Il giorno dopo l’eliminazione della Juventus in Coppa Italia è il momento in cui l’Italia calcistica si risveglia con la sensazione di una fine di un lungo dominio. Quattro anni di vittorie ininterrotte nelle competizioni nazionali – Supercoppe a parte dove, da buon juventini, abbiamo spesso manifestato un rapporto di tanto odio e diverso amore con le finali – rappresentano un periodo interminabile e che sembrava non destinato a segnare una brusca fine questa stagione. La Juventus di oggi sta dominando in campionato, i vantaggi siderali li conoscete, e marcia spedita verso la vittoria dell’ottavo scudetto consecutivo (un dato che a me fa venire i brividi scrivendolo), ma s’è fermata per la prima volta e giunge al termine di una pettinata niente male. Non so voi, ma a me hanno insegnato che nel calcio, ed è un manifesto della vita, si perde e che la sconfitta, pur odiandola fermamente, va accettata ed è uno stimolo di proporzioni gigantesche per riflettere. Ecco, Atalanta-Juventus rappresenta il momento esatto per comprendere esattamente quello che sta accadendo, perché le vittorie spesso spingono a trascurare i segni negativi che si manifestano: prendete le reazioni post Lazio, quando in molti parlarono e scrissero di una squadra invincibile, perché “se vince pure queste quando la batti?”, all’interno di una narrativa fondata sul “la Juve non muore mai” che nascondeva l’aspetto episodico di quella vittoria. È questo quindi l’occasione propizia per cui tornare a soffermarci sul processo sul quale si fondano i risultati: process over results per capire cosa sta realmente accadendo.
Diciamoci la verità: è da un paio di mesi, dalla trasferta di Firenze col culmine nella gara col Torino, che la qualità media delle prestazioni bianconere è scemata e in cui la produzione offensiva si è abbassata. Cosa può essere successo? A ottobre, dopo la vittoria con l’Udinese e prima quindi delle doppie gare col Manchester, scrivevo questo articolo per manifestare la soddisfazione mista sorpresa per l’inizio di stagione; sono passati dei mesi e la strada intrapresa sembra essere diversa. Quella Juventus, grazie al ricco mercato, aveva risolto diversi problemi, giocava un calcio fluido, basato sulle posizioni e non sui ruoli, usciva bene col pallone dalla difesa, controllava e governava le partite col pallone, difendeva col pressing alto e manifestava difficoltà in fase di rifinitura: era una squadra vincente e bella da vedere. I mesi successivi, specialmente quello di dicembre, sono stati quella della normalizzazione: la condizione atletica è scemata, si è perso un po’ di brillantezza, si è entrati nella modalità routine e si è badato, anche giustamente direi, alle vittorie. E si sono quindi adottate la strategie più semplici e comode: Mario Mandžukić, che come giustamente lo definisce Antonio Corsa è la scorciatoia più immediata e di garanzia, per alzare il pallone, triturare i difensori; il 4-3-3 solido, il centrocampo di corsa, una squadra più verticale, capace di controllare le gare con la tenuta difensiva. E si è vinto, tanto, ma la direzione precedente è stata lasciata lì, non sviluppata. In sintesi, è stata una Juventus simile a quella della scorsa stagione ma con più qualità nei singoli.
Il nuovo anno è ripreso da questo punto con due variabili: gli infortuni e il carico atletico. Dati che vanno presi in considerazione e che spiegano in parte anche le difficoltà incontrate in queste ultime uscite, perché questo contesto che si è creato (condizione-infortuni-strategia tecnica e tattica) amplifica l’assenza di schemi, autentiche ancore di salvezze cui aggrapparsi nei momenti peggiori, mentre il calcio d’Allegri è basato sui principi di gioco. Cosa vuol dire tutto questo? Sono le prospettive? Penso sia riduttivo sostenere che col miglioramento della condizione atletica e il recupero degli infortuni la qualità del gioco tornerà a essere a quella d’inizio stagione. No, penso sia anche questioni di scelte di uomini, di seguire le caratteristiche dei giocatori in rosa: questa Juventus è una squadra tecnica – a centrocampo gli uomini di maggiore qualità sono Pjanić e Bentancur, con Emre Can che è quello che unisce forza fisica e strappi palla al piede – e deve saper sfruttare al meglio Dybala, Bernardeschi, Douglas Costa, Cuadrado (quando tornerà), Cristiano Ronaldo, soprattutto lui perché non può essere abbandonato o spostato sull’ala: abbiamo uno dei migliori nella storia del calcio e non lo stiamo ancora usando bene, e Mario Mandžukić; è una squadra che sa come controllare le partite col pallone, sa essere aggressiva nelle transizioni, fluida e flessibile.
È la sfida delle prossime settimane: Allegri è un uomo furbo e intelligente, ha già dimostrato di essere in grado di sfruttare al meglio il potenziale della squadra e di saper prendere scelte nette, anche in contraddizione con quanto fatto in precedenza. È una sua grande virtù. Ed è il momento di tornare a invertire la rotta per riprendere, sviluppando e migliorando, la strategia d’inizio autunno.
Davide Terruzzi.