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Pecoraro-bis: nessuna prova lega Agnelli a Dominello

Partiamo dalla fine: Giuseppe Pecoraro, procuratore federale Figc, ha ammesso di essersi inventato l’intercettazione di Andrea Agnelli dalla quale si evinceva chiaramente il rapporto del presidente della Juve con Rocco Dominello, capo-ultras bianconero nonché presunto rappresentante della ‘Ndrangheta. Il dovere di cronaca, con annessi inevitabili commenti, ci impone di raccontare quanto successo nel primissimo pomeriggio durante la seconda udienza di Pecoraro davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia: il procuratore federale è stato richiamato per chiarire i malintesi che si sono venuti a creare nelle ultime settimane a seguito del deferimento ricevuto da Andrea Agnelli (e dalla Juve, oltre che da altri dirigenti bianconeri), della prima udienza dello stesso Pecoraro, ed anche dall’udienza dell’avvocato Chiappero – legale di Andrea Agnelli – davanti alla Commissione stessa.

Questi i fatti, e cioè le parole dello stesso Pecoraro, di due componenti della Commissione, i senatori Manfredi ed Esposito, e della presidentessa Bindi:

 

Pecoraro: “I biglietti sono stati distribuiti e dati anche a persone legate alla criminalità, questo è il dato, poi sarà il giudice sportivo a valutare: fra chi dominava nel bagarinaggio c’era anche Dominello, questo è un dato. Per il resto io non mi sostituisco alla Procura ordinaria, ma ci tengo a specificare che ciò che può essere irrilevante per la giustizia ordinaria può essere rilevante per quella sportiva. L’intercettazione di cui si è parlato e sulla quale sono state dette tante così è un’interpretazione che è stata data da noi, sembrava che da questa si evincesse confidenza fra Agnelli e Dominello, ma da una lettura migliore la attribuisco al pubblico ministero.

Manfredi: “In questa intercettazione, in ogni caso, D’Angelo parla con Calvo, Agnelli non c’entra proprio, ma nel cappello del deferimento lei dice che c’è una diretta emanazione di Agnelli nella gestione dei biglietti.

Esposito: “Fra l’altro, stando a quanto da lei dichiarato, il presidente della Juve, sempre secondo sua logica, era consapevole di avere a che fare con la criminalità organizzata. Lei oggi si sente di ribadire quanto detto?.

Bindi: “Voglio sia chiaro un punto: il procuratore Pecoraro, che deve attenersi alla sola giustizia sportiva, ammette oggi che in quella telefonata non si sta parlando di Andrea Agnelli, voglio sia chiarito questo aspetto. Anche perché se i rapporti fossero stati provati, la Procura avrebbe indagato il presidente della Juve”.

Pecoraro: “Le parole vanno misurate, io non ho mai affiancato il presidente Agnelli alla ‘Ndrangheta, semmai non posso escludere che Agnelli sapesse dell’estrazione familiare di Rocco Dominello. Sono convinto che l’incontro fra i due c’è stato, anche se non mi risultano telefonate dalle quali si evince ciò, o comunque che Agnelli sapesse dell’attività criminosa di Dominello.

 

Quali sono gli aspetti che emergono da quanto sopra?

 

1) Non che servisse conferma, ma lo stesso Pecoraro oggi ha chiarito di aver attribuito ad Agnelli parole mai pronunciate, inventando una telefonata del presidente mai avvenuta;

2) Pecoraro smentisce sé stesso anche relativamente all’accostamento di Andrea Agnelli alla malavita organizzata considerando quanto invece sostenuto nell’atto del deferimento stesso;

3) non esiste nessuna prova di un legame diretto fra Agnelli e Dominello;

4) che il presidente della Juve avesse un’idea anche solo una remota delle faccende private di Dominello è una sensazione di Pecoraro fra l’altro non supportata da prove.

 

Il 23 marzo, a seguito dell’intervista rilasciata da Stefano Esposito (uno dei due senatori prima citati) a Top Planet, scrivevamo nel nostro diario su quest’argomento che sarebbero stati tre i possibili scenari: o mentiva il senatore, o mentiva Pecoraro (!), o il procuratore federale aveva fra le mani documenti che neanche Procure e Commissione avevano. Scegliete voi qual è il quadro più vicino alla realtà visto quanto successo.

 

Alla luce di quanto chiarito oggi da Pecoraro, dunque, resta solamente una la strada da percorrere nel cammino logico di questa storiaccia: evitare che la Procura federale continui ad accusare una società di qualcosa che non ha mai compiuto, e dunque annullare o per lo meno riformulare il deferimento nei confronti della Juventus e del suo maggior rappresentante odierno. Provocazione? Sì, anche forte, ma sicuramente più vicina alla realtà dei fatti rispetto a coloro i quali in questi stessi minuti stanno puntando il dito verso una realtà smentita dai fatti (vendita dei biglietti per favorire la criminalità organizzata) anziché contro un organo di giustizia – seppur sportiva – che fonda la propria attività su sensazioni soggettive e non su dati di fatto.

Gentile Andrea Agnelli, chiederanno 18 mesi ma io ci sarò

Gentile presidente Andrea Agnelli, abbia la pazienza di leggere queste righe e poi tragga le conclusioni del caso. La vogliono mettere nello sgabuzzino per un 6 o 8 mesi, non si preoccupi troppo, è una cosa seria, ma all’italiana, dove i cattivi alla fine fan ridere e tutti recitano un ruolo in commedia.
Scrivo da Roma, a poche fermate d’autobus dalla sede della Figc, al riparo di alberi e università, in una parte bella della città. Ho ascoltato da poco le parole del prefetto Pecoraro, del capo della procura sportiva, eppure non ho capito nulla. Lui ha detto che non ci sono registrazioni a suo carico, presidente, ma solo una serie di sensazioni e convinzioni investigative. Quasi nulla guardando le cose con obiettività e freddezza, ma dentro questa scala a chiocciola non funziona nulla con questi elementi.
La commissione antimafia parla di biglietti venduti a chi non si dovrebbe, di pochi controlli. Come è possibile, chiedo, che non ci sia una prova regina, una foto, una impronta? Stiamo qui a parlare e scrivere di cosa? La Juve ha rapporti profondi con questa gente o no?
Lei presidente non ha visto quelle facce, non ha sentito il rumore di nulla in quei corridoi, dentro quelle stanze. La risposta ad ogni interrogativo è solo una questione di bagarini? Possibile? Allora continuo a ritenere che sia tutto frutto di una illusione, un gioco di rimandi dove non si trova la trama, il senso. L’associare la Juventus, la sua Juventus e la mia Juventus, ad una organizzazione malavitosa è una cosa che fa ribrezzo, vomitare, spingere sull’acceleratore per cercare di cambiare il prima possibile paesaggio. Eppure la coniugazione, l’accostamento, funziona da settimane, mesi. Come è successo? Come è iniziata? L’inchiesta della Procura di Torino sulla ‘Ndrangheta in Piemonte, sulle mani dei boss nel crimine, negli affari, è composta di volumi e volumi. 
 
Ci sono oltre 30 imputati e una quatantina di indagati. Ci sono fatti gravi e minacce che poi si sono realizzate, il guardaroba della malvagità e le inutilità tipiche di chi è cattivo perché vende droga, governa la prostituzione, è pronto a vendere e uccidere per una percentuale di guadagno frutto dell’usura. In mezzo a questo florilegio abbastanza tipico delle cosche e non solo si scorgono le figure di un paio di soggetti e viene evocato il ruolo di un altro che si è tolto la vita. Quella coppia, abbastanza scombicchierata nel ruolo dei picciotti, pare che avesse preso consistenza all’interno della curva juventina, quella che segue la squadra in trasferte difficili ed è presente anche quando non sembra un granché.
Uno di questi, gentile presidente, un po’ per difesa e poi perché non poteva fare altrimenti ha detto che con voi della Juventus ci parlava, aveva a che fare. Del resto i biglietti chi li passa? E’ una parte dell’inchiesta abbastanza facile. Allo Stadium ci sono telecamere e controlli. Difficile che qualcuno la faccia franca se alza una mano in modo scomposto. La Digos ha denunciato e ‘daspato’ in questa manciata d’anni che hanno significato successi e quindi ben poche contestazioni. Gli accordi e le intese negli spalti sono tutte lampanti, sempliciLei quando è stato chiamato da quella avvocatessa gentile e laziale forse ha dato per scontato che la Federazione non avesse voglia di far la guerra con la Juventus e così ha fatto qualche scivolone, dando per scontato che i suoi collaboratori vecchi e nuovi avessero tenuto il muro, le posizioni, e non ceduto per convenienza e timore. L’avvocato difensore ha cercato di risolvere, appianare, rendere esplicito che una indagine non vuoi dire una condanna in un paese civile, in una democrazia. Ma questo è il mondo del pallone, degli stadi, del caffè borghetti. 
 
Il prefetto Pecoraro è nell’occhio del ciclone, secondo alcuni. Il presidente della commissione parlamentare, Rosy Bindi, ha messo in chiaro che non si può dire una cosa e poi rimangiarsi la parola come se nulla fosse. A maggio queste forche caudine che non significano nulla potrebbero finire? C’è qualcuno però che aspetta quel momento per fissare la data del suo processo sportivo, presidente Agnelli. E’ la follia di questa storia senza senso. Dove nessuno si prende la briga di leggere le carte e si continua ad accomunare Juventus e ‘Ndrangheta come se nulla fosse.
E’ il vizio di chi titolava ‘Triade’ sotto ai nomi di Giraudo, Moggi e Bettega? E’ l’antijuventinismo  patologico che gioiva per la sconfitta con il Brescia di Cosmi e le vittorie del Napoli di Reja. Ed era il 2007 e la Juventus faceva forse solo paura a se stessa. Bisognerebbe ricordarle certe cose presidente. Per questo consiglio sin da ora di non parlare con l’ex allenatore che è andato in Inghilterra. Il processo penale a Cremona, per quelle storie, non è mai entrato nel vivo. Si sonnecchia aspettando decisioni e rinvii. Quindi poca fiducia.
Se dovesse arrivare la sua squalifica, l’inibizione senza perché, cosa bisognerà pensare? Chiederanno 18 mesi, dicono, per ottenerne la metà o quasi. Una stagione. Le vogliono far male. Per quello che ha vinto, presidente, e per quel che lei rappresenta. E’ un fatto.
Per questo le chiedo pazienza se mi vedrà in via del Seminario, a Roma, nel caldo di maggio, con una sciarpa bianconera.
Non fuori posto, ma pronto a tutto.