Ode a Michel…

di Michele Tossani


Il 17 Maggio 1987 Michel Platini lasciava il calcio giocato. Trent’anni dopo Michele Tossani vuole omaggiare con questo tributo ‘le roi’, un fuoriclasse che ha fatto la storia della maglia bianconera


“Lo abbiamo comprato per un tozzo di pane e lui ci ha messo sopra il foie gras”. Con questo aforisma, uno dei più noti, l’avvocato Gianni Agnelli descrisse uno dei suoi giocatori più amati di sempre. 17 maggio 1987: è una giornata piovosa quella che colse Torino trent’anni fa.

La Juventus aveva appena sconfitto per 3-2 il Brescia. Una partita come le altre, una vittoria come tante in un campionato al quale non c’era più nulla da chiedere. Era una Juve in tono minore quella del campionato che vide il primo trionfo del Napoli di Maradona.

Vero, arrivò il secondo posto, ma la squadra bianconera non dette quasi mai l’impressione di essere una serie pretendente al titolo. Molte cose erano cambiate nell’estate 1986 a cominciare dall’addio di Giovanni Trapattoni. Il suo sostituto fu Rino Marchesi: elegante, competente, un vero signore…un bravissimo allenatore, ma non da Juve. E, infatti, il suo giro di valzer con la Vecchia Signora durò poco.

Quell’ultima di campionato però rappresenta molto di più nell’immaginario juventino. SI tratta infatti della domenica dell’addio alla Juve e al calcio giocato di Le Roi Michel.

È inutile ripercorrere qui la straordinaria carriera in bianconero del No.10 francese. I numeri si trovano facilmente online e le giocate, quando non immortalate nella memoria dei singoli, sono chiaramente visibili su YouTube.

Quello che ci preme fare in questa occasione è invece un ricordo di un fuoriclasse che illuminò le domeniche di un calcio che fu…quello di 90° minuto, delle partite in contemporanea la domenica, delle sedici squadre in Serie A, dei due stranieri per squadra.

Un calcio diverso, con gli stadi sempre pieni e con le famiglie che andavano ad ammirare gli eroi della domenica. E, fra questi, Platini è stato sicuramente il più eroe di tutti, almeno fino all’avvento di Maradona.

Meno geniale dell’argentino, più geometrico se vogliamo, Platini ha incarnato gli ideali del sacrificio e della voglia di vincere tipici della squadra della famiglia Agnelli. Non un istrione ma un cervello pensante, capace di creare gioco, di rifinire e di segnare in prima persona (basti pensare ai suoi titoli di capocannoniere).

Se chiedete ad un ragazzo di oggi chi sia stato il più grande giocatore di tutti i tempi probabilmente vi risponderà Messi o Cristiano Ronaldo.

Se fate la stessa domanda ad un adolescente degli anni ottanta vi dirà Maradona.

Ma se lo chiedete a qualcuno che è stato giovane a cavallo fra i settanta e la decade successiva, quasi certamente risponderà “Platini!”.

Questo perché ogni periodo storico ha i propri idoli. E nei primi anni ottanta l’idolo per eccellenza dei campi di calcio era monsieur Platini.

Un’icona dentro e fuori del campo, menzionato in ogni quartiere, su ogni campetto di cemento di parrocchie e scuole elementari d’Italia come il giocatore cui paragonarsi, citato in film cult.

Dalla radio che gracchiava la voce rauca di Sandro Ciotti o quella impostata di Enrico Ameri non era difficile attendersi una interruzione da qualche campo di provincia o dal Comunale di Torino per narrare di un gol di Paltini, magari su punizione.

In quel lontano maggio del 1987, mentre Napoli festeggiava il primo scudetto della sua storia e l’Italia si apprestava ad invadere le spiagge al suono di Who’s That Girl di Madonna o I Wanna Dance With Somebody di Whitney Houston, da qualche altra parte della penisola qualcuno piangeva l’addio di un campione, un fuoriclasse, di un genio con pochi eguali.

Se è vero, come disse Arrigo Sacchi, che il calcio si gioca col cervello e non con i piedi, Platini è stato un dottore nell’università del calcio che era quella serie A.

“Ricordo quand’ero bambino sognavo una maglia e un pallon… “