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La vedo favorita, Fabio

Scrivere una volta a settimana sta diventando limitante. Accadono troppe cose, si è costantemente superati dagli eventi.

Rischi di perderti l’audizione del procuratore Pecoraro. Storia incredibile, se solo avessimo dei media normali. Va in Commissione Antimafia, chiede di secretare quanto dirà e nel segreto dell’aula cita una presunta intercettazione di Agnelli, in cui il presidente, riferendosi a una famiglia implicata in cose di ‘ndrangheta, affermerebbe diabolico: “quei due sono stati arrestati, parliamo con l’altro”.

Si scatenano le agenzie, i soliti noti sui social, i giornali, passiamo settimane a parlare solo di questo, i tifosi avversari ci chiedono “ora cosa vi inventerete, è tutto un complotto?”.

No, non lo è. E’ una roba difficile da spiegare, che quando si tratta di Juve capita spesso: un misto di superficialità nel fare il proprio lavoro, antipatia per la squadra e chi la possiede e gestisce, frustrazione per le continue vittorie, unite all’assoluta incapacità dei media di fare la pur minima verifica prima di dare per assodate bestialità assortite.

Così, dopo settimane, Pecoraro è costretto a spiegare che non esisteva alcuna intercettazione del genere, aveva capito male lui, nessuno si permetta di dire che lui ha accostato Agnelli e ‘ndrangheta.

E, non dico i tifosi avversari, ma i giornali? I siti? Le agenzie? Scatenati a chiedere le dimissioni di un procuratore che inventa un’intercettazione utile a diffamare?

Macché, ripartono carichi sul bagarinaggio: con dei media così, Pecoraro può dormire sonni tranquilli.

Ti perdi la telecronaca Rai della Coppa Italia. La vedo in una sala con decine di persone; non sentiamo il volume, ma controllando i social ci accorgiamo che molti tifosi non juventini (anti, quindi) si chiedono come mai Sturaro non venga espulso. Non capiamo, perché a noi risulta ammonito Rincon, e il combattivo Stefano più che qualche entrata irruenta non fa.

Scopriamo così che la seconda voce Rambaudi, praticamente da inizio partita, sottolinea i rischiosi interventi di Sturaro, già oggetto di una precedente fantomatica ammonizione.

Anche qui, complotto contro la Juve? Macché, solo voglia di compiacere una generazione (ma anche di più) di tifosi costruita ad arte per vivere di moviole, alibi e recriminazioni.

Generazione creata anche, tra i tanti altri, da Caressa, protagonista di alcune telecronache esaltanti, soprattutto in passato, salvo poi cadere, nell’accoppiata con lo Zio e i suoi famigerati “la voglio rivedere, Fabio”, in anni di commenti live di moviole, testa avanti di due centimetri e quindi fuorigioco, zigomi in linea e dunque regolari, mano involontaria ma movimento non congruo e robe del genere che ci hanno portato a sezionare già in diretta la partita per fotogrammi da moviola, sperando che la linea disegnata da Sky non rivelasse mai un naso in offside; altrimenti sai che polemiche, già un minuto dopo il fischio finale?

Parlo di lui, ovviamente, per quello sconcertante video estrapolato dal suo intervento alla Bocconi in cui in 4-5 minuti ha detto cose non vere – Cipriani assolutorio verso l’arbitro di quel Bologna-Juve in quanto uomo Gea, mentre non era affatto della Gea -, fatto confusione sulle sentenze – parla di decine tutte nella stessa direzione, come fanno alcuni tragicomici account antijuventini, ignorando che la gran parte di queste è di “incompetenza” e non di giudizi sul merito –, omette di dire, soprattutto, che se davvero troviamo corretto dare credito alle sentenze, la Gea non era affatto quell’associazione a delinquere dipinta da certi giornali (e dai pm, per poterne intercettare i dirigenti). Le sentenze, a quanto pare, a volte piacciono di più e altre di meno.

Dà del colluso a Tosatti, sempre in spregio di qualunque sentenza; avercelo, anzi, oggi, uno come Tosatti. Poi afferma, relativamente allo scudetto a tavolino, che è passato tanto tempo, non importa, mettiamoci una pietra sopra.

Certo, mi pare corretto: bastonare chi è già stato umiliato, giudicato e radiato dal mondo del calcio, o addirittura non è più tra noi, per tralasciare l’unica ferita ancora sanguinante, quell’inverosimile scudetto a tavolino assegnato per motivi etici a chi ha avuto solo la fortuna di vedere uscire le proprie intercettazioni giusto in tempo per non renderle più giudicabili. Su quello mettiamo una bella pietra sopra, basta con questi temi noiosi…

Tutto questo, in soli 4-5 minuti di estratto, che però spiegano bene tante cose sul nostro giornalismo sportivo. Se sono vere le voci, possiamo dire che è stato un perfetto primo intervento da direttore della Gazzetta.

Ecco, vedi, scrivendo una volta a settimana devi perdere tempo sul resto e non arrivi neanche al tema fondamentale, l’unico di attualità: la sfida al Barcellona. Partita esaltante, divertente, stimolante: affrontare i più forti, sapendo che negli ultimi anni la nostra corsa si è fermata contro di loro o contro il Bayern e anche stavolta superarli sarà a dir poco complicato.

Noi ci proviamo, sappiamo di potere provare a giocarcela, ma i favoriti sono loro.

Favoriti per i loro tifosi, per noi juventini, per i bookmakers, per ogni persona di senno in Europa, tranne i nostri eroi: alcuni giornalisti sportivi e i tifosi non juventini (come noto, le due categorie in parte coincidono).

Lo avete notato?

Per molti di loro, improvvisamente, la squadra che in Italia vince grazie agli aiutini e a quei 3 rigori ogni 40 partite,  in Europa fa ridere, con Eurovita paga gli arbitri e deve puntare sull’assenza di Berardi per sfidare il Sassuolo, è addirittura favorita contro il Barcellona.

Anzi, azzarda qualcuno: se non vince la Champions dopo avere speso tutto quello che ha speso per Higuain è un fallimento. Ora, io capisco la frustrazione, per carità, soprattutto se dura anni, ma un po’ di amor proprio dovrebbero provare a conservarlo

Del resto, basterebbe ricordare che il Barca, i soldi che noi abbiamo speso per Higuain, li dà complessivamente di stipendio a soli due-tre giocatori; che noi abbiamo preso Gonzalo e Pjanic ma ceduto a cifre sostanzialmente identiche Pogba e Morata; che i catalani hanno il giocatore più forte del mondo, 3 dei primi 5, senza considerare il fenomenale Iniesta, più Rakitic, Pique, Mascherano e compagnia.

Mentre noi, non lo avrete mica dimenticato?, siamo quelli che hanno bisogno di un turno di riposo per Muriel per battere la Samp di Skriniar e Regini.

Il Maestro Massimo Zampini

Allegri come Proteo, ovvero l’unica cosa che conta

Proteo, secondo la mitologia classica, è una divinità marina capace di assumere qualsiasi forma e sembianza.

 Max Allegri da Livorno, detto “Acciughina”, non è un dio del mare (nonostante l’epiteto e la provenienza) ma somiglia parecchio a Proteo, almeno riguardo alla facoltà di assumere altre, tante e diverse forme.

Allegri è attualmente l’allenatore della squadra più vincente della storia del calcio italiano, la Juventus, e vince.

Di recente, è circolata la notizia secondo la quale il Barcellona starebbe valutando l’opportunità di ingaggiare Allegri. Non  so quanto credito possa essere concesso ai giornalisti sportivi in fatto di mercato allenatori, come in effetti non so quanto credito debba essere concesso ai giornalisti sportivi in generale, ma credo che se al Barcellona hanno pensato ad Allegri per il dopo Enrique, allora sospetto lo abbiano fatto per questa ragione: è un allenatore che lascia intatta la ‘filosofia’ del club.

Il tecnico livornese lascia la ‘mentalità’ della squadra (talvolta anche schemi, moduli, sistemi e stili di gioco e gerarchie di spogliatoio) come la trova e ottiene il meglio che la ‘dimensione’ di quel club può sperare di raggiungere.  Da allenatore del Sassuolo conquistò una storica promozione dalla C 1 alla B; a Cagliari, due salvezze onorevoli, tranquille e con largo anticipo; al Milan vinse uno scudetto e una Supercoppa italiana, raggiunse sempre il piazzamento Champions e, compatibilmente con un evidente e forse irreversibile ridimensionamento del club, guidò la squadra rossonera nella massima competizione europea con prudenza, sapienza e dignità.

“Acciughina” entrò in casa Juve suonando il campanello e scusandosi per il disturbo, accettando pazientemente e in silenzio diffidenze e malumori da isteria collettiva, lavorando sodo e cercando di adattarsi alla nuova realtà. La realtà della Juve in quel luglio del 2014 era quella di una società e di una squadra che venivano da tre scudetti consecutivi, una supremazia incontrastata in Italia, grandi ambizioni e grandi amarezze in Europa; ma la realtà era anche rappresentata dal fatto che grazie a mister Conte – semper laudetur – il club bianconero aveva recuperato la sua storica ‘filosofia’ vincente e la consapevolezza del suo posto nel calcio, non solo italiano.A Torino il tecnico livornese iniziò cambiando quasi nulla (a partire dalla conferma del contiano 3-5-2) e comunque minime cose e poco alla volta, gestendo con grande prudenza e cautela la situazione. Ad oggi in bianconero ha conquistato due scudetti, due Coppe Italia, una Supercoppa italiana, ha raggiunto una finale di Champions League e anche in questa stagione si ritrova ad aprile nella condizione di poter vincere tutto.

Il Barcellona, dicevamo. Il club ha una sua ‘immagine’ assai ben definita, sia per quanto riguarda il gioco, sia per quanto riguarda la gestione più ampia della società. Centrale è il concetto di “identità”. E infatti in Catalogna il Barcellona è «més que un club», cioè «più che un club», dal momento che la società è diventata il vessillo del movimento indipendentista catalano in ottica anti-spagnola e nello specifico anti-madrilena (la rivalità col Real Madrid assume infatti sfumature simboliche che vanno decisamente al di là dell’ambito sportivo). Cercando però di restringere il discorso alla dimensione calcistica, l’unica che in effetti ci riguarda, il club di Messi ha una precisa identità di gioco, e ormai da anni. Non è da escludere quindi che l’eventuale decisione di ingaggiare Allegri per sostituire l’ex tecnico della Roma possa essere frutto di una valutazione, per così dire, ‘conservativa’, finalizzata cioè a mantenere e (continuare a) far fruttare la ‘filosofia’ e l’attitudine alla vittoria dei catalani.

Allegri ha dimostrato di saper vincere, di saper gestire i campioni, di essere un aziendalista, di saper costruire una fase difensiva eccellente (i blaugrana ne avrebbero bisogno come il pane!), di non voler stravolgere il DNA della società che lo ingaggia, di saper fissare obiettivi ambiziosi ma non velleitari. Insomma , ha dimostrato di essere capace di commisurare ambizioni e mezzi tecnici, esigenze societarie e aspettative della tifoseria, il che significa che ci troviamo davanti a un tecnico di grande saggezza; forse non il migliore in assoluto, sicuramente il più saggio di tutti.

E il “bel gioco”? Allegri saprebbe far giocare bene il Barcellona? Alla Juve “Acciughina” sa di essere condannato a vincere (perché alla Juve vincere è l’unica cosa che conta e chi non la pensa così juventino vero non è) e quindi, sempre fedele alla sua mentalità schietta e diretta, il tecnico di Livorno vince e basta: il gioco non è una priorità, e quando c’è, c’è perché in quella specifica partita esso è funzionale alla vittoria. Al Barcellona, che ha fatto del gioco “a un tocco” un prodotto di mercato e del tiqui taqua un marchio, verosimilmente dovrebbe dimostrare di saper vincere e dare spettacolo. Dovesse davvero essere ingaggiato dai catalani, potrebbe anche adattarsi e assumere, novello Proteo, le sembianze di un tecnico vincente e anche spettacolare.

di Daniele Lopes