Novembre maledetto.
Un buon punto, certo.
Un onore incrociare campioni e cose così, ovviamente, ma non mi scrolla di dosso le lacrime diventate onda, il mare che si è fatto tsunami.
Cercavo di prender sonno dopo una partita sterile e credo di aver pensato che si deve cavare il buono da ogni situazione. Un buon punto. Come quello di un sarto o un chirurgo che suturi ferite. Il punto che uno scrittore dà alla sua grammatica. Oppure un punto d’incontro.
Propositi per l’anno nuovo: non piangere più, lasciare un segno, salutare degnamente gli amici, dare una lezione sportiva ai nemici, abbracciare idealmente ogni tifoso, passare le consegne, pensare al futuro, parlare con le mani, la testa, il cuore, allenarmi come da bambino, vincere quello che resta.
Sono dieci, come il numero dei campioni. Uno più zero. La somma della solitudine di noi portieri.
Così si diventa riflessivi. Quando non attaccano gli altri pensiamo, che altro si può fare? Quanta azione in meno, tanto moto in più che borbotta, rimbrotta, bolle e ribolle emozioni diverse.
Pianti pubblici e risate private, preziose, imperfette. Talvolta si sorride solo con un angolo di bocca. Una smorfia. Come il ghigno di Totti, con quell’ironico farsi beffe di noi con la sua estrazione guascona. Va bene così, dai. Mi ritrovo ancora a novanta minuti da qualcosa che voglio, ma l’unico calendario che guardo è quello che mi separa dal Natale. Ho anche già scritto la letterina.
Sarà una guerra, Winston? In una terra che ne ha raccontate tante. Alcune epiche. Niente traumi. A parte quando Ivan, che dice di volermi al suo posto in Russia, ha avvelenato il palo. Stavolta ero immune al siero, avevo già dato.
Così il mio black wednesday non ha fatto sconti. Pagheremo per intero, ma vogliamo quel biglietto.
E’ un gioco, qualche volta sadico per la sua inafferrabilità, ma se il chiodo fisso affonda nella testa, per liberarsene ci vuole l’incantesimo. Una magia in questo gioco fatto di tempo. Ogni stagione con gli stessi obiettivi in palio. Ogni anno fino all’ultimo, quando novanta minuti possono diventare eterni. La differenza tra un punto cucito e uno sdrucito, tra due persi e uno guadagnato.
Ecco perché alla fine ci sono andato da solo, a ringraziare i tifosi.
Gli altri, i compagni, certe cose non le possono ancora capire. Non le capivo nemmeno io, poi con gli anni si guadagna qualche credito e si impara a chiedere scusa in maniera naturale, senza sembrare fuori posto.
E si va lì davanti. Si affronta tutto, da uomo giusto.