Il salto di Andrea fu quello in Germania:
diventò padre ed intraprese la prima ed unica esperienza estera; la
moglie fu molto importante nella scelta e nel perseguirla, era un’altra
persona ed un altro calciatore prima di quel periodo.
In Bassa Sassonia imparò ad allenarsi, imparò la differenza tra l’allenamento al 70% ed al 100%. Glielo insegnò Felix Magath, che con la Juve comunque c’entra sempre.
Da otto anni, otto anni, Barzagli ha il colore bianconero come pensiero fisso; la fame pazzesca che gli è venuta e che, dopo il miracoloso primo scudetto del 2012, lo proiettava sùbito al secondo. Anche in vacanza, chiedere a donna Maddalena per conferma. Molto tempo familiare sacrificato per il lavoro, lo scopo della vita: “Tutto quello che abbiamo, lo dobbiamo al calcio”.
Il calcio e il suo addio. Smetterà di giocare a Giugno, a 38 anni compiuti da un mesetto. Ha riflettuto parecchio, facendo ovviamente fatica a pensare al dopo, ma infine il fisico è riuscito a persuadere la testa.
Andrea è stato un difensore di un’altra categoria, un docente della materia: ha completato Chiellini e corretto Bonucci, ha formato Rugani e calmato Benatia. È stato l’attore protagonista di “Non è un paese per giovani” e dei sequel.
Portamento rivedibile, all’apparenza lento e quasi affaticato, eppure
solenne e maestoso; sguardo sul pallone, l’uso statuario delle spalle
per cancellare il gap dei primi metri; petto in fuori e testa alta, per
trasformare la difesa in attacco. Nessuna trasgressione, nonostante le
longeve convivenze con tali Caceres, Vidal, Osvaldo e compagnia vagante.
NOI SIAMO QUESTI. SIAMO LA JUVE. SIAMO TOSTI
(7 Marzo 2018, Tottenham-Juventus)
Mancherà per tutto questo ed anche per l’estetica: Andrea è bello da vedere e piacevole da ascoltare, le donne alla lettura non potranno non essere d’accordo. Anche questa stagione sarà tra i primi chiamati per alzare la coppa dello scudetto. Perché comunque ha partecipato, come sa fare soltanto lui, che sia in campo o soprattutto fuori.
Mister Allegri vorrebbe tanto che restasse in società, ad insegnare la difesa. Andrea farà quel che gli darà entusiasmo: “Ho coronato il mio sogno da bambino con grande entusiasmo, devo trovare qualcosa di simile”.
Deve capire in cosa potrà essere bravo. Intanto, è educatore e
consiglia ai ragazzi di parlare poco e fare molto; di ascoltare e
mettersi a disposizione, avere voglia di arrivare e di restare al
livello.
L’attributo più consono è intelligente. Non in possesso di
una o più qualità eccelse, in età matura ne ha sviluppate alcune, le ha
innalzate fino al tetto cosicché i difetti fossero invisibili.
Ogni
addio consegna un’immagine di fine. In questo caso, con Barzagli
termina la marcatura antica e la flessibilità moderna, lo sfruttamento
del fisico e l’impiego della scaltrezza, la calma in ogni situazione e
la bestemmia per caricare.
È stato un poema questo viaggio,
significativo in moltissimi luoghi ed istanti; la Juventus è onorata di
essere stata protetta da un uomo come lui.
Il ventesimo campione del mondo 2006 si ritira. Resteranno soltanto Buffon e De Rossi, forse.
Giacomo Scutiero.
Barzagli è come il padre che ti aspetta a casa
Andrea Barzagli tra qualche mese non sarà più un calciatore professionista. La sua bella carriera è arrivata a conclusione, ha spiegato. Rimarrà nel mondo del calcio, casomai come collaboratore tecnico di Massimiliano Allegri o di chicchessìa, in quella Juventus in cui è stato in questi ultimi dieci anni o quasi. Era la Juventus balbettante di Del Neri e lui era al Wolfsburg – si ricorda – e in mezzo ad un mercato invernale arrivò pagato poco più di mezzo milione di euro. Quasi niente, si sottolinea sempre. Noi, caro Andrea, ti abbiamo sempre apprezzato. Anche quando eri al Palermo, con quella nidiata meravigliosa che portò dalla squadra del capoluogo siciliano un mucchio di giocatori al mondiale del 2006 e che seppero tutti fare bene. Barzagli – per dirla tutta – è quella Toscana che non odia la Juventus e che si impegna a farsi ricordare, come quelle poesie che si mandano a memoria quando si è a scuola. Il nostro centrale difensivo, alfiere di quella B-B-C che si inventò Antonio Conte all’avvio di un campionato che cambiò tutto, è la tranquillità della forza, della serenità, del padre che ti aspetta a casa e ti viene a prendere in pigiama sotto la pioggia, se c’è bisogno. Andrea Barzagli è l’amico che ti porta a bere una birra quando quella ti ha lasciato. E’ il giocatore a cui non puoi addossare alcuna colpa anche se come gli altri ha perso due finali di coppa, a Berlino e Cardiff. Perché lui ha provato, corso, scivolato e rinviato. Quelli che non hanno imposto il ritmo, cambiato il giro che ha il mondo, erano altrove. Nella testa di Barzagli c’è certamente questo desiderio tifoso, splendido nella sua semplicità e che dice di vincere in Europa e pure un po’ più in là. C’è riuscito da ragazzo o quasi, in Nazionale, con Buffon, e dentro una rassegna iridata che sembrava destinata a far fare altro. Barzagli rimarrà nella storia piccola e grande della Juventus di questi anni. Per capacità e umanità, occhi cerchiati dalla stanchezza e amore per tutto questo pallone che regala vittorie e sconfitte, con dimensioni da disastro economico sia nell’uno che nell’altro caso. I soldi dati a Barzagli sono stati buona cosa, azzardiamo. Non ci sono stati tanti altri difensori della sua generazione capaci di raccogliere il testimone da quella di Fabio Cannavaro prima Ciro Ferrara prima ancora. Se andrà nello staff di Allegri o resterà all’ombra della macchina fantastica che è stata messa a punto alla Continassa sarà solo il futuro a suggerirlo. Bisognerebbe però avere la forza di tornare indietro nel tempo e prendersi ancora 10 anni di Barzagli. Perché non è giusto certe volte il passare dei giorni. A meno che non sia davvero l’anno buono…
Luca Momblano.