Di Francesco Zicarelli
I quarantaquattro anni di Pavel Nedved non possono passare inosservati, per l’importanza e il peso specifico dell’uomo prima del calciatore che lo ha eretto monumento nell’olimpo degli immortali bianconeri. Senza soffermarsi sulle sue abilità tecniche, ciò che preme ricordare con assoluta fermezza è la professionalità, il senso di appartenenza, la tenacia talvolta trasformatasi in vera e propria ferocia, lo spirito di sacrificio di questo ragazzo biondo di Cheb. Il rispetto che ha dimostrato nei confronti di una tifoseria, di un popolo, di un agglomerato di cuori che pompano sangue bianconero, come il rifiuto alll’Inter :
“Ci sono rinunce faticose e ce n’è di naturali e non difficili, dire no all’Inter è stato giusto e alla fine abbastanza naturale, nonostante la tentazione. Loro hanno vinto la Champions, io mi sono tenuto la dignità e l’amore degli juventini.”
Quando alzò il pallone d’oro al cielo e non festeggiò in modo banale con un siluro imprendibile all’incrocio, quando scesero le lacrime dopo aver visto un cartellino giallo che incrociava il suo sguardo abbaiante come un faro nelle tenebre, quando dopo uno scontro con Materazzi si rialzò come se nulla fosse, quando qualcun altro sarebbe uscito in barella, e tirò una badilata dal limite dell’aria proprio dopo essersi fatto beffe dello stesso difensore, quando non scappò ma a prua della nave guidò la risalita. Quando insomma Pavel ci dimostrò che ancora si può amare la maglia prima di tutto, e per chi come me ha versato una lacrima a quanto ci ha regalato o salta dalla sedia prima di ogni partita quando lo vede a bordo campo.
Prostě děkuji, Pavel!
P.s. Dimenticavo, è vera la storia che correva prima e dopo gli allenamenti:
“Il più grande professionista mai conosciuto. Un giorno sento una sua intervista in cui racconta che la mattina, a casa, va sempre a correre prima di venire all’allenamento. Non ci credo e il giorno dopo lo prendo in disparte: “Pavel, mica sarà vero quello che hai detto”… Resto senza parole: è proprio così. Si svegliava, correva da solo e poi nel pomeriggio si allenava. E arrivava sempre davanti a tutti noi!!” (Paolo Montero)