Le pallette di Pjanic nella scommessa europea di Allegri

Elevare il 4-2-3-1, per provare ad andarci fino in fondo, a questo punto è un dovere.

Dopo la striscia post-Fiorentina tutti i codici rimanenti sono diventati secondario: il rombo ha salvato l’approccio alle Feste, guastate dalla surreale parentesi di Doha, ma si è estinto; il 3-5-2 rappresenta l’approdo, psicologicamente rassicurante, di essere in possesso di una vitale museruola; il 4-3-3 resta un timido tentativo di non snaturare la ricerca dell’ampiezza su cui ancora molto si può lavorare.

Insomma, la strada è imboccata, e fin che ci sono obiettivi concreti non sarà mai un vicolo cieco. Dritti alla meta, senza tirare il fiato, poi si salvi chi può: per questo Allegri non vuol dare segnali contrastanti al gruppo. E’ rischioso toccare il freno tra le curve della discesa.

A tre in mezzo si va, perché a volte ha senso andare per evitare surplus di fuori ruolo; perché Mandzukic è una cosa e gli altri (tra cui l’amato Pjaca e l’odiato Sturaro) sono solo una somma di cose. Da quelli che non rientrano nei 14 titolari, in una lunga volata in apnea come quella che all’orizzonte, serve prendersi i due/tre fondamentali chiave. Punto. Con le dosi giuste, anche massicce, e al momento opportuno. Ma a tre in mezzo non si parte più, fa parte di una vecchia e gloriosa storia. E ogni inevitabile paragone (il solito paragone, per quanto riguarda il centrocampo) salta per aria.

A meno che: Oporto.

Il Dragao o qualche altra prossima trasferta. Altre di Champions a cui oggi non si può pensare, o Napoli coppa e campionato, o Roma. Saranno scelte, sporadiche, mirate, ché in Italia funziona ancora così. Anche nell’Italia ben rappresetata all’estero. Correzioni, aggiustamenti, attenzioni. Pure il concetto delle due fasi è superato. Il calcio è assalto al dettaglio. Guardato dalla panchina, a questi livelli, non può essere diversamente.

 

Tornando alla Juve: cosa c’entra Pjanic in tutto questo? Difficile dire, perché Pjanic dopo 6 mesi è ancora un qualcosa di sfumato.

Ci sono però considerazioni centrali, forse ma forse determinanti. D’impatto tattico: che lo si era pensato mezz’ala senza permettergli di giocare sul corto (la Juve scappa dal portatore palla, la Roma di Garcia faceva il contrario); che si era intravisto da playmaker perché protetto quando probabilmente si tratta, al contrario, di un calciatore eccezionale a cui serve aria per restituire aria al gioco; che ci si era infine arresi alla sistemazione da trequartista giusto per prendersi qualche assist, qualche gol ed evitare la grandine.

 

Per arrivare dove si è, serviva un pensiero laterale. Serviva seguire una logica deviata, azzerando lo storico di tentativi ed errori. Le disposizioni, e le dinamiche, sono poi una catena. Su Pjanic sta vincendo la disarcionata elasticità di Allegri (che candidamente ammette: “Pjanic adesso fa quel che sa fare ma non vuole fare senza accorgersi che glielo faccio fare”, capolavoro, odiosissimo ma fantastico capolavoro di letteratura calcistica). In pratica, si era fatto necessario guardare allo stile di gioco e non alla forma solida del calciatore.

E a proposito dello stile Allegri ha detto tutto con una sola frase, come sovente gli capita quando non si contraddice (forse pure coscientemente): “Pjanic deve togliersi quelle pallette a 5 metri”.

Perbacco, se ha ragione.

E’ un pensiero chirurgico.

Secco.

Attivo.

Definitivo per il funzionamento di questo 4-4-2 (scusate, 4-2-3-1 che poi gli esterofili s’inalberano). A due in mezzo non ci giocavano né Pirlo né Pogba, e non solo in bianconero. Una pretesa enorme, come giocarsi tutto un castello con una sola vite. Per elevarsi appunto, per ridefinire la storia.

Di pallette a 5 metri siamo pieni nel nostro corpo, quelle orizzontali e tremebonde, urticanti e scoraggianti: Chiellini quando gli rimane il colpo in canna, Lichtsteiner quando non la scaglia nel vuoto di fronte a lui, perfino Khedira quando si sposta dall’argine centrale, impaurito dalla riga di gesso. Sono pallette che ha pure Cuadrado, perché lui ha tutto nel campionario per quanto è dato sapere. Almeno quelle di Dani Alves sono hollywoodiane. Fanno sognare. Dalle stelle alle stalle con percorso inverso incorporato. Asamoah si salva, su questo specifico gesto tecnico, perché lui la dà indietro. Il trucco è la velocità di esecuzione, la velocità poi anche del pallone, l’unica tecnica globale sulla quale Allegri può davvero incidere e insistere. Tecnica della quale Miralem è padrone e depositario.

 

E se avevate pensato alle pallette di Pjanic come a quelle genitali… beh, fosse quello il problema. Ma magari. E’ un settore sul quale abbiamo di che compensare, di che intervenire. Perché in fondo è vero, il coraggio genera anche casino. E’ un concetto che va accettato come tale. E lui, il bosniaco che ordina e accelera il gioco con la lingua quasi a penzoloni, potrebbe anche giocare in tutù. O un costumino slip anni ’50. Giocare con i gioielli di casa: è sotto che conta, più sotto. Sotto le ginocchia. E’ da lì che nasce la destrezza che sublima la forza d’urto. E’ questo il prodotto del calcio che conta. Soprattutto sulla scena europea. Deadline: 2018. Al che cambieremo ancora pelle, e portatori di palle.

Luca Momblano.