Quello che è successo al termine della gara Inter-Juventus, finale di ritorno della Coppa Italia Primavera, l’avrete visto tutti, si è già scritto tanto e vi lascio alle riflessioni degli amici Terruzzi e Kantor, per chi se le fosse perse. Il mio ennesimo sfogo in materia prescinde da quel gesto, pur traendone spunto, e va oltre, mettendo in discussione non tanto la vittoria interista, meritata sul campo, quando l’utilità di vincere certi trofei, specie a questa maniera. E, più in generale, l’utilità dell’avere ancora una campionato Primavera (così).
L’Inter ha schierato infatti 3 fuoriquota (e io li eliminerei con decreto regio: mandate sti ragazzini a giocare partite vere, non questi tornei inutili che per larghi tratti della stagione altro non sono che partite dal valore di una classica scapoli-ammogliati, disputate spesso in improponibili campetti di periferia, con poche decine di spettatori rompipalle e dannosi, poichè spesso parenti, e senza neanche una lontana parvenza di agonismo, tanta è la differenza tra le squadre) e 2 giocatori (Gnokouri, uno dei 3 fuoriquota, e Manaj) che con la Primavera quest’anno non ci hanno praticamente mai giocato prima. Mi spiego meglio con dei numeri. Gnokouri ha 3 presenze nella Coppa Italia Primavera: la semifinale di ritorno con la Lazio, quando a Milano devono aver capito che c’era la possibilità di passare il turno, e le due finali con la Juventus. Per il resto, ha accumulato 90’ in Campionato Primavera e 80’ al Viareggio. Nulla. Stessa cosa Manaj (bel talento, testa caldissima) che ha le stesse 3 presenze in Coppa Italia Primavera (le ultime 3 partite, nelle quali ha segnato 3 gol) e 45’, per fare numero, in Campionato. 0 al Viareggio. Sono ragazzi che quest’anno non hanno fatto parte del gruppo di Vecchi e che per 30 volte a testa sono stati convocati da Mancini (giocando 5-6 partite tra Serie A e la Coppa Italia dei grandi) e che quindi, in teoria, non avrebbero dovuto giocare quella partita. Per capirci, è come se l’anno scorso la Juventus, arrivata alla semifinale di ritorno di Coppa Italia Primavera (tra l’altro proprio contro la Lazio), avesse schierato Coman, fino ad allora mai allenatosi con la Primavera, solamente per battere gli avversari e arrivare in finale. E poi lo avesse riconfermato per vincere il trofeo contro la Roma di De Rossi sr. e vantarsi pure di quel trofeo, oltre che di quelli dei big, magari alzandoglielo in faccia in un tripudio social e di like.
Intendiamoci: a livello regolamentare avrebbe potuto farlo, così come l’Inter quest’anno. Ma allora bisogna fare un passo indietro e cercare di capire perché queste cose succedano e perché – noi qui ne siamo convinti e lo diciamo da tempo – la Primavera sia ormai giunta al capolinea e abbia fatto il suo tempo. Perché ormai siamo arrivati al punto che si assume (l’Inter) un allenatore dalla Serie B (Carpi, esonerato) col solo scopo di vincere dei trofei. Non si ricorre più all’equivalente degli allenatori federali, gente specializzata che per anni lavora con i giovani per formarli e insegnare calcio, ma a tecnici fatti e finiti con obiettivi stagionali prefissati, magari esonerati pure nel caso non dovessero portare a casa trofei. Siamo arrivati che l’età media nerazzurra è di 18,7 anni (esclusi Manaj e Gnokouri), con 12 stranieri su 27 (fate 14 su 29 con loro due). La nostra è 18,5, siamo lì, quindi non ne faccio una questione di bandiera. E’ che in generale siamo arrivati al punto che ex calciatori di basso livello che non sono riusciti a sfondare, pensano alla Primavera come ad una vetrina personale e non ad un palcoscenico (sarebbe da dire: ad una scuola) per i ragazzi. Siamo arrivati (anche noi) al “calciomercato” vero e proprio, addirittura a quello “di riparazione” per aggiustare le squadre in corsa (con 19enni) e migliorarle e poter portare a casa qualcosa a fine stagione.
E, soprattutto, siamo arrivati al punto che c’è gente che pensa di allenare ancora una squadra di professionisti scafati, non dei ragazzini. Gente che esulta manco avesse vinto un trofeo vero. E, visto che sto parlando di Vecchi – facciamo pure i nomi – di gente che ad esempio protesta e si fa cacciare in una gara DEL GIRONE del Viareggio con la sua squadra sotto di 3 gol a 1, per proteste. Che dopo aver perso la semifinale con il Palermo, sempre nella stessa competizione, attacca l’arbitro dicendo “Ci sono dubbi sui due gol loro, mai un errore a nostro vantaggio”, manco fosse un Ventura dei poveri (ci mancava solo che invocasse “i poteri forti” e “il vento del Sud”). Che protesta e si fa cacciare – appunto – dalla finale di ritorno di Coppa Italia Primavera con la sua squadra che aveva appena vinto il trofeo. E ci sono tanti precedenti – Google non perdona – a partire proprio dalla rissa dopo la semifinale di ritorno di Coppa Italia contro la Lazio, con la panchina interista (e Vecchi) entrata in campo a protestare per un rosso, venendo a contatto con la panchina della Lazio; c’è l’espulsione del 25 aprile scorso, per proteste, contro il Pescara di Oddo; c’è quella dell’11 aprile 2015, due settimane prima, sempre per proteste in un Sassuolo-Inter 1-3; c’è l’espulsione del 3 dicembre 2014 agli ottavi di Coppa Italia Primavera al 93’, per protesta su un corner…
Questa è gente che dovrebbe pensare agli stop dei propri giocatori, non alle decisioni degli arbitri. Che dovrebbe educare i calciatori a provare le giocate e a stare in campo. Che dovrebbe riferire ai suoi superiori i progressi individuali, non i risultati di squadra. Ma, come detto, è tutto sbagliato. E, la cosa che fa più male di tutte, è che si arriva all’eccesso, dando troppa importanza al risultato, dimenticando un dato piuttosto sconcertante: di questi presunti fenomeni osannati e festeggiati sui social, sarà grasso che cola se 2-3 di loro arriveranno a giocare in pianta stabile in qualche club, anche minore, di Serie A. All’estero, a 19 anni, si è lanciati e si gioca con regolarità con i grandi, se si è forti. All’estero, di un Lagumina che vince il titolo di capocannoniere del Viareggio a 20 anni e che ancora non riesce a trovare spazio in una squadra terzultima in A, non se ne fanno niente.
E invece da noi ogni partita, anche a questi livelli, è una battaglia a chi ce l’ha più lungo (parlo di società e allenatori, non dei giocatori, che anzi si dimostrano spesso migliori di chi li guida). Inutile. Dannosa. Patetica. Che produce meno di quanto si investa.
P.S. Nello specifico dell’episodio e della battuta di Vecchi (“evidentemente lo stile Juve ce l’hanno solo quando vincono”), una chiosa: lo stile è richiesto esattamente a chi vince, non a chi perde. Ed è quello che, protestando per la millesima volta con l’arbitro, facendosi cacciare ancora una volta, insultando ragazzini di 18 anni e puntando il dito a mezzo metro dal volto di uno di loro, lui, ha dimostrato di non avere. Bravo sì. Esempio no. E in quel contesto (di finti Maradona), la seconda cosa dovrebbe prevalere sulla prima.
Antonio Corsa