Qualcosa di grande da Bonucci a Khedira

Il day after, il giorno dopo, la Juve che non torna, come ibernata dentro una partita molto più espressiva di quanto il copione abbia lasciato intendere, non è mai un giorno normale. Perché lo si vive al di fuori del campo, crogiolandosi nella montagna di buone sensazioni, tra i titoli e i volti, gli abbracci e l’analisi semiotica delle esultanze.

Così, se si vuole partire dall’inizio (che è poi la fine), lo si fa con l’esultanza di Bonucci. A pugni chiusi, trattenuta e arrabbiata, con qualcuno o con se stesso. Ci teneva a essere con la squadra (concessione) mentre Allegri ci teneva a non farla passare (concessione). Insomma, il club è stato presente eccome. Marotta o chi per lui è passato da entrambi, come una ruspa, e il difensore non deve fare quello che ci è rimasto sotto.

Qualcosa di grande è accaduto. Qualcosa, più di una cosa, che segna un punto nuovo, un posizionamento nuovo, dinamiche nuove, senza possibilità di far finta di niente. Importa niente che a un certo momento, dopo un’ora, si sia pensato (o urlato) che bisognava vincerla.

Tra queste cose:

 

  • Vincere con quella sensazione di poter avere vita facile, come fuori casa accadde solo nell’andata di Glasgow quando si sognava di poter bruciare le tappe senza bruciare le fondamenta.
  • Vincere in undici contro dieci facendo letteralmente sentire le mani sulla gola dell’avversario, magari senza sangue negli occhi (poi dicono che gli allenatori sono solo gestori…): iniziare a essere dominanti quando si deve essere dominanti, anche in Champions, era il segnale necessario. Incluso il fatto che non ci fosse a quel punto da dimostrare, ma solo da continuare e progredire dentro la partita.
  • Prendersi tutto il karma possibile in una nottata che il racconto prometteva agitata, raccontava avvelenata, minacciava stregata. Allegri ci ha messo del suo, il fato pure, più clamore avrebbe fatto solo se i marcatori fossero stati Barzagli e Chiellini (passati da appiglio psicologico di un’era a generatori di ipocondria).
  • Prendersi tutto degli episodi con la regola dei cinque minuti, che adesso diventano due. La soglia psicologica di reazione e controreazione individuali e di squadra. C’è chi la sostiene davvero questa regola. E la ripete da anni allo scrivente, anche con messaggi improvvisi che riguardano partite improbabili. A proposito di probabilità: 141 secondi tra i due falli di Alex Telles; 120 tra ingresso e gol per Dani Alves. Poi c’è Pjaca, che spesso se l’è dovuta giocare in quei fatidici cinque minuti, lui che resterà sempre un discorso a parte fin quando si prenderà la maglia.
  • Khedira. Il gigante dimenticato. Migliore in campo insieme ad Alex Sandro, ma più nevralgico. Qualcosa di grande davvero, nella dimensione Champions. Non affascina, sembra un calciatore scontato e fa troppo spesso la fine dei tanti di cui si parla bene quando gioca peggio ma segna. Monumentale nella protezione di Pjanic, perché praticamente gli gioca alle spalle e non a fianco. Il tedesco è ciò che rende immune a oggi il 4-2-3-1 dei cinque che gli stanno davanti. E’ il meccanismo di autoregolazione. Se poi, come a Oporto, si infila da destra e da sinistra, lo si trova ultimo uomo o stoccatore anche improvvisato, è perché davvero le musichette a qualcuno accendono qualcosa. Quelli di Sami sono i colpi alla figura dell’avversario, al suo tronco. Senza quel lavoro ai fianchi Higuain e Dybala potrebbero, un giorno di primavera, non essere abbastanza.

Luca Momblano.

E SE… 2017/18 – Luciano Spalletti

E SE… 2017/18 – Luciano Spalletti

4 giugno 2017. Il giorno dopo Cardiff. Allegri incontra Marotta e Agnelli. Nessun annuncio ufficiale, ma da entrambe le parti sembra trasparire il desiderio di cambiare. Il mister è a caccia di nuovi stimoli, che una nuova stagione sulla panchina bianconera potrebbe non garantirgli, dal canto suo la dirigenza vorrebbe puntare su un volto nuovo, che possa motivare un gruppo probabilmente appagato. Nei giorni seguenti rumours continui: gli stimolanti Klopp e Tuchel, gli autarchici Giampaolo e Di Francesco, le suggestioni Zizou, Didì e Carrera. Finché il 15 giugno, in un pomeriggio abbacinante di sole Beppe Marotta annuncia: “L’allenatore della Juventus per la stagione 2017-2018 è….”

 

Educazione Spallettiana

 

“…Luciano Spalletti, per il quale la società ha versato un indennizzo di 2 milioni di euro per liberarlo dalla società AS Roma”. Mai la Juve aveva investito per liberare un allenatore dal club di appartenenza, un coup de théâtre assolutamente inatteso visto il fresco rinnovo con la Roma del tecnico di Certaldo fino al 2020, con un ovvio obiettivo: il consolidamento nell’élite europea. Tentato invano l’assalto a Nainggolan, poi passato al Real Madrid, il primo colpo della Juve spallettiana è Casemiro, arrivato a Torino per 43 milioni di euro, seguito dalla cessione di Sturaro e Lemina e di Marko Pjaca, portato a sorpresa a Londra da Allegri. Spalletti e Marotta (mai un allenatore aveva avuto così tanto potere nelle scelte di mercato) investono il resto del ricavato nel riscatto di Benatia e nel ’96 Gabriel Boschilia del Monaco, subito indicato come “il nuovo Gerson” dai (tanti) critici del nuovo corso. Sfruttata l’opzione Berardi, l’esterno viene girato alla Roma in cambio di Skorupski, contattato da Spalletti mesi prima con la promessa di farne “il portiere titolare di una big“.

Il cambio di filosofia è repentino: Spalletti impone da subito il 3-4-2-1 visto a Roma, ma in chiave marcatamente più offensiva, con la ricerca del gioco come massima espressione della superiorità tecnica della squadra. I mugugni dei senatori (su tutti Khedira e Chiellini), riportati dagli insider, vengono soffocati dalle conferenze del mister che predica “il risultato come conseguenza del predominio tecnico e territoriale“. Sin dal primo giorno appare chiara la volontà del tecnico di azzerare le gerarchie precedenti, nel tentativo di smuovere un gruppo dall’anima divisa a metà: da una parte chi è consapevole di aver ormai raggiunto lo Zenith con la maglia bianconera, dall’altra giovani e giocatori non ancora realizzati con la voglia di spaccare il mondo. Prima del vittorioso esordio in Supercoppa, Bonucci dirà di lui: “Non ho mai lavorato con un tecnico, anzi con una persona, come Luciano: ci ha chiesto la più totale e cieca fiducia nei suoi dettami, è paterno ma maniacale con Mandragora così come con Buffon, ci ha scolpito in testa i suoi obiettivi che sono diventati i nostri“.

La prima Juve di Spalletti si schiera con Buffon tra i pali, Rugani, Bonucci e Benatia in difesa, Cuadrado e Sandro sulle fasce, Marchisio e Casemiro al centro e Dybala e Pjanic a supporto di Higuain, con Mandzukic pronto in caso di passaggio al 3-4-1-2. La soluzione col doppio pivot, vista come troppo offensiva, diventa in realtà l’arma tattica preferita da Spalletti a gara in corso, con Mario prolungamento in campo del tecnico che ben presto fa suo il motto “safety first” a dispetto dello schieramento spregiudicato. Chiuso il girone d’andata al primo posto in campionato e nel girone di Champions, la sosta invernale porta con sé l’infortunio di Buffon e la frattura tra Spalletti e Marchisio, finito più volte in panchina in favore della rivelazione Mandragora. Il numero 8, peraltro palesemente in calo, attacca il tecnico di Certaldo che in conferenza arriverà a citare Educazione Siberiana, affermando che “La fame viene e scompare, ma la dignità, una volta persa, non torna mai più“.

In inverno la Juve richiama Spinazzola, prestato alla Lazio, e acquista Danilo Pereira dal Porto, con Lichtsteiner che raggiunge Giovinco a Toronto. Il portoghese sembra spingere Marchisio verso la clamorosa cessione, ma Claudio stronca sul nascere i rumours definendosi, freddamente “A disposizione del mister, nel quale nutro una profonda fiducia“. Le ottime prestazioni di Skorupski spingono Spalletti a confermare il polacco anche al rientro di Buffon, col capitano bianconero che si accoda placidamente (e inaspettatamente) alle dichiarazioni di Marchisio. In Champions la Juve supera Lipsia e Manchester City (protagonista Skorupski ai rigori) e in semifinale pesca il Bayern Monaco; Spalletti, per necessità (Mandragora ai box, Danilo ineleggibile in CL) ma non solo, scende a più miti consigli con Khedira, Chiellini e soprattutto Marchisio, cospargendosi il capo di cenere affermando che “Alla Juventus vincere è l’unica cosa che conta, ma nel farlo ho trascurato lo stile del club, solo gli stupidi non cambiano idea“.

Con Marchisio in campo dal 1′ e Skorupski ancora in porta, la Juve impatta per 0-0 all’Allianz e al ritorno si porta avanti per 1-0 a 10′ dalla fine grazie a un eurogol del subentrato Boschilia. Il vantaggio regge fino ai minuti di recupero, quando un tiro-cross di Di Maria coglie impreparato Skorupski e sancisce l’eliminazione dei bianconeri. E’ la goccia: lo Scudetto arriva comunque, ma la spaccatura ormai insanabile tra giovani (dalla parte del tecnico) e senatori lascia presagire un’imponente rivoluzione estiva.