Marcello Zidane vince il Clasico, mentre in Italia…

Zinedine Zidane ha vinto il Clasico. Da allenatore. Da presunto finto allenatore. L’ha vinto lui o l’hanno vinto i giocatori? La verità non ci interessa, tanto sono parole al vento. Però una cosa si può dire: in 48 ore, dal fantasma di quel tecnico improvvisato che per ottenere fiducia per il futuro dovrebbe vincere nientepopodimeno che la Champions (a Madrid ragionano davvero in maniera strana, guardando in questo senso al recente passato, e in questo teniamoci stretti il nostro modo per taluni avvilente di essere Juventus nel realismo dei progetti, anche quando sono andati alla deriva) improvvisamente s’è visto un uomo nuovo. Forse un allenatore. Terrei il forse perché se le sentenze bianche o nere fossero figlie di una sola partita allora mi sentirei costretto a cambiare mestiere. Non ci sarebbero analisi, evoluzioni e storie da raccontare che non siano più di una “sparata” della mattina dopo.

 

Ebbene sì. Ho avuto la fortuna di poter seguire in contemporanea la Juve del necessario contro l’Empoli (capelliana come in qualche altro sprazzo in stagione, soprattutto allo Stadium, con Massaro travestito da Mandzukic per una volta svestito dalle solite fatiche e Pogba che ci ricorda perché Savicevic era un genio ma non un calciatore a tutto tondo) e Barcellona-Real Madrid. 1-2. Zinedine Zidane che viola il tempio nel giorno dell’acclamato 500mo gol in carriera di Messi e in particolare nel giorno del saluto catalano a Cruijff. Violato come? Meritatamente. Merito suo o dei giocatori? Questa verità non esiste. Non esisterà neppure a posteriori. I miei forti contro i tuoi forti. 36 ore alla Marcello Lippi, già nella conferenza della vigilia: convinzione, serenità, la giusta dose di pathos. Non troppo e non troppo poco. No, non l’avremmo immaginato mai così, Zinedine Zidane. L’uomo con le gambe di legno a Euro ’96, la lingua asciutta, lo sguardo sempre altrove se non addirittura verso il basso. La classe silenziosa, almeno fino agli ultimi vagiti della sua carriera.

 

Perché come Lippi? Perché esuberante senza follie tattiche. La mia idea contro la tua e vediamo chi è più bravo. La giochiamo lì da voi ma e se volete la giochiamo anche al campetto della chiesa tanto è uguale. Se picchiamo contro il muro spirituale di una filosofia che si ritiene intrinsecamente superiore, prima o dopo si crepa. Vado sotto. Non importa. Non cambio una virgola. Pareggio. Mi annullano il secondo (regolare). Non servono isterismi quando ti chiami Real Madrid o Juventus. Traversa! Doppio giallo, vai in dieci, per una squadra normale è la fine perché il colpaccio te lo togli dalla testa. Invece no. Un cross di destro di Bale (ditemi voi se vale più o meno dell’analogo firmato su quella striscia d’erba da Birindelli) e la zampata del sorpasso. Loro messi lì. Che perdono campo. Che iniziano a camminare. Dalla tua hai la serenità e la forza del campo. Quello che dice sempre come stanno le cose. Per lo meno in quel giorno lì. Quello di un francese, di un croato e di un nuovo toscano che affascina Torino perché vuol fare storia. Interessa quello. Quel giorno lì, dicevo. Perché il giorno dopo è per i Sarri e i Lotito. Gente con meriti, ma tristemente nella parte di chi riesce a farsi sempre male da sola. Per questo i nostri noi li riconosciamo subito.