Dopo una partita emozionante, avvincente, oserei dire quasi eroica come Juve-Bayern, mi piacerebbe parlare e sentire parlare soltanto della sfida tattica tra Guardiola e Allegri, della partita leonina del Profeta Hernanes, che non si vedeva così aggressivo e tonico da almeno due anni, della grinta di Mario Mandzukic, che ha lottato contro la sua ex squadra letteralmente su ogni pallone, della classe e della freddezza di un immenso Pogba, che ha giocato da veterano, della caratura internazionale di Bonucci, che strappa applausi anche all’allenatore avversario.
Invece, nelle discussioni su Twitter, su WhatsApp e al bar, anche (anzi soprattutto) con altri Juventini, sento parlare al 90% di giudizi sull’arbitro, di “errori decisivi”, di “come sarebbe finita senza due gol regolari e con un rigore per noi”.
Ora, già questi discorsi mi amareggiano in generale, ma mi lasciano ancor di più l’amaro in bocca quando provengono dal lato Juventino, non solo per gli episodi specifici ma anche per questioni di carattere generale, per principi che io ritengo fondamentali e irrinunciabili, ma che evidentemente fanno di me una mosca bianca.
Prima regola: l’arbitro fa parte del gioco.
E’ una frase nota, apparentemente una banalità, ma non lo è: non è una clausola di stile o una considerazione di principio, è una regola vera e propria, una norma.
L’arbitro fa parte del gioco, così come i suoi errori di valutazione (lasciando da parte gli errori tecnici, che rientrano in un’altra categoria e hanno quindi tutt’altro trattamento), che hanno lo stesso peso, la stessa rilevanza e la stessa natura degli errori tecnici dei singoli giocatori.
Se un tiro colpisce l’arbitro e la palla va in rete il gol è valido; eppure deriva ed è stato determinato direttamente da un errore dell’arbitro: in base alle regole e alle linee guida di posizionamento degli arbitri, un arbitro non può fisicamente essere in una posizione tale da intralciare la traiettoria del pallone, e se vi si trova vuol dire che ha sbagliato qualche movimento.
Nessuno si sognerebbe di ritenere una partita “falsata” o “rubata” da un rimpallo sull’arbitro, perché l’arbitro, come detto, fa parte del gioco, come un palo o una traversa.
Allo stesso modo gli errori di valutazione dell’arbitro hanno la stessa natura e devono ricevere lo stesso trattamento: se un arbitro non vede un fallo o fischia qualcosa che non esiste, quella decisione è un elemento che fa parte del gioco tanto quanto un rimpallo, una scivolata su una zolla malferma, una deviazione fortuita, un palo.
Per definizione, quindi, un errore di valutazione non può “falsare” una partita o inficiare un risultato, e quindi qualsiasi discussione su risultati alternativi o ancora peggio classifiche alternative “se non ci fossero stati gli errori arbitrali” è risibile e priva di qualsiasi fondamento logico.
Seconda regola: non esistono errori determinanti.
A meno che un errore non avvenga all’ultimo secondo dell’ultimo minuto di gioco, ogni squadra ha sempre tempo e modo di rimediare a un episodio sfortunato, sia esso un palo, un rimpallo o un errore arbitrale; in concreto questo avviene molto spesso il che rappresenta un’ulteriore motivo di risibilità delle classifiche alternative.
Perché le squadre che dominano il campionato hanno sempre qualche punto in più di quello che “meriterebbero” senza errori, e scendendo via via lungo la classifica le squadre si ritengono sempre più afflitte da errori “decisivi”? Per il semplice fatto che le squadre forti, anche quando subiscono degli errori arbitrali, nella maggior parte dei casi vincono lo stesso, mentre le squadre meno forti, via via a scendere verso chi sta in fondo alla classifica, generalmente non riescono a recuperare una partita in cui sono stati vittima di errori o episodi sfortunati.
Per definizione, quindi, le squadre in testa alla classifica avranno subito in misura minore l’incidenza degli episodi a loro sfavore, ma questo rappresenta un attributo della loro forza, della loro capacità di “neutralizzare” gli episodi negativi e far valere la propria caratura, non un vantaggio indebito o la certificazione della sudditanza psicologica.
Terza regola: il gioco del calcio esiste soltanto in tempo reale e a velocità naturale.
Quello che si vede in un replay non è l’azione di gioco: è una ricostruzione virtuale, una versione artefatta nella sua dimensione spaziale (perché l’immagine tv è piatta, a due dimensioni) e temporale.
Il replay o fermo immagine è utile per giudicare su questioni oggettive, come ad esempio un pallone al di qua o al di là di una linea, un giocatore in gioco o fuori gioco; al contrario, quando si tratta di valutazioni, come per i falli, la ripresa rallentata va inevitabilmente a modificare quella che è la vera e unica azione che si è verificata.
Quello che a velocità naturale sembra un contatto irrilevante o di entità minima, al replay (e a maggior ragione nel caso di immagini in super-slowmotion) può sembrare un movimento più ampio, più vigoroso, “più volontario”; al contrario, quello che a velocità naturale può sembrare un intervento di spropositata irruenza, al replay può trasformarsi in un movimento scoordinato e inoffensivo.
Ogni volta che guardando una immagine rallentata viene da dire “caspita, a velocità naturale sembrava molto diverso”, non si tratta di una impressione: quel movimento ERA completamente diverso.
In conclusione, l’unico parametro valido per poter valutare una decisione arbitrale in situazioni dinamiche è quello della ripresa a velocità naturale, perché il calcio è giocato a velocità naturale, non al rallentatore o in stop motion.
Quarta regola: nel dubbio, ha ragione l’arbitro.
Il corollario dei principi precedenti è molto semplice: è giusto e sensato analizzare la prestazione dell’arbitro, come si analizza quella dei giocatori, però bisogna differenziare gli errori certi, che hanno un riscontro oggettivo, dalle valutazioni, che dipendono da interpretazioni regolamentari o sono difficilmente percepibili a velocità naturale.
In tutti gli altri casi non si può parlare di errore ma tutt’al più di episodi dubbi, e nel dubbio ha sempre ragione l’arbitro, chiamato a decidere in una frazione di secondo, in velocità: quando ci si approccia a una decisione arbitrale si deve partire dal presupposto che la decisione sia corretta, e giungere alla conclusione che si sia trattato di un errore solo se ci sono evidenze incontrovertibili in tal senso.
Questa, si si badi bene, non è una affermazione di principio ma la regola concreta con cui tutti gli sport che hanno introdotto una qualche forma di moviola in campo o assistenza tecnica all’arbitro hanno scelto di regolarla: non si vede perché il calcio dovrebbe essere differente.
Ciò premesso, nella partita contro il Bayern Monaco Atkinson ha certamente commesso dei chiari errori (Lewandoski che si trascina palesemente il pallone al di là della linea laterale, un rilancio di Bonucci che colpisce Thiago sul petto viene fischiato come fallo di mano), ma per il resto gli episodi che molti, troppi tifosi stanno bollando come chiari errori arbitrali a nostro sfavore, “partita falsata” e altre amenità del genere non sono altro che situazioni dubbie e di valutazione tutt’altro che univoca (sul presunto fuorigioco di Levandowki, che è immobile e non partecipa attivamente all’azione, è molto difficile stabilire con certezza se veramente ostruisca la visuale di Buffon; il presunto fallo di mano di Vidal può sembrare tale solo al superslowmotion, laddove a velocità naturale sembra chiaro che la palla calciata con violenza va semplicemente a colpire il braccio, passivo e molto vicino al corpo; sul robusto contatto Lewandowski-Bonucci l’attaccante del Bayern travolge il difensore, ma dalle immagini si può validamente sostenere che sia quest’ultimo a bloccare la sua corsa all’unico scopo di ostacolare il polacco).
In conclusione, nel mio mondo ideale (soprattutto quando si parla di Juve), io vorrei che l’analisi di una partita si occupasse essenzialmente delle azioni salienti, del gioco delle due squadre, dello spettacolo sugli spalti, delle dichiarazioni dei protagonisti, e che l’operato dell’arbitro fosse semplicemente una nota di colore, in coda a tutto il resto: “cielo terso, 60.000 spettatori paganti; il rigore del 60’ probabilmente non c’era”; e se non possiamo convincere il resto d’Italia a comportarsi così, almeno proviamoci noi.
Francesco Andrianopoli.