“Siamo la Juve, noi. Non siamo mica il Paris Saint Germain”.
Hanno appena sorteggiato i quarti. Subito dopo “che sfiga maledetta”, il commento più diffuso tra i tifosi juventini è quello, il paragone con i francesi.
Non lo siamo come fase difensiva, affermiamo fiduciosi.
Se andiamo sopra di tanti gol, di certo non ci facciamo riprendere come polli anche noi: loro erano terrorizzati, hanno pure sbagliato gol a porta vuota con Di Maria e Cavani, alla fine sono andati nel pallone. No, a noi non capiterebbe. Loro non hanno mica come slogan “jusqu’à la fin”, mentre noi siamo quelli del #finoallafine e non avremmo mollato.
Non lo siamo come fase offensiva, affermiamo preoccupati un secondo dopo.
Loro hanno fatto la partita perfetta all’andata. E noi siamo solidi, molto più solidi, forse più forti, ma una partita così non la faremo mai. Magari, per una volta, facessimo una vittoria sonante all’andata. Vacci a riprendere, poi.
Ancora qualche secondo e l’analisi cambia ancora: guardate che il PSG è uscito immeritatamente. Ha dominato l’andata, controllato tranquillamente fino agli ultimi minuti, poi tra tuffi, punizioni, rigori, atmosfera infernale ha preso tre gol surreali in un attimo. Ma era passato, dai.
Che casino, la Champions.
Ma noi non siamo il Paris Saint Germain, e ora tocca a noi. Noi, quelli che in Italia vincono da tanti anni. I finalisti in Champions di due anni fa. Gli unici che hanno eliminato il Real negli ultimi 3 anni. Noi, gli stessi che – almeno così si sussurra da queste parti – per battere corazzate come Samp e Milan hanno bisogno che Giampaolo levi Muriel e che l’arbitro osi punire un fallo di mano nel recupero, quando, se solo fosse stato più esperto, avrebbe fischiato la fine prima del dovuto. Altro che Barcellona.
Torino, 11 aprile. Ci vado, col mio amico di Champions.
Firmeresti una vittoria di misura? Sì, qualunque vittoria: poi devono batterci là, e non siamo mica il Paris Saint Germain, noi. Lo 0-0? Tosto, ma non prendere gol in casa sarebbe troppo importante. Magari poi facciamo l’impresa in casa loro. E poi andiamo a vederla anche lì, quindi speriamo che almeno non chiudano la qualificazione già oggi.
Invece no, non c’era da firmare niente. Perché viviamo una serata magica in cui alla fine il rischio diventa proprio prendere un gol e rovinare tutto. Trovarsi a mezz’ora dalla fine a non firmare un 3-1. Ce l’avessero detto, non ci avremmo creduto. Lo Stadium è felice, orgoglioso, entusiasta. Però prudente. Perché la squadra più citata, uscendo a fine partita, non è la Juve né il Barca, ma l’onnipresente Paris Saint Germain. Calma, dice qualcuno, ricordatevi il PSG. Smettila, gli rispondono, non siamo mica come loro, intanto pensiamo a godercela.
Ce la godiamo. L’impressione è che servisse una serata così. La grande partita contro i più forti di tutti, in uno stadio tornato finalmente una bolgia: mancava solo questo, forse, a questi anni incredibili, di cui capiremo la meraviglia solo più avanti, quando saranno finiti.
Gli 8 giorni successivi durano un anno.
Forse anche più di quegli infiniti 4 giorni dopo lo Juve-Lecce di Buffon e Bertolacci.
In mezzo ci piazzano la sfida contro la bella squadra di Zeman, che picchia dal primo minuto, a momenti ci azzoppa Dybala e incredibilmente finisce la partita in 11 contro 11. Salvo poi affermare impunemente, il Maestro boemo, che Muntari, se solo giocasse in un’altra squadra, non sarebbe stato neanche ammonito. Sulla Juve vale tutto, tanto: lui lo sa da sempre e fa bene così.
Mancano 4 giorni, viene designato l’arbitro, si guardano i precedenti, si ripensa a quella volta in cui hanno espulso Hernanes, si cerca di ricordarsi quel fallo, come se davvero contasse qualcosa.
Meno 3 giorni e penso già al “firmeresti” da sottoporre al mio amico: firmeresti 5 gol totali nella partita?
Lo so, detta così fa paura, ma passerebbero solo con un 5-0, e non dobbiamo perdere 5-0, oh, non siamo mica il Paris Saint Germain.
Mancano due giorni, e riascolto tutte le conferenze di Allegri dal sorteggio a oggi: ostenta rispetto e tranquillità, esattamente come deve fare un leader.
Non vorrei una parola diversa da tutte quelle che ha utilizzato lui da quel giorno fino a oggi.
Manca un giorno.
E poi andrà come andrà. Perché loro sono sempre loro, gol ne fanno a tutti. Ce lo ricordano anche dall’account ufficiale: in Europa tutte vittorie dal 4-0 in su. Lo fanno per caricarsi. Per farci credere che è possibile, addirittura probabile. Che in casa loro un 3-0 non può bastare. Per metterci paura sin dagli spogliatoi, magari con le foto di Berlino 2015. Per fare tremare le gambe a qualcuno. Come capitato, appunto, al Celtic, al Borussia M., e fin qui vabbè, ma perfino al City di Guardiola. Perché Messi, Neymar, Suarez, Iniesta e compagnia possono fare la goleada contro chiunque, e sarebbe stupido sottovalutarlo.
Magari andrà così anche stavolta, e non vorrò mai più vedere i gol dell’andata, perché non saranno contati niente. Anzi, avranno contribuito a rendere ancora più infernale quel mio viaggio a Barcellona.
Ma magari no, non andrà così, stavolta passeremo noi, e anche la serata da quelle parti sarà di tutt’altro sapore.
Perché, ce lo diciamo dal secondo dopo il sorteggio, un po’ per farci forza e un po’ perché è davvero così, perché deve essere davvero così: siamo la Juve, noi, mica il Paris Saint Germain.
Il Maestro Massimo Zampini.