di Yuri Perrotti
“Noi con voi ci abbiamo perso solo quando eravamo alleati”
Cominciamo dalle presentazioni. Italia e Germania sono, senza alcun dubbio, le due scuole calcistiche regine del vecchio continente. Otto titoli mondiali in due, contro i tre ottenuti da tutti gli altri paesi messi insieme. Se a queste due squadre aggiungiamo Brasile e Argentina, abbiamo in quattro nazioni il meglio del meglio della storia del calcio, con buona pace del pionierismo degli inglesi e della recente dominazione spagnola.
La penna di Gianni Brera, decano dei giornalisti sportivi italiani, inventò una capricciosa dea del pallone di nome Eupalla, che governa tutto quanto accade nello sport più popolare del mondo. Se esistesse davvero, non avremmo dubbi su quale sarebbe uno dei suoi comandamenti: ogni generazione deve avere la sua Italia-Germania. Il bilancio totale parla di 33 incontri, 15 vittorie nostre e 8 loro. Ma c’è da fare una precisazione: quando contava, abbiamo sempre vinto noi. Saliamo sulla macchina del tempo e scaldiamo i motori. Il nostro viaggio nella storia di Italia-Germania inizia dalla calda estate del 1970.
L’Italia è reduce da un quarto di secolo che l’ha portata dalle macerie della guerra a una delle economie più floride del mondo. I due anni precedenti hanno visto lo scoppio di forti movimenti di protesta di studenti e operai. Pochi mesi prima, una bomba ha fatto saltare in aria una banca a Milano, in Piazza Fontana, uccidendo 17 persone. È l’inizio della strategia della tensione, l’Italia entra nel tormento degli anni di piombo. Si spera dunque che il mondiale in Messico possa regalare un po’ di spensieratezza ad un paese tormentato. In più, la squadra non è affatto male: due anni prima si è laureata Campione d’Europa per la prima e unica (per adesso) volta. C’è Riva, il più forte centravanti della nostra storia. Ci sono Rivera e Mazzola, numeri dieci di Milan e Inter, che l’allenatore Valcareggi non vuole far giocare insieme, dando così vita a un’indimenticabile staffetta.
Gli azzurri sono protagonisti di un buon cammino e nei quarti regolano per 4-1 i padroni di casa messicani. In semifinale li attendono i tedeschi. È conosciuta come “la partita del secolo”, non c’è bisogno di aggiungere altro. Ad essere onesti, i tempi regolamentari furono uguali a quelli di migliaia di altre partite. Gli azzurri passarono in vantaggio con Domenghini e nel secondo tempo i tedeschi sfiorarono il pareggio in un paio di occasioni. All’epoca non c’era una segnalazione del recupero da parte dell’arbitro, di solito si giocava pochi secondi dopo lo scoccare del novantesimo. Quella volta però Eupalla consigliò al direttore di gara di prolungare il match per quasi tre minuti, permettendo a Schnellinger (libero del Milan capitato chissà perché nel mezzo dell’area avversaria) di pareggiare in spaccata e di dare il via ai trenta minuti più emozionanti della storia del calcio.
La voce di Nando Martellini raccontò l’iniziale smarrimento degli azzurri ancora sotto shock per il pareggio subito all’ultimo respiro. Dopo quattro minuti, un pasticcio tra il difensore Cera e il portiere Albertosi diede al leggendario attaccante Gerd Muller l’opportunità di portare i tedeschi sul 2-1. Molti di quelli che videro quella partita da bambini raccontano che i genitori li mandarono a dormire, data l’ora tarda e la sconfitta ormai certa. Molti però non fecero neanche tempo a lavarsi i denti. Dopo altri quattro minuti il nostro libero Burgnich sfruttò un indecisione tedesca per siglare il 2-2. Ormai si era nel pieno della leggenda. Prima che il primo tempo supplementare finisse, Riva segnò un gol dei suoi, stop di petto al limite dell’area, dribbling e tiro a incrociare, tutto col sinistro. 3-2. Ma non era ancora finita, con i tedeschi non lo è mai.
Al quinto minuto del secondo tempo supplementare battono un calcio d’angolo. Rivera, che a causa della già citata staffetta è subentrato a inizio secondo tempo a Mazzola, viene catechizzato da Albertosi. Deve stare sul palo, coprire quella zona in cui per il portiere è complesso arrivare. Ma Eupalla lo distrae per una frazione di secondo, lo attrae verso il centro della porta quel tanto che basta perché la palla s’infili in quei pochi centimetri tra lui e il palo. Abbracciato disperatamente al palo, con Albertosi che da dietro gliene dice di tutti i colori, Rivera sa bene qual è l’unico modo per farsi perdonare. L’Italia batte e la palla arriva subito a Boninsegna che trova le energie per andare sul fondo e metterla in mezzo per lo stesso Rivera che di piatto beffa Maier per il definitivo 4-3. È il tripudio del calcio. I cronisti giurano che fu in quella notte, per quella partita, che nacquero i caroselli. In Germania invece ci fu una vergognosa caccia all’immigrato italiano con tanto di vetture date alle fiamme. “El partido del siglo” si meritò una targa all’interno dello stadio Azteca e divenne in seguito anche un film di Andrea Barzini con Massimo Ghini e Giuseppe Cederna. In finale trovammo il Brasile, per alcuni la più forte nazionale di tutti i tempi. Giusto per capirci, mentre noi dibattiamo di Mazzola o Rivera loro arrivano a schierare cinque numeri dieci. Arriviamo pure stanchi, reggiamo un tempo ma crolliamo e perdiamo 4-1. La delusione è tanta, ma quella semifinale sarà ricordata fino a quando esisterà il calcio.
Rientrando nella nostra immaginaria macchina del tempo atterriamo nell’estate del 1982. Troviamo un paese che sta lentamente uscendo dagli anni di piombo e si lecca le ferite mentre cerca di ritrovare serenità. L’atmosfera che circonda la nazionale in partenza per il mondiale spagnolo non è affatto tranquilla. Il CT Bearzot, uomo di poche parole come solo i veri friulani possono essere, ha fatto scelte molto criticate. Ad esempio portare Zoff che ha ormai quaranta anni. E soprattutto convocare Paolo Rossi, reduce da quasi due anni di inattività a causa del calcioscommesse. Il girone eliminatorio è uno stillicidio, tre pareggi e qualificazione raggiunta solo grazie alla differenza reti. La stampa è inferocita, Bearzot risponde inventando il silenzio stampa. Nel girone successivo l’Italia si risveglia, 2-1 all’Argentina di un astro nascente di nome Diego Armando Maradona. Il Brasile però sconfigge gli argentini 3-1, quindi nell’ultima partita del girone a loro basterebbe un pari contro di noi. È un Brasile fortissimo, quasi ai livelli di quello del 1970. Eupalla però decide di raccontare un’altra delle sue storie. Paolo Rossi, fino ad allora un vero e proprio fantasma, mette a segno addirittura una tripletta e i fenomeni carioca perdono 3-2. Paolo Rossi è ormai sbloccato, un’altra doppietta alla Polonia ci porta in finale dove ad attenderci ci sono i tedeschi.
Sono reduci da un’impresa di quelle che solo loro possono fare, rimontando un 3-1 contro la Francia e vincendo ai rigori. L’impresa della semifinale ha tolto energie ai tedeschi; l’Italia, dal canto suo, viaggia sulle ali dell’entusiasmo. È la favorita d’obbligo, ma con i tedeschi meglio non fidarsi. Nel primo tempo poi, Cabrini sbaglia un calcio di rigore aumentando le ansie di chi guarda dal divano di casa. Ma, dopo dieci minuti della ripresa, su cross di Bruno Conti, un colpo di testa in tuffo di Paolo Rossi ci dà il vantaggio (e il titolo di capocannoniere a lui). A metà della ripresa Tardelli fa 2-0, esibendosi in una delle esultanze più iconografiche della storia del calcio. Altobelli e poi Breitner fissano il punteggio sul 3-1 finale. Pertini in tribuna esulta senza freni istituzionali, pensando forse anche agli anni della Resistenza contro i tedeschi. Dopo 44 anni l’Italia torna Campione del Mondo, ma il 1938 era un’altra epoca, non c’erano televisioni. Si può dire che fu il primo trionfo dell’era moderna di cui poté gioire tutta la popolazione.
Sulla nostra macchina del tempo guardiamo scorrere sotto di noi in rapida successione la fine della Prima Repubblica, Tangentopoli, le stragi di mafia, la salita di Berlusconi, l’arrivo di Schengen e dell’Euro.
Ora siamo nell’estate del 2006, dove la nazionale parte per il mondiale tedesco tra polemiche molto simili a quelle del 1982. Molti giocatori sono giudicati indegni di rappresentare l’Italia perché chiamati in causa in un presunto scandalo che sta travolgendo il calcio italiano. La squadra è forte, sono a diversi gradi di maturazione una serie di fuoriclasse, da Buffon a Pirlo, da Cannavaro a Totti, da Nesta a Del Piero. In panchina, un altro uomo di poche parole ma questa volta proveniente dalla Toscana, Marcello Lippi. Con un cammino abbastanza agevole arriviamo alla semifinale dove ci aspettano i tedeschi padroni di casa. Si gioca al Westfalenstadium di Dortmund, uno degli stadi che incutono più timore al mondo. Ma la paura ce l’hanno loro. Dopo 90 minuti di equilibrio, Lippi nei supplementari mette un modulo a quattro attaccanti, tradendo, in buona fede, la storia difensivista italiana. Prendiamo un palo, poi una traversa, i tedeschi sono come un puglie suonato che però non va giù. Puntano ai rigori e quasi ci sono arrivati. Ma al minuto 118 su un calcio d’angolo battuto da Del Piero la palla arriva al limite a Pirlo, che con un passaggio no look serve Grosso che è decentrato sulla sinistra all’altezza del dischetto del rigore. Tiro a volo quasi a giro, come quello di un fantasista consumato. I secondi successivi sono abbastanza confusi, tutta l’Italia urla, si abbraccia, esulta. L’ennesima favola del calcio italiano, un terzino che pochi anni prima era in serie C2 decide una semifinale mondiale. Pochi giorni dopo, avrebbe raggiunto l’apoteosi segnando il rigore decisivo nella finale con la Francia che consegna agli azzurri il quarto titolo mondiale. Tornando alla Germania, Del Piero nel recupero sigla anche il 2-0. Ormai per i tedeschi le sfide contro di noi sono dei veri e propri incubi. E sei anni dopo, ne avremo la conferma.
Nel 2012 l’Italia è nel mezzo della peggiore crisi economica nazionale ed internazionale del dopoguerra. C’è poca voglia di far festa ma la nazionale, si sa, ha una sorta di potere magnetico. Dopo aver mandato a casa gli inglesi ai rigori, è ancora fortissimamente Italia-Germania, ancora una semifinale. I tedeschi però questa volta sono i grandi favoriti, hanno annichilito chiunque abbiano incontrato sulla loro strada. Hanno una generazione fortissima, giovane, ma al tempo stesso matura. L’Italia invece è cambiata molto dal 2006, alcuni protagonisti sono invecchiati, altri si sono ritirati e non sono stati sostituiti da elementi di pari livello. Quando si va in campo però, i pronostici non servono a molto e il primo tempo di quella partita spiega tante cose. I tedeschi entrano in campo contratti e nervosi nonostante sappiano di essere più forti. È qualcosa che viene dal profondo, un’irrazionalità mai così razionale. Pensate a un nazionale tedesco che scende in campo dopo che nei giorni precedenti si è ricordato della delusione che suo nonno gli ha raccontato, ricordandosi di quella semifinale dell’Azteca. Magari il padre un giorno gli ha svelato la frustrazione di essere dominati nella finale del 1982. Oppure i ricordi sono i suoi, gli torna alla mente quella sensazione che provò, da bambino, quando Grosso gli negò l’emozione di una finale mondiale giocata in casa. Fatto sta che la Germania non è lei, a fine primo tempo è addirittura sotto 2-0 grazie a una doppietta di Balotelli, simbolo di una nuova epoca multietnica. Nel secondo tempo si riprendono, nel finale accorciano le distanze ma ancora una volta a vincere siamo noi. In finale la Spagna ci seppellirà con un clamoroso 4-0, ma la soddisfazione di averla fatta un’altra volta ai tedeschi è impareggiabile.
E veniamo ad oggi. Tra pochi giorni ci sarà una nuova Italia-Germania, quarto di finale di euro 2016. Sembra l’occasione giusta per i tedeschi per prendersi una rivincita che aspettano da mezzo secolo. Si può dire che mai le due sfidanti storiche si siano trovate così distanti l’una dall’altra. La Germania è Campione del Mondo, è la squadra più forte, è ancora giovane e trabocca di talento. L’Italia è nel pieno della peggiore crisi tecnica del dopoguerra. Reduce da due eliminazioni al primo turno ai mondiali, difesa a parte, è composta da giocatori che in passato mai sarebbero arrivati a vestire l’azzurro. Da pronostico, non dovrebbe esserci partita. Ma nel calcio l’impossibile non esiste, soprattutto se si tratta di Italia-Germania. Le nostre speranze sono legate ai fantasmi di Rivera, Paolo Rossi, Grosso e Balotelli e alla loro capacità di agitare i sogni dei giocatori tedeschi. Al classico augurio sportivo del “vinca il migliore” non possiamo che rispondere con la celeberrima frase di Nereo Rocco. Sperem de no.