di Federica Zicchiero
Indipendentemente dal peso della partita, l’attesa inizia al mattino e cresce col passare delle ore, mentre ti dedichi alla preparazione della trasferta. Per te che non vivi a Torino è sempre una trasferta. Se poi si tratta di un turno infrasettimanale, le difficoltà aumentano: devi uscire prima dal lavoro e calcolare minuziosamente le ore di flessibilità che dovrai recuperare, fermarti a dormire a Torino e svegliarti prestissimo la mattina dopo. Ma ogni sacrificio, se fatto per la Juve, diventa un piacere. Per tutta la giornata, non riuscirai a pensare ad altro, pregustandoti ogni momento: non solo della partita ma anche dell’avvicinamento. Il viaggio in treno, l’ormai ben noto tram da piazza Bernini, il tripudio di salamelle fuori dallo stadio. La ricerca dell’ingresso, in mezzo alla folla che si accalca, il macchinoso passaggio dai tornelli – ogni volta ti sembra di doverti imbarcare su un aereo e trovi assurda e triste tutta quella sicurezza per una partita di calcio –, il percorso dentro l’impianto. Gesti e passi compiuti con frenesia crescente. E poi, quasi come un’ascesa in Paradiso, l’uscita sugli spalti, la luce improvvisa che ti investe, suoni e colori che ti travolgono. L’euforia ti stordisce, per un attimo ti blocchi dove sei. Qualcuno ti spintona. Il tuo posto, devi trovare il tuo posto e sederti prima che lo speaker cominci a recitare il rosario della formazione! Fai presto, #orcoddue, l’ultima volta ti sei seduta quando la folla urlava Marchisio. Non devi perderti neanche un nome. Ma soprattutto non devi perderti l’inno, anche se sai già che – ancora una volta – non riuscirai a cantarlo perché la voce ti si strozzerà in gola. Stasera finalmente si torna a casa.