Per me Marcello Lippi è sempre stato l’Allenatore. A maiuscola. Perché è stato il primo e, per certi versi, l’unico tecnico possibile della mia Juventus. La prima, la più bella, quella cui sono sentimentalmente più legato dai romantici ricordi di bambino, dove tutto è più bello. Anche il calcio italiano, oggi come allora percorso da veleni che non avrebbero ragion d’essere in un paese normale con una cultura sportiva normale.
Per questo ci rimasi così male quando, nel gennaio del ’99, decise di andarsene dopo un ciclo indimenticabile di trionfi chiuso ingloriosamente da un 2-4 interno contro il meraviglioso Parma di Crespo. Per questo fui doppiamente contento quando, due stagioni dopo, decise di ritornare, inaugurando un biennio che solo il rigore di Shevcenko a Manchester non rese altrettanto indimenticabile. E, sempre per questo, non poteva che essere lui a liberarmi e a liberarci dalla maledizione dei rigori in azzurro, regalandoci un Mondiale di ci cui hanno gioito in troppi. Anche quelli che avevano perso l’ennesima occasione per tacere attaccandolo ignominiosamente nell’estate in cui quello juventino, era l’ultimo dei retaggi da portarsi dietro.
Poi, crescendo, ho cominciato a interrogarmi sul perché di tante sue scelte che non mi hanno mai convinto del tutto. Il suo ostracismo, a tratti inspiegabile, verso Roberto Baggio, mio primo idolo di gioventù; il suo accasarsi all’Inter, la stessa Inter che poco meno di un anno e mezzo prima aveva gettato pesanti ombre sull’operato suo e dalla squadra che allenava; il suo rimettersi infruttuosamente in gioco ai disastrosi e disastrati mondiali sudafricani, con una squadra altrettanto disastrosa e disastrata, quando avrebbe potuto campare di rendita (e gratitudine) per tutta la vita; il suo voler a tutti i costi evangelizzare una terra che, calcisticamente parlando, è ancora lontana dell’essere evangelizzata, pur tornando da lì con il consueto bagaglio di coppe e trofei. E la risposta che mi sono dato è la stessa per tutto: fa parte del personaggio, complesso e geniale allo stesso tempo, che va preso per quel che è. Senza compromessi, senza cercare un lato buono e quello meno buono perché, in uomini così, pregi e difetti coesistono sullo stesso piano, con i secondi che sono semplicemente il rovescio dei primi. Il tutto già più volte sacrificato sull’altare dell’unica cosa che gli interessa: la vittoria.
Ed è sempre seguendo questo filo rosso che va interpretata la scelta di non tornare lì, in panchina, dove, forse, qualcosina potrebbe ancora dare. O tutto o niente, o al miglior livello possibile oppure tanto vale restarsene nell’amata Viareggio a godersi i nipotini. Per questo Marcello Lippi è stato, è e sempre sarà, il miglior allenatore possibile per la Juventus. Non solo la mia, ma anche la vostra. Oggi come nei passati 67 anni della sua vita.
Auguri, Mister!
Claudio Pellecchia.