una più che abbondante prebenda triennale, che oggi probabilmente pesa assai sulle esigue finanze della proprietà cinese, inducendo quindi nel medesimo Antonio un nervosismo di fondo che va ben oltre la doppia eliminazione nelle coppe (molto peggiore dell’anno precedente).
Però il dito medio imitando il signore in tuta proprio non me lo aspettavo, e ne sono rimasto stupito. Ovviamente l’uomo è ormai prigioniero del suo personaggio, e con quel gesto avrà guadagnato punti nerazzurri (che i risultati del campo non gli stanno granché concedendo, pur rimanendo l’Inter la favorita per la vittoria dello scudetto), ma non doveva permettersi di dimenticare di colpo chi lo ha difeso strenuamente nel periodo in cui veniva trattato come un delinquente, con l’imitazione di Crozza come un intercalare nei discorsi di ogni giorno (il famoso “Agghiaccande”).
Ciò nonostante, memore del quadriennio infernale Ranieri-Ferrara-Zaccheroni-Del Neri, e avendo sempre negli occhi quel primo gol allo Stadium (di Licht, su lancio del Maestro) e i tre fantastici anni che ne seguirono, non mi unisco al coro di chi oggi vuole togliere la stella a un uomo che, dito o non dito, rimane forse quello più decisivo nella storia recente della Juventus.
Piuttosto, pensiamo a quanto sarebbe bello vincere il Decimo, tenendo Antonio ancora una volta dietro. Altro che assuefazione…
Conte è il passato: ora lo sappiamo tutti
La gioia della conquista dell’ennesima finale di Coppa Italia, condita dall’eliminazione ai danni dell’Inter, convive in queste ore con il dibattito acceso sul diverbio tutt’altro che oxfordiano consumatosi a distanza tra il presidente Andrea Agnelli e Antonio Conte nel fine gara.
Se fosse stato uno scontro Ibra-Lukaku si sarebbe subito chiarito che “sono cose di campo”, premettendo ovviamente che Ibra “non è razzista” e Lukaku “un bravo ragazzo”. Ma di mezzo c’è la Juventus e quella rivalità esacerbatasi negli anni, per cui tutto finisce sotto i fari, tanto che di colpo la partita sparisce e prendono spazio i veleni, con la moviola sui labiali, le ricostruzioni più o meno attendibili, gli scambi di accuse e l’indignazione a corrente alternata.
Ma di tutto questo e dell’ennesima petizione sulla rimozione della stella di Conte dallo Stadium qui non parlo, perché l’intenzione è quella di analizzare ciò che, in fondo, anche la partita di ieri ci ha detto oltre il diverbio, il dito medio, l’appello al rispetto e al netto di chi sente di voler parteggiare in maniera chiara per l’uno o per l’altro.
C’è una considerazione da cui parto. Era il giugno 2019 quando inviai una riflessione alla redazione di Juventibus su Conte appena seduto sulla panchina dell’Inter. Da salentino e juventino, avevo seguito con partecipazione tutte le sue gesta da calciatore e mi ero incuriosito al suo percorso di allenatore. Ero, insomma, un suo fan dichiarato. In quell’articolo, in cui nella sostanza esprimevo contrarietà alla rimozione della stella, scrivevo: “Da simpatizzante di Conte ho sperato che un giorno potesse tornare sulla panchina bianconera, ma da tifoso juventino ho subito pensato che la sua storia con la società si fosse definitivamente chiusa lì: Torino resterà sempre casa sua, la Juve probabilmente non più”.
A distanza di quasi due anni e, nonostante una lunga narrativa sul “Conte nerazzurro”, nel mondo Juve è sempre restata latente una cerchia, tutt’altro che ristretta, di innamorati o reduci di una figura ritenuta simbolo della storia bianconera. Perché di Conte si conoscono tutti i pregi: sotto il profilo del lavoro, della mentalità e dell’applicazione, tratti che il professionista ha sempre offerto e assicurato. Ma nel tempo si tende a rimuovere i difetti, che si evidenziano quando li si può osservare con maggiore neutralità.
Personalmente ho iniziato a pensare che il Conte allenatore, soprattutto dopo l’esperienza in Inghilterra, si sia involuto: e non perché sia andato all’Inter (la battuta sarebbe fin troppo facile e scontata), ma perché continua ad essere esattamente lo stesso, sia caratterialmente che tecnicamente, da quando si è seduto per la prima volta sulla panchina dell’Arezzo, del Bari, dell’Atalanta o della Juve.
Tralasciando le campagne europee, le cocenti eliminazioni in Champions collezionate e la finale di Europa League (persa peraltro con un avversario sulla carta più debole) su cui il dibattito è divisivo, l’allenatore salentino è ancora un tecnico umorale, che continua a prediligere agonismo, fisicità e intensità alla tecnica salvo poi contrariarsi quando gli si contesta un gioco “meccanico” e poco spettacolare, in cui tutta la manovra (per stare sull’attualità) si poggia sull’asse di destra nella ricerca costante di scambi ripetuti tra Lukaku-Barella-Hakimi senza la capacità di proporre uno “spartito” alternativo alla specialità della casa.
Poi ovviamente c’è la storia, ormai nota, su cui tanto si è scritto e detto. Quella, cioè, di un tecnico che ha riportato la Juve in alto ma con una società che lo ha sostenuto e supportato rendendolo grande, proteggendolo e difendendolo anche nei momenti più complicati di quel triennio e che poi, al secondo giorno del ritiro, nel luglio 2014 e dopo aver criticato il “ristorante da 10 euro” dove si era seduto, abbandonava la nave tentando poi per anni di ritornare a bordo. Allora sembrò che tutto si sfaldasse e invece la Juve è sopravvissuta al suo ego ed ha continuato a vincere. Proprio questo, più di tutto, invece, Conte ha faticato ad accettare, al punto da accettare la strada più impopolare, quella di sedersi sulla panchina di chi ha messo in dubbio per anni successi e vittorie, anche e soprattutto le sue.
La scena di ieri ha reso evidente come l’eccentricità del salentino e la sua elettricità emotiva non sarebbero state funzionali alla crescita di questa Juve, che nel tempo è mutata, sta cercando di cambiare passo, andando oltre quella che lui aveva contribuito a costruire e rendere solida. E se forse molti innamorati di Conte sono rimasti feriti più dalla sua reazione e dalle parole spese davanti alle telecamere, che hanno segnato probabilmente la fine di una storia trascinata sull’onda dei ricordi, a determinare la resa più di ogni cosa forse è stato proprio il campo, dove si è visto un allenatore reiterare costantemente le proprie ossessioni come principi e una squadra, costruita a sua immagine, che quando si è trattato di dover fare la partita è stata disinnescata nella sua potenza offensiva da un’avversaria, che l’ha eliminata facendo turnover tra andata e ritorno.
La morale è che chi è incapace di evolversi e crescere andando oltre i propri difetti e imparando dagli errori, rappresenta il passato. Agnelli lo aveva capito da tempo. Ora, però, lo sappiamo tutti. E il cerchio stavolta si è definitivamente chiuso.
Bonucci sminuisce la lite Conte – Agnelli: “Cose sempre successe…”
Bonucci ha parlato a Sky della lite Conte – Agnelli e ci ha tenuto a sminuire l’evento, giustificando in parte l’accaduto. Il difensore centrale della Juventus (che con molta probabilità non dovrebbe esserci a Napoli per via di un affaticamento muscolare) ha parlato di “cose di campo”. Queste le sue dichiarazioni a tal proposito rilasciate oggi all’emittente: “Quello che è successo è brutto, ma non sta a me giudicare il perché sia successo e se dovesse esser fatto o meno. Noi dobbiamo essere sempre da esempio, ma a volte diventa difficile in certe situazione. Sono cose queste che sono sempre successe. Oggi pero’ con i microfoni che ascoltano anche uno starnuto è tutto più amplificato”.
Stadi vuoti e ingigantimento di alcuni atteggiamenti che nel calcio ci sono sempre stati. Questo dunque il Bonucci pensiero. Una conferma di quanto tutti gli addetti ai lavori hanno provato a evidenziare, senza riuscirci troppo a dire il vero. Dopo quanto accaduto nel diverbio nemmeno troppo a distanza tra Ibrahimovic e Lukaku, si è ripresentata due settimane dopo per i media una succulenta occasione per ricalcare la mano. La lite Conte – Agnelli che dall’immediato post gara fino ad ora sta tenendo tutti con il fiato sospeso deve pero’ cessare.
Non è stato un bello spot, per i due club e nemmeno per il calcio italiano tutto e adesso è arrivato il momento di mettere un punto e andare a capo, come poi ha fatto anche la Procura della FIGC non ampliando un caso più di quanto non sarebbe stato necessario. La Juventus, dal canto suo, è attesa sabato da una sfida (l’ennesima) cruciale sotto ogni punto di vista. Ed è lì che deve riversare ogni goccia di energia psico-fisica.
La favola mediatica dell’agguato Juve a Conte
In questi giorni circola una favola: un agguato juventino ad Antonio Conte, una trappola bianconera premeditata, uno Stadium traboccante di giocatori juventini che insultano la panchina interista per due ore, Paratici che minaccia lesioni ad Oriali e Agnelli che insulta senza essere provocato. Il punto è che questa “favola” è sulle prime pagine dei giornali sportivi.
Quanto è sottile la linea tra il racconto dei fatti e la “trappola” della faziosità anti-juventina?
E’ una domanda da porre alle storiche testate nostrane. Nessuno pretende un trattamento di favore per la Juventus, ma è lecito e doveroso aspettarsi oggettività nella narrazione delle vicende legate al calcio.
L’eccesso di zelo, la passione e la fantasia unilaterale nel narrare le dinamiche che coinvolgono alcune squadre rispetto ad altre, o meglio ancora, nel fornire la “versione dei fatti”, oppure nel pronunciare sentenze in una sorta di tribunale mediatico non finisce mai di lasciare di stucco.
Nella narrazione dell’alterco Conte-Agnelli, la sottile linea mediatica è stata ampiamente travalicata, sconfinando in toni e termini gravi, fuori luogo, senza centrare minimamente il punto della questione. Se nel racconto dello show Ibra-Lukaku c’era l’esaltazione del “match del secolo” col richiamo ad “abbassare i toni” ora c’è una versione distorta e unidirezionale della vicenda.
1. La diatriba Conte-Agnelli non ha nulla a che fare con la rivalità Juve-Inter, trattasi di dissapori passati, mai risolti tra i diretti interessati, ritrovatisi vicini come paglia e fuoco e così è divampato l’incendio.
2. La fantomatica narrazione dei fatti “lato Inter“ riportata dalla (solita) Gazzetta dello Sport ed altri quotidiani importanti è grave per i toni e i termini utilizzati. Non per i virgolettati riportati (“pagliaccio” “co**ione”, etc.) che potevano essere censurati, per una questione di stile, termine abusato e mai rispettato. Il riferimento va ai termini da guerrilla terroristica: trappola, agguato premeditato, parole che hanno un peso e non possono essere scritte a cuor leggero, per descrivere uno dei tanti botta e risposta su un campo o sugli spalti di uno stadio. Per un giornalista dosare e filtrare le parole dovrebbe essere la normalità, ma ormai la ricerca del sensazionalismo, del carnefice, ha fatto perdere l’ultimo barlume di lucidità.
3. STILE JUVE, termine di cui si continua ad abusare nel momento in cui fa comodo. Conte è solo un “provocatore”, Agnelli invece ha “poco stile”. Eppure il Presidente difese Conte a più riprese (caso scomessopoli, casto stella allo Stadium e petizioni dei tifosi), sempre con stile e fermezza. L’altra sera, sbagliando nel rispondere ai gestacci subiti si è dimostrato umano, troppo umano e meno algido del solito.
4. La paternale sullo stile, il processo mediatico, per la risposta sgradevole ad un gesto altrettanto sgradevole ci può stare se accompagnata dalla coerenza. Al contrario si leggono giustificazioni ed attenuanti per Conte (ed Oriali) che in ogni gara non vinta si dimostrano niente affatto “rispettosi” del lavoro arbitrale. Ora tutto è rimosso, col povero Conte vittima di un agguato, di una trappola, UN’IMBOSCATA!
5. Nella disparità del racconto si procede anche per ricostruzioni tecnico-giuridiche: il quarto uomo avrebbe registrato i presunti insulti (per nulla presunti nel racconto dei quotidiani) degli juventini, al contrario invece il gesto palese, evidente, di Conte non potrebbe essere utilizzato, perché “video juventino”, “immagini di parte”. No comment…
La chiosa è sempre la stessa: inviti ad abbassare i toni, ad evitare cadute di stile, a dare un’immagine positiva del nostro calcio e proclami all’imparzialità e poi, il solito racconto scientemente indirizzato, con titoli, frasi, ricostruzioni, immagini e sentenze mediatiche.
E’ la solita macchina da guerra anti-juve, dal primo giornale sportivo italiano al vicedirettore con delega per il calcio della Rai.