Non passa. Quel fuoco dentro acceso dalla piroetta e tiro a giro di Dybala, attizzato con la sfuriata di Mandzukic e il secondo gioiello, divampato col dottor Chiellini che sale in cielo a baciare palo-rete e maglia. Non si spegne. E resterà luce abbagliante e ardente fino ai 100 minuti del Camp Nou, per una delle notti sterminate come quel maledetto campo che non finisce mai.
Non possiamo esaltarci a metà strada, ma possiamo esaltare chi ha costruito un sogno di una notte di mezza primavera, dal primo all’ultimo. Partiamo rigorosamente dagli ultimi.
Grazie a chi ha contornato il diamante sfavillante di una gara epocale con i sassolini grezzi del ridicolo: i tifosi-gufi trasformatisi in catalani della prima ora, i napolisti che ora si offendono del paragone col Barca, gli interisti che insultano Gagliardini e i giornalistucoli che, controvoglia, magnificano la “solidità Juve” e le “perle di Dybala“, ma screditano un “Barca miserrimo” che avrebbe però affettato qualsiasi altra delle loro squadre del cuore. Un pensiero anche a quelli che scioperano, ieri non sono mancati affatto.
Grazie a chi ha concepito e poi realizzato la nostra casa, luogo mitico del cuore e della passione, scenario di trionfi ed imprese e ora anche chiesa inviolabile da 48 gare, 21 delle quali in Europa.
Grazie alla coppia di esterni brasiliani quanto più diversa possibile e quanto più esaltante si potesse immaginare. Quel Dani Alves imbelvito dal primo minuto che per una notte abbandona vezzi e leggerezze blaugrana per montare una guardia cattiva e lucida sugli ex-compagni Neymar e Iniesta, prima salutati con la solita allegria nel tunnel, poi asfissiati e -quasi- annullati. Quell’Alex Sandro che non va tolto dal campo neppure con le cannonate, che si è dimostrato non solo guastatore e assaltatore ma anche ipersonico disturbatore nelle zolle dell’uomo più forte della storia del calcio, immorale che Sandro non sia pilastro del Brasile, ma buon per noi che abbiamo l’esclusiva del godimento.
Grazie alla coppia di centrali difensivi top player per attenzione, generosità, tempismo e rabbia agonistica ipertrofica. Quegli anticipi e marcature a tutto campo di Bonucci, non solo di gran lunga il miglior centrale d’impostazione d’Europa, ma anche uno dei più chirurgici francobollatori (anche a 4, eh!). E quel Chiellini, dottore magistrale in business administration e Professore emerito in Suarez administration. Uno a cui l’uomo dai 60 gol in stagione va via mezza volta in 95 minuti e che timbra il terzo gol che fa tutta la differenza del pianeta.
Grazie alla coppia di centrali Pjanic e Khedira, fosforo e gamba quando c’è da impostare e gestire, che ieri hanno dato una prova mastodontica di diligenza in non possesso, mai bucati centralmente, mai presi d’infilata, mai scoperti o fuori fuoco. Quei Mire e Sami che nell’ultimo quarto di gara vanno anche a punzecchiare davanti andando al tiro e procurandosi punizioni che solo un Marciniak appannato (grazie anche a lui, nonostante tutto) non vede.
Grazie alla coppia di esterni offensivi che hanno rivoluzionato la nostra stagione. Quel Cuadrado che ha troppo spunto, troppa voglia di calcio puntato per essere solo un’arma a gara in corso. E quel Mandzukic che ha spostato la sua battaglia personale contro tutto e tutti su quella fascia arata in modo crudo ma efficacissimo. Non solo il raddoppio continuo sugli esterni azulgrana ma soprattutto il martellamento e le percussioni e i due per le perle della Joya.
Grazie anche ad Higuain, solo 2 gol in 21 gare Champions ad eliminazione diretta. Due occasioni non finalizzate alla implacabile sua maniera ma presenza costante, ripiegamenti, sponde e aperture e -attenzione- i due gol di Dybala passano da suoi tocchi illuminanti: l’apertura millimetrica per Cuadrado e il tocco al volo che consente a Pjanic di aprire subito per la sfuriata di Mandzukic.
Infine, grazie ai due astri più abbacinanti della costellazione di Juve-Barca: Dybala e Buffon, il ragazzo e il vecchio, la Joya e il Santo, il pallone d’oro del futuro (?) e l’assurdo mancato pallone d’oro del passato. Quel Dybala che dispiega il firmamento della sua classe folgorante proprio nella gara più prestigiosa, lui che non c’era (con Chiellini) all’Allianz, l’impresa fallita. Quel sinistro mirabolante fuso in una leggiadria così iperbolica che anche le sassate sembrano svolazzi. Quei chilometri macinati, quell’ondeggiare nei vuoti di campo lasciati dai rivale, quel talento così brillante nella sua essenzialità, senza frivolezze, senza inutili artificiosità, l’involucro più trasparente di un fuoriclasse puro.
E quel portiere, IL Portiere, che da 23 anni regge il peso di una rivoluzione totale del ruolo, che ha vinto tutto tranne la Maledetta, e che solo in queste gare si esalta perché nelle altre manco fatica. Quella mano, quella postura, quel gesto tecnico distillato in un microsecondo che va dall’assist spaziale di Messi (mammamia!) all’inserimento e tocco del gemello cosmico Iniesta, e tutto si infrange sulla testa-occhio-cuore-classe-mano-guanto del nostro Capitano (O, Capitano!).
Il grazie ad Allegri, assieme all’eventuale monumento al miglior mister su piazza, sarà dovuto solo alla fine della gara di ritorno, perché –Emery insegna- i complimenti si fanno ai calciatori e le disfatte ricadono sugli allenatori. E, a proposito, grazie anche al PSG che con lo scempio al Camp Nou ci renderà ancora più svegli, attenti ed arrembanti al ritorno.
Grazie anche a quei quattro che si abbracciano in tribuna, ognuno coi suoi difetti, ruoli, crediti e meriti.
E grazie a tutti voi, per essere stati contemporanei a questa Juve e perché sappiamo che la nostra testa non è solo al Camp Nou ma anche al Pescara, perché sappiamo che la notte di ieri finisce oggi, perché nulla si è vinto e nulla si è costruito, solo e soltanto una pietra luccicante in un lastricato ancora troppo, troppo lungo, per essere definito glorioso.
Sandro Scarpa