“Autocritica[au-to-crì-ti-ca] s.f. (pl. -che): Esame critico di se stessi e del proprio operato” (Sabatini Coletti).
+11, imbattuti, grande carattere, vincere è senza alcun dubbio ciò che conta: quindi, in assenza di preoccupazioni calcistiche, ci si può concedere il lusso di qualche riflessione ulteriore.
Quando Allegri riconosce, in anticipo su qualsiasi domanda, di aver sbagliato nel posizionare Emre Can davanti alla difesa con compiti analoghi a quelli di Pjanic, compie un’autocritica, che gli vale il plauso (tra i tanti) di un febbricitante Caressa. Che Max sia un campione di disimpegno mediatico è fuori discussione, e non è il suo unico pregio: sa leggere le gare (scomponendole in blocchi temporali), effettuare cambi decisivi (il che gli vale, tradizionalmente, la nomea di “fortunato”) e riuscire a motivare i giocatori, dopo sette scudetti consecutivi, quattro dei quali sotto la sua gestione.
L’analisi della sua autocritica – per qualcuno furbesca e preventiva “paraculata” – comporta una considerazione: l’errore ammesso, è durato almeno 60-70′. In quell’infinito lasso di tempo, la Lazio ha effettuato 13 tiri e 8 corner a zero, ZERO! Da quando esistono i dati Opta (2004-2005) la Juve non era stata per un’ora così totalmente inoffensiva.
Gestendo i giocatori da mesi e conoscendone le caratteristiche, Allegri avrebbe ben dovuto immaginare la prestazione disastrosa di Emre Can come perno basso di un centrocampo molto fisico, incalzato costantemente dai famelici incursori laziali e lo stesso schieramento tattico, con la difesa molto bassa, rivelava che Allegri avesse previsto un martellante inizio da parte dell’avversario. Quindi, dopo 70′ di sofferenza e passivo leggero solo per l’imprecisione di Immobile e compagni (e i miracoli di Szczesny), Allegri decide di modificare l’assetto, componendo una mediana a due e inserendo gli uomini che ribalteranno la gara: capacità di rimediare all’errore o dimostrazione palese della gravità dell’errore iniziale prolungato per oltre un’ora?
Allegri, allenatore poco propenso al rischio, ieri ha corso enormi rischi, ai quali soltanto la bravura dei singoli (e un po’ di fortuna) hanno posto rimedio. Non è avventato pensare che abbia studiato la gara in quel modo per gestirele energie in vista di una gara secca con l’Atalanta, eppure la gara di ieri era importante per dare un colpo decisivo al campionato, dopo il pari del Napoli, e senza episodi fortunati ora invece staremmo discutendo di un torneo ancora vivo e vegeto.
A volte capita anche ai migliori di “sfangarla” (termine sporco che però rende il concetto) e quando ci riesce, si parla subito di “Grande Squadra”, eppure tante, troppe volte, le varie Juventus di Allegri, pur zeppe di campioni, l’hanno sfangata, come una provinciale. Va dato merito all’umiltà, ma troppe sono le note dolenti: i rischi a cui ci si espone, l’appeal basso delle gare Juve (nei confronti di tifosi o “consumatori” esteri, specie con Cristiano), la mortificazione (o sacrificio) tattico e tecnico di giocatori talentuosi, da Dybala a CR7 (pregevole, quanto grottesco, vederlo rincorrere al 90° per evitare una rimessa laterale).
Allegri è anche questo: snatura alcuni giocatori, spesso quelli più tecnici. L’emblema è Dybala che già non era riuscito adesprimersi con continuità come attaccante e da quest’anno si ritrova a cucire il gioco tra reparti, con prove volenteroso che però lo privano dello spunto decisivo, a favore di una laboriosa attività in dribbling tra tre-quattro avversari, cambi di gioco e, possibilmente, assist (voce alla quale è ancora carente). Lo stesso, accadde con lo stravolgimento di Pjanic da mezzala a regista, Manduzkic ad ala e Higuain da terminale a regista offensivo, per l’assenza di validi interpreti .
A queste note dolenti i detrattori di Max aggiungono altro: la scarsa durata di alcuni campioni con Allegri (Vidal e Dani Alves ad esempio, andati via dopo un anno di cura Allegri), o anche Pogba e Tevez, che si sono espressi alla grande con Allegri ma non stati stregati dal Mister (specie l’argentino), per tacere dei rapporti tesi con Bonucci e Benatia, nel lontano e recentissimo passato.
Negli occhi resta quella continua richiesta di Cristiano di attaccare, avanzare, di essere servito, che rivolgeva sia ai compagni che al tecnico. Allegri ieri ha ammesso l’impossibilità di fraseggiare nel corto e al contempo, l’impossibilità di scavalcare il centrocampo, vista l’assenza di Mandzukic e l’inidoneità fisica di Dybala in tal senso. Ne deriva quindi, in costanza di infortuni significativi e difficoltà tattiche contingenti, l’incapacità di ancorarsi a schemi di gioco predefiniti, che latitano nelle applicazioni molto pratiche del calcio di Allegri che pare limitarsi ad organizzare la fase difensiva e lasciare all’estro dei singoli in avanti la gestione dell’attacco, come dimostrano alcune azioni in solitaria dei giocatori più eclettici ed il frequente imbarazzo decisionale nei contropiede.
Qualcosa andrà cambiato per fronteggiare le squadre migliori d’Europa nella fase decisiva della stagione e, senz’altro, l’auspicato rientro di alcuni giocatori offrirà maggiori soluzioni, ma, pur non trascurando i risultati staordinari di questa Juve (anche grazie alle doti di Allegri), il tecnico sarà in grado ora di cambiare sé stesso e la sua Juve? Sarà in grado, più che di rimediare agli errori, di prevenirli vista la loro periodica ripetitività?
Vittorio Aversano