Il 5 Maggio 2002 è comunemente considerato uno dei più violenti orgasmi calcistici provati dal popolo della vecchia signora. Del momento apicale di quella goduria si tende a conoscere tutto: dove e con chi ci si trovava, cosa si disse all’amico bianconero e a quello interista. Le urla di gioia, i pianti, la sofferenza folle, il cuore con i battiti fuori giri. Un turbinio di emozioni indimenticabile, un condensato di brividi stordente. Quello che spesso non ci si ricorda, però, è l’inizio di quell’amplesso, che prende vita in un pomeriggio di fine Aprile.
E’ il 21 del quarto mese dell’anno che ci condurrà ai mondiali di Corea e Giappone. La Juve giunge a Piacenza, città di confine se ce ne è una, con la speranza di ridisegnare i contorni della propria geografia stagionale, e di varcare quella linea che separa la Champions League diretta dai preliminari. I bianconeri, complice qualche problemino di troppo lungo l’arco del campionato, arrivano infatti al volatone finale, con Inter e Roma, con un ritardo che sembra difficilmente colmabile, almeno in chiave scudetto.
La macchina di Lippi, tornato in Piemonte a distanza di due anni dal primo ciclo con la Zebra, impiega qualche mese di troppo a trovare il giusto equilibrio. Come se fosse il capo ingegnere di un team di F1, L’ex mister di Atalanta assembla una monoposto senza l’accessorio diamantato Zidane, innestandovi però dei pezzi di sicuro affidamento e sensazionale efficacia prestazionale. Buffon, Thuram e Nedved hanno il compito di garantire quel carico tecnico-carismatico in grado di mantenere il mezzo di Torino in strada, anche sulle curve più insidiose della Serie A 01/02. Qualche sbandata, invece, arriva quasi fisiologicamente, e nel mirino della critica ci finisce pure la ‘Furia ceca’, rea, a detta di stampa e tifosi, di non essere all’altezza della sua fama maturata negli anni della capitale.
Dopo i primi mesi durissimi però, gara dopo gara, il rendimento del fuoriclasse nativo di Cheb cresce esponenzialmente fino a renderlo, quel pomeriggio emiliano, un potentissimo afrodisiaco pallonaro per i sostenitori Juventini accorsi al Garilli. Mancano solo tre sfide al “triplice fischio” del torneo, e la classifica recita impietosa: Inter 65, Roma 63, Juve 62. Se il calendario dell’Inter pare ormai troppo semplice per superarla in extremis (al netto dell’uscita a Verona contro la sorprendente banda Delneri), la Roma è invece di scena a San Siro contro il Milan. La trasferta complessa dei capitolini lascia spazio così spazio alle velleità bianconere di esporre la freccia di sorpasso, magari proprio sul tratto di A1 Piacenza-Milano.
I Lupi di Novellino, ancora in lotta per la salvezza, si dimostrano però un osso durissimo, in grado addirittura di mettere più volte i brividi a Buffon, con il duo Gautieri-Hubner. La partita è ruvida, e Nedved, che gioca dietro le punte (Del Piero e Trezeguet), pare il meno ispirato del trio offensivo. Si arriva all’ora di gioco ancora a reti bianche, e con la perfida sensazione che sbloccare l’incontro possa essere una pratica decisamente complessa. Lippi decide così di cambiare le carte in tavola inserendo Davids e Amoruso. Quando l’acqua sta per lambire la gola della Vecchia Signora, sono proprio i due subentrati ad imbastire una delle azioni più belle e importanti del nuovo millennio a tinte bianconere.
L’olandese supera la metà campo palla al piede, con il portamento elegante e fiero tipico dei principi della mediana, e dipinge un pallone sui piedi di Amoruso che, di prima, trova la sponda perfetta per l’accorrente Nedved. La definizione del ceco, a due minuti dal termine, è di bellezza tale da lasciarci per alcuni istanti senza fiato. Mancino di prima intenzione, che fluttua nell’aria a velocità supersonica. Il piede del pallone d’oro 2003 scocca un dardo avvelenato, che trafigge il Piacenza e incendia i muscoli del corpo dei tifosi bianconeri, pervasi da improvviso piacere.
Nulla però a confronto con quanto accade poco dopo. La Roma cade nella trappola di San Siro, ma era prevedibile, ma la notizie che fa vibrare nuovamente le tribune dello stadio piacentino è l’inatteso pari del Chievo. Cossato firma il due a due, al Bentegodi, in pieno recupero, e quando lo speaker Emiliano annuncia il pareggio dei mussi volanti, sugli spalti, il tripudio è completo. L’orgasmo, noto, arriva due settimane più tardi. Il periodo di benessere sensoriale bianconero di quella primavera 2002 è però molto più lungo e intenso. Sarebbe ingiusto relegarlo solamente a quella data, già scritta nella storia Juventina, dimenticando il magico pomeriggio del Garilli, vero e proprio toccasana per gli ormoni zebrati, risvegliati da un afrodisiaco ceco