È già rivolto al calcio giocato, il pensiero dell’amministratore delegato bianconero Giuseppe Marotta. A un futuro nel quale la Juve vuole essere protagonista in Champions League.
«Abbiamo l’obbligo di qualificarci alla fase successiva del torneo, di superare il girone e possibilmente di vincerlo – il suo commento al termine del sorteggio monegasco – Un avversario lo conosciamo bene, il Siviglia, l’altro lo abbiamo affrontato qualche anno fa, il Lione. Il terzo, la Dinamo Zagabria, è un serbatoio di tanti giocatori giovani e talentuosi e noi lo sappiamo bene, dato che Pjaca arriva proprio da questa società».
Superare il girone deve essere, per Marotta, il primo passo per una Champions da protagonisti: «Ci sentiamo pronti per un cammino impegnativo, certo, ma anche per un cammino che ci regali soddisfazioni. Il nostro obiettivo? Andare il più avanti possibile, migliorare il cammino dello scorso anno. D’altronde – continua Marotta – ci siamo rinforzati proprio per questo, con tanti giocatori stranieri ma anche uno zoccolo duro italiano, fondamentale per vincere qui e all’estero»
E conclude, il nostro amministratore delegato: «La Champions è un torneo particolare, non basta essere forti, ma si deve arrivare agli appuntamenti decisivi nelle migliori condizioni, di organico e infortuni, mentre il campionato, sulla lunga distanza, esprime in toto il valore di chi vince».
Precedenti Champions: dalla Coppa dell’Europa centrale al gol di Llorente
#Fiuuu, dunque: un girone non diremo facile (niente lo è mai per la Juventus in CL) ma sicuramente abbordabile; bene così; ma saranno altri a sviscerare i contenuti tecnico-tattici. Il consueto sguardo retrospettivo non richiederà una disamina particolarmente ampia: con le nostre avversarie abbiamo un precedente a testa. Il più fresco è proprio quello con la formazione di seconda fascia, il Siviglia dominatore delle ultime tre edizioni dell’Europa League e protagonista di quasi altrettanti psicodrammi in Supercoppa. L’anno scorso gli andalusi furono ugualmente sorteggiati nel “group stage” (come lo chiama Agnelli) quale terza scelta, regolati all’andata con un punteggio all’inglese (firme di Morata e Zaza nel finale), già eliminati ma impervi al ritorno per una Juve non concentratissima e poco precisa sotto porta. Morata in versione Pacione e col cuore spezzato sbagliò infatti oltre lo sbagliabile, e per una non imprevedibile nemesi il buon Fernando Llorente, di fatto regalato alla squadra di Emery a fine agosto, ci castigò nella ripresa. La sconfitta costerà carissima alla Juve, spalancandole le fauci del Bayern Monaco con l’esito che ricordiamo. L’occasione di una rivalsa, contro una formazione diversa ma ben allenata e scorbutica, è dunque servita. E sarà l’ennesimo confronto con una spagnola: ormai siamo arrivati, finali comprese, a 58 confronti, con 23 vittorie, 13 pareggi e 22 sconfitte, per 11 qualificazioni e 9 eliminazioni (ma fra queste c’è anche la finale di Amsterdam che vale doppio…). Certo è che la Spagna da tempo non è più un tabù, anche se il bilancio in trasferta è deficitario.
Recente anche l’incrocio con l’Olympique di Lione, nobile un po’ decaduta della Ligue 1, nella quale ci imbattemmo ai quarti di finale di Europa League nella stagione 2013-2014, la competizione che non avremmo voluto disputare e che avremmo dovuto vincere, sacrificandola invece sull’altare di un record che non fa albo d’oro. Doppia vittoria per noi, con gol di Bonucci oltralpe e firme di Pirlo e – nella porta sbagliata – Umtiti neo acquisto del Barcellona al ritorno (nel mezzo un gol loro). Qualificazione quindi da inquadrare nel bilancio complessivamente superlativo con le squadre francesi, che su 13 occasioni solo una volta ci hanno visto soccombere, peraltro in un girone (quello di CL 2009-2010 col Bordeaux): 15 vittorie, 6 pareggi e solo 5 sconfitte di cui 4 ininfluenti. Davvero un buon viatico.
Più risalente invece e poco felice il precedente con la Dinamo Zagabria, che già incontrammo in una competizione minore, la Coppa dell’Europa centrale, nel 1961-62, con vittoria per 4-1 all’andata e sconfitta per 1-2 al ritorno. Poi ecco la più istituzionale Coppa delle Fiere, mamma della Uefa e nonna dell’Europa League, nel 1966-67: è la Juve del “movimiento” di Heriberto Herrera, precursore in versione più operaia del futuro calcio totale olandese (ma con De Paoli e Bercellino anziché Crujiff e Krol…) che tuttavia all’ultima giornata di campionato strapperà lo scudetto alla fortissima Inter dell’altro HH. In coppa però gli slavi si rivelano ossi duri, fermano la Juve sul pari a Torino (2-2 con gol per noi di Zigoni e Stacchini) e ci travolgono al ritorno con un 3-0 che ci congeda senza appello. Dunque un mini-tabù sul terreno allora jugoslavo e oggi croato, da sfatare magari avvalendosi dell’illustre insider Pjaca che da lì è appena arrivato.
In totale con le squadre oggi croate al precedente appena rammentato va aggiunta la qualificazione col Rijeka in coppa coppe 79-80 per un bilancio dunque in equilibrio.
Questo il passato: una statistica da puntellare, una da confermare, una da migliorare.
E un girone da vincere.