Ho esultato felice. Non mi capita così di frequente, di esaltarmi così per una normale partita di campionato, dopo tanti scudetti di fila e contro una squadra di livello decisamente inferiore alla nostra. Ma stavolta sì, ho esultato davvero, perché la Juve, partita male, in un periodo complicato, meritava di vincere. Si è trovata a giocare in 10 per quasi 70 minuti di partita, proprio quando aveva il match in mano. E’ stata ripresa a inizio del secondo tempo. Mancava praticamente un tempo, in cui teoricamente c’erano le premesse anche per una sconfitta, in quanto l’Udinese sembrava riemersa alla grande, solo pochi giorni prima avevamo speso molto per rimontare una partita fondamentale di Champions e il periodo, in generale, è quello che è, visto che si prende gol sempre alla prima occasione e non tutto gira per il verso giusto (con troppe disattenzioni difensive).
E così ho esultato rabbioso al 3-2, al 4-2 e proseguito con lo stesso entusiasmo al 5-2 che ha chiuso tutto e perfino al 6-2. Perché era importante e soprattutto era giusto così. Perché Rugani ha reagito alla grande, Khedira ha risposto a chi lo vedeva già in declino, Higuain è stato magnifico in tutto, coprendo, attaccando, impostando e suggerendo fino all’ultimo minuto.
Ultimo, ma non meno importante, ho esultato alla grande perché abbiamo vissuto una di quelle giornate, l’ennesima, utile a distruggere una serie di patetici luoghi comuni di cui è infestato il dibattito calcistico dalle nostre parti.
O dall’Udinese che si scansa, un demenziale must degli ultimi anni tirato fuori persino da Cordoba, scatenato in settimana con una comica fake news sulla tribuna dei friulani il 5 maggio 2002 (quando mica l’ha buttato via lui contro una squadra in vacanza, eh, ma va, il problema era che Ventura avesse escluso dalla contesa Andrea Sottil, Siyabonga Nomvethe e Carlos Pavon), ma in generale sponsorizzato da tanti cervelli in giro per social e (ahinoi, talvolta) redazioni: accennando brevemente che l’ultima vittoria a Torino, prima della Lazio 2017, l’aveva ottenuta proprio l’Udinese 2015 e che perfino pochi mesi fa la squadra di Del Neri ci aveva bloccato in Friuli, per il resto basti vedere l’impegno dei nostri avversari nella partita di ieri, con una valanga di ammoniti, interventi molto duri e un clima tesissimo per tutta la gara, fino alla rete del 5-2 che ha chiuso i giochi. Ci mancava solo che entrassero pure Sottil, Nomvethe e Pavon, per renderci la vita ancora più impossibile.
Ci sarebbe anche la Juve “stranamente unica a parlare di Var,” perché sarebbe funzionale a una certa tesi, mentre ogni settimana, anche se i media non se ne accorgono, c’è sempre qualche allenatore ben più rabbioso rispetto alle dichiarazioni di Buffon e Allegri, peraltro riferite in generale al concreto utilizzo del mezzo piuttosto che alla lamentela per qualche errore subìto: stavolta è toccato a Montella, stufo del Var perché “è più tv che campo”, dopo l’inevitabile rosso per una gomitata in faccia di un Bonucci sempre più decisivo.
Ma non basta, perché il caso Mandzukic, che passa da un rigore del possibile 3-1 a un’inspiegabile ammonizione che porta a un altro giallo, che vale il rosso, cioè dal possibile 3-1 passiamo a una partita da giocare in dieci per settanta minuti, ci riporta al luogo comune dei luoghi comuni, quello su cui si regge l’Italia, altro che barzellette sui Carabinieri o sui politici: la Juve ruba, non viene mai danneggiata. E’ parte del costume popolare del Paese, cui serve trovare un colpevole per le proprie amarezze, un alibi per le proprie delusioni, che, mi raccomando, non dipendono mai da qualche nostro errore, ma sempre da un Nomvethe lasciato in tribuna.
“Lo credo che non vi lamentate, a voi non succede mai”, è leit motiv che mi sono sentito ripetere sin da ragazzino, e poco male se di errori contro la Juve ne ho visti a bizzeffe – pure in finali di Champions- e se siamo la squadra cui, nonostante i continui trionfi, sono stati fischiati meno calci di rigore rispetto a tutte le grandi del campionato, calcolando gli ultimi 10 o gli ultimi 20 anni, scegliete voi. Non importa, “a voi non succede mai”, “rigore per la Juve”, ah ah ah.
E tu devi sorridere, altrimenti sei rancoroso, non stai al gioco. Mi è capitato in qualche programma televisivo sulla Rai, in cui si ride parecchio: battuta sulla Juve che ruba dai tempi di Turone, controbattuta, uguale, terza battuta a supporto, alla quinta tocca a me, che tento di dire che dopo 35 anni neanche si è capito se fosse fuorigioco e ancora ne parliamo, ma niente da fare: Zampini, stai al gioco, fatti una risata, eh su.
Ok, vero, rubiamo sempre, eheheh, avrei dovuto dire per stare al gioco.
Che poi è quello che in un certo senso ha dovuto fare il buon Civati, ospite in questi giorni di Zoro, in un siparietto simpatico su un vecchio tweet del politico – juventino – relativo a un rigore regalato dieci anni fa a Del Piero, all’esito del quale Pippo deve spiegarsi in un tweet: “sono juventino, però onesto”. E’ una battuta, ovviamente, ripetiamolo per qualche esaltato che poi la prende troppo sul serio, ma è l’unico modo per stare al gioco: devi dare per scontato che la Juve rubi, sennò non sei simpatico, neanche troppo onesto e magari ti dicono pure “Civati fatti una risata”. Meglio un tweet autoironico, niente da dire.
E così, in un periodo già difficile, rimaniamo in 10, dal probabile 3-1 rischiamo di buttare via una partita quasi vinta.
Che si fa, adesso? Protestiamo come matti su ogni intervento, sperando di condizionare l’arbitro? Facciamo scatenare ed entrare in campo pure la panchina, tanto l’alibi è già pronto e così possiamo parlarne pure tra 20 anni? Controlliamo se le rivali dei nostri competitor per lo scudetto hanno lasciato in tribuna qualche Nomvethe, dando la colpa a loro?
La Juve sceglie una reazione originale: non si perde d’animo, neanche dopo avere preso il gol del 2-2 che potrebbe confermare il periodo negativo, fa il terzo gol, il quarto, il quinto e il sesto. In dieci, vince 6-2. Subita l’ingiustizia, tutti corrono tre volte di più, perché a calcio non vince chi ha più alibi, ma chi ha più voglia.
E noi, pure non essendo simpatici e onesti come gli altri, di voglia ne abbiamo spesso più di loro.
Il Maestro Massimo Zampini.
La giusta reazione e gli errori dell’AIA
di Davide Terruzzi
Come reagire ai torti arbitrali? Sentendosi vittima di complotti, perdere lucidità o reagire rimboccandosi le maniche? E perché l’AIA non ammette certi errori?
Non sono solito parlare d’arbitri. Chi ascolta con frequenza il nostro podcast, si sarà accorto della mia voluta assenza nelle frazioni di puntata in cui s’affronta l’argomento. Non perché sia snob, ma per un motivo molto semplice: sono sempre più convinto che una squadra debba pensare unicamente a quello che dipende da lei, consapevole che gli errori arbitrali, e del VAR, fanno parte del gioco. Non vivo nemmeno in un altro pianeta, conosco le statistiche, le difficoltà di fischiare a favore della Juventus, i titoloni dei giornali, le interpellanze parlamentari (loooooooool), le polemiche sui social, ma, essendo abituato a vedere delle autentiche porcate ogni domenica sui miei campi, ho imparato a ridurre l’arbitro a un fattore da non considerare.
Anche in una partita come quella con l’Udinese, dove Doveri e il VAR Massa sono stati protagonisti di sbagli colossali. Perché il rischio è la sindrome del vinciamo “contro tutto e tutti”, del “Var lo usano contro di noi” che non deve serpeggiare dentro lo spogliatoio della Juventus; le reazioni dei giocatori bianconeri a torti, reali o presunti non fa differenza, non è sempre stata esemplare, la maggior parte di pancia, fortemente emotiva, perdendo la lucidità necessaria per affrontare le partite. Shit happens. Se non dipende da te, passa oltre.
A Milano, l’anno scorso, venne ingiustamente annullato un gol a Pjanić, e la Juventus perse il controllo della partita; a Bergamo, qualche settimana fa, dopo la decisione del VAR d’annullare giustamente il gol a Mandžukić, la squadra s’innervosì e giocò peggio (poi pareggiò anche per suoi errori). A Udine, un giocatore esperto, navigato, come il croato, ha sbagliato e s’è fatto espellere: chiaro, passare da un rigore e da una Udinese in 10, vedersi non concedere nulla, essere provocato da un avversario, non è propriamente il massimo, ma la differenza tra la mia possibile reazione e quella di un giocatore è quella che deve esistere tra un amatore e un professionista.
Nonostante gli errori arbitrali, si è però vinto, perché la Juventus ha avuto la reazione giusta: ha sofferto, s’è salvata prima grazie a Buffon, è stata raggiunta sul 2-2, ha poi dominato vincendo 2-6. In 10. Ed è l’unico modo, giusto, legittimo, per reagire ai torti: restare lucidi, rimanere dentro le partite, rimboccarsi le maniche. Questo è quello che deve fare una grande squadra, senza sentirsi vittima di complotti, di trame oscure, lasciando la sindrome “contro tutto e tutti”. La Juventus ha tutte le qualità per pensare e migliorare sé stessa, lavorando per risolvere quei problemini che dipendono unicamente da lei. Comprendo che è molto più difficile accettare il mancato uso del replay per cambiare le decisioni arbitrali e le legittime domande sull’utilizzo del VAR in occasione dei rigori non concessi a Higuain, a Bergamo, e Mandžukić a Udine, ma restano episodi che non dipendono dalla squadra e non devono modificare l’atteggiamento mentale.
Questo non significa minimizzare gli errori arbitrali, che fanno sempre parte del gioco, ma nemmeno raccontarci un mondo perfetto. Il Var è di grande aiuto, uno strumento eccezionale per le decisioni oggettive, ma la decisione finale è sempre di un uomo; anzi di due uomini, con una discrezionalità che è raddoppiata. Si vedono gol in fuorigioco millimetrico annullati e altri convalidati, contatti veniali sanzionati con un rigore, falli netti che non vengono rivisti; è un esperimento, ci vuole tempo, ma è innegabile che tutto, come è normale che sia, non stia funzionando e un po’ di confusione ci sia, ma tutto nasce da questa doppia discrezionalità. Fare finta che tutto vada benissimo, come pubblicamente fa il mondo arbitrale e molti commentatori, non aiuta a perfezionare uno strumento che può davvero essere d’aiuto, ma che rischia di diventare una scusa usata dagli arbitri per non prendere decisioni non comode.