Pensavamo fosse già tutto finitola settimana scorsa, ed invece no, le parole del presidente Andrea Agnelli hanno evidentemente punto nell’orgoglio la redazione di Report, “costringendo” gli amici della redazione della trasmissione targata mamma Rai a concentrarsi ancora sulla Juventus, sull’operato della società bianconera, di D’Angelo e di riflesso dello stesso Agnelli: non più inchiesta sulla morte poco chiara dell’ultrà Bucci, non più una lotta al “sistema calcio“, come invece ci avevano detto e fatto chiaramente intendere nelle scorse lunghe settimane.
“Nuove testimonianze, intercettazioni e documenti sul caso Juventus. Dalle intercettazioni emerge che fu proprio il responsabile della sicurezza della Juventus Alessandro D’Angelo insieme a Raffaello Bucci – all’epoca un semplice ultrà – a trattare e a fare entrare gli striscioni sulla tragedia di Superga”: così su Twitter avevano preannunciato il servizio di stasera, preannunciando un’intervista esclusiva a Gabriella Bernardis, ex compagna di Bucci, che avrebbe svelato importanti novità sul caso. L’abbiamo vista tutti la puntata di stasera: cos’è successo analizziamolo brevemente, sperando sia davvero la fine di questo teatrino dell’assurdo.
Parte Ranucci: “Stasera difendiamo e tuteliamo i nostri interessi, che poi sono quelli del pubblico che paga il canone”. Deciso, chiaro, netto. Ci si aspetta la fine del mondo. E invece…
Due le carte stasera messe sul tavolo da gioco da Report: da un lato un paio di intercettazioni ulteriori fra D’Angelo, Dominello e Bucci, dall’altro la già citata intervista alla compagna dello stesso Bucci. Andiamo per ordine partendo dalle intercettazioni.
Chi vuole fare polemica fa voli pindarici e ricostruzioni illogiche, chi vuole ascoltare ed analizzare tutto per intero non può non capire l’argomento di questi dialoghi: non è degli striscioni su Superga che si parla (anzi, più volte si precisa che non è su quelli che la Juve rischierebbe una grossa multa, fra l’altro mai arrivata), al limite è abbastanza chiaro che l’argomento della discussione siano petardi e fumogeni. Non che sia materiale di poco conto, ma chiamare le cose col proprio nome sarebbe cosa buona e giusta, anche a costo di fare un passo indietro con buona pace di uno scoop che scoop non è. Non può essere il sarcasmo a farla da padrone nel giornalismo d’inchiesta, non sono i sorrisini e le mezze frasi a fare chiarezza. A meno che non si voglia fare provocazione gratuita, a meno che non si voglia stimolare l’attenzione social, e dunque il pubblico, e dunque coloro che si esaltano e sbraitano già protestando per un rigore netto a favore della Juve, figuriamoci per scenari del genere che poi però non stanno né il cielo, né in terra.
Passiamo al racconto de relato della Bernardis. Una signora che non sa neanche cosa sia stata la strage di Superga, sennò appunto non la chiamerebbe “del Superga”! Un colpo di teatro, ennesima scena da Hollywood, come dal primo istante. Una credibilità che lascia il tempo che trova, o meglio, che lascerebbe il tempo che avrebbe meritato se non ci fosse quel contesto di cui prima: provocazione gratuita, stimolazione social. Stop. Null’altro. Cala il sipario. Occasione persa per indagare sul vero tema, sui rapporti con la polizia, la DIGOS, la questura, i ricatti ai club. Si può davvero chiudere qui e pensare adesso alle cose davvero serie? Se non fosse possibile, no problem: ci si tura il naso, e si continuano a battere le dita sulla tastiera per questo confronto che 12 anni fa non sarebbe stato possibile avere, ma che oggi non ci troverà mai disposti a fare un passo indietro.
Fabio Giambò.
Report, un’occasione mancata: la Juve lasciata sola, come Bucci
“Solo la Juve“. E’ quanto molti hanno scritto sull’inchiesta di Report, sottolineando come l’indagine puntasse solo sulla Juventus. Se dieci club fanno una cosa sbagliata, la colpa del singolo non diminuisce, però “solo la Juve” viene da dirlo soprattutto per come è condotta l’inchiesta: tesa a dimostrare un teorema, ovvero che la Juventus sia “sporca”.
I protagonisti di questa vicenda sono diversi: la Juve, lo Stato, e soprattutto, giornalisti, ultrà e mafiosi.
GIORNALISTI
Tutto è stato costruito per montare un caso mediatico. Dalle pubblicità allusive alle comparsate nelle radio “militanti” (di tifo) in cui si preannunciavano scandali e rivelazioni clamorose.
Le rivelazioni sono smontabili attraverso un semplice lavoro giornalistico. Alcune intercettazioni vengono modificate al momento della lettura: ad es. “arrivo ora dalla Germania, ero lì con Dino; guarda che Dino non c’entra niente“, diventa “Vengo dalla Germania, ero con Dino, ti manda a dire che lui, con la morte di Raffaello non c’entra nulla“. Quel “ti manda a dire” non è nelle trascrizioni e trasforma un amico che va ad un funerale ad una sorta di “picciotto” che porta messaggi mafiosi.
Sono abituato a mafiosi che rivendicano le “punizioni” o che stanno in silenzio. Non a (presunti) picciotti che vanno a discolparsi e a piangere le vittime ai funerali. Ma posso sbagliare, semplicemente non voglio che l’analisi dei fatti sia influenzata da giudizi personali, basati su informazioni di seconda mano.
Altre intercettazioni rilevanti passano in secondo piano: nel primo servizio di Report, D’Angelo dice chiaramente “Superga no, ti prego“, ieri viene presentata una seconda intercettazione in cui dice “L’importante è che non ci sia Superga”, dopo che nella testa di tutti (con la complicità di tanti giornalisti) è passato il concetto che la Juve sapesse di quegli striscioni.
Due frasi inequivocabili che vengono aggirate rispetto all’idea che si vuole far passare: si intervista (di nuovo) la ex compagna di Bucci, che sostiene che l’ex compagno le avrebbe confidato che D’Angelo aiutava regolarmente a fare entrare quel tipo di striscioni (ma allo Stadium raramente viene esposto qualcosa di sconveniente e in quell’occasione ci fu una condanna precisa sugli striscioni canaglia).
L’intercettazione in cui Agnelli dice a D’Angelo “ti hanno beccato” non fa alcun riferimento a Superga e in quanto “beccato” dalle telecamere, è soggetto a provvedimento disciplinare. Se è vero che in alcuni casi si chiude un occhio fuori dallo stadio (vedi bancarella Drughi) o sugli spalti (vedi alcuni striscioni), questo non implica una relazione certa o provata dei dipendenti Juve nella vicenda.
Nessuno si è chiesto quanti e quali striscioni sono stati esposti quel giorno: se ne sono scelti due, i peggiori, e sono subito stati associati.
D’Angelo chiama i tifosi del Torino “bovini“, lo fa in un telefonata personale con tono scherzo. Eppure viene messo nel servizio per dare “forza” a una tesi.
La società DEVE apparire come colpevole, perché il giornalista ci ha messo la faccia, nelle interviste, nella pubblicità, ed è incazzato con chi attacca il suo lavoro. Ma se un giornalista ci mette la faccia, non deve appunto guardare in faccia nessuno, non prestarsi a confezionare un’inchiesta piena di buchi, anomalie, forzature.
GLI ULTRAS
Il focus non va su tutti gli utlrà, ma solo su quelli che Report indica come pericolosi criminali. Questi però per Report diventano testimoni attendibili, unici ascoltati, in un’inchiesta che al centro ha proprio il ricatto di queste stesse persone nei confronti della società, ammesso candidamente dagli intervistati.
Un ultrà dichiara che se la Juve non gli fa avere i biglietti, le provocherà una multa con cori e bombe carta (sfruttando la responsabilità oggettiva). E’ l’ammissione di un ricatto che sfrutta le regole della giustizia sportiva, il danno di immagine e le multe che colpiscono i club ricattati e non i ricattatori. Ma questo non interessa a Report, non se ne parla.
Così come non si parla delle minacce gravi di questi ultrà nei confronti di D’Angelo, Merulla e Pairetto per aver collaborato con gli inquirenti. Persino nei confronti di Agnelli.
Si parla di soldi, tanti soldi, con gente che si è costruita la casa, si è sistemata… e a un certo punto la ex-di Bucci parla di denaro (marmellata e vasetto) che il fratello di Bucci deve far sparire. Ecco, se l’inchiesta mirava a stabilire cos’è successo a Bucci, a cui la Juve aveva dato un lavoro, che collaborava con la DIGOS e che, a un certo punto, ha fatto sparire soldi del bagarinaggio (secondo dichiarazioni della ex), i soldi erano la prima cosa che un “investigatore” avrebbe dovuto cercare, la prima domanda da porre a chi (la ex-compagna) vuole la verità sulla vicenda, per sgomberare dubbi e insinuazioni.
Di questo non si parla. Si dice che Bucci è morto, ci sono delle zone d’ombra, poi si sparla di Juve e ‘ndrangheta, legame che le sentenze hanno dimostrato infondato, con i media che hanno portato avanti il teorema solo su imbeccate di personaggi legati tra di loro da rapporti di sangue e business.
La morte di Bucci viene usata per indirizzare il pensiero dello spettatore creando un “anchoring bias“, un presupposto che influenzerà tutta l’analisi dei fatti (le persone si ancorano alla prima impressione se messe di fronte a un processo di valutazione).
I MAFIOSI
La mafia è una cosa seria. La legge non consente a un esercizio pubblico di negare un servizio a un “presunto” mafioso. Non importa se gira in Jaguar senza un lavoro: in assenza di condanna, non posso discriminarlo. La curva Juve è finita in mano ad affiliati alla ‘ndrangheta, perché il business del bagarinaggio è molto remunerativo e dove c’è una guerra di potere, i “cattivi” hanno la meglio.
A quel punto, con la collaborazione di testimoni, infiltrati e pentiti, lo Stato è intervenuto, non sul bagarinaggio, perché non è reato penale, ma sui proventi guadagnati, utilizzati per attività criminali. Quando lo Stato è intervenuto, Juventus ha collaborato, al punto che sono arrivate le minacce da parte degli incriminati (basta vedere gli striscioni contro la società di quel periodo). la società).
Bucci non era un mafioso. Scrivetelo e studiatelo a memoria. Ha collaborato con gli inquirenti per anni. Ha fatto soldi rivendendo i biglietti. Malcostume che di certo non implica una associazione mafiosa.
La Juve ha commesso la violazione di aver venduto (non regalato) più di 4 biglietti a persona. Questo può aver favorito il bagarinaggio che non è un reato penale. Juve e Bucci hanno collaborato con la giustizia. Qualunque cosa potesse dire Bucci agli inquirenti, era in concerto con la società che ha collaborato. Le lacrime di D’Angelo al telefono, per la morte di Bucci, sono inequivocabili.
Chi ha minacciato Bucci, chi aveva interesse a farlo, a picchiarlo, a terrorizzarlo? Report ovviamente non ne parla ma compie una sciagurata operazione allusiva nei confronti della Juventus: gli sfoghi disperati al telefono vengono estrapolati e distorti, Marotta viene inseguito con microfoni e telecamere mentre entra di corsa in Lega. Questo diventa: “La Juve non parla“. Messaggio lanciato nei giorni dell’addio tra Juve e Marotta, quando tutto ciò che emerge dagli atti è che ha regalato 5 biglietti a Fabio Germani. E qui torniamo all’anchoring bias.
Nel servizio “Marotta regala i biglietti a Dominello” (ma la chat mostra messaggi tra Marotta e Germani, personaggio conosciuto dalla società dal 2006, in quanto portavoce degli ultras). Germani finirà in prigione per i rapporti con Dominello, non con la Juventus. Chiedere omaggi è pratica diffusa tra tifosi “vip” ed è pacifico che i club abbiano a disposizione tagliandi personali. Nulla di illegale in questo.
Dov’è il senso di quella “caccia a Marotta“? Il senso di utilizzare quella chat? Cosa poteva sapere Marotta di Bucci? Marotta dà dei biglietti a Germani, offre disponibilità per un provino (non si sa se svolto o no, e di sicuro il bimbo figlio di quello che si rivelerà essere un altro “bravo ragazzo” non viene tesserato). Germani è incensurato all’epoca (come Dominello).
Ecco creato l’anchoring bias (un pregiudizio a cui ci si ancora) è la clustering illusion, l’illusione di uno schema ben definito, in questo caso di connivenza ad un sistema malavitoso.
LO STATO
Anche se non era lo scopo di Report, l’inchiesta dimostra come manchi una legge contro il bagarinaggio e come la responsabilità oggettiva aiuti a ricattare i club. Chi è in galera può utilizzare la macchina del fango, approfittando di un lavoro giornalistico mal fatto e fazioso.
Quando lo Stato interviene, la Juve collabora, e magari con un intervento anticipato ed il DASPO preventivo a certi personaggi avremmo avuto tanto dolore in meno.
Eppure, dopo la sbandierata inchiesta della Commissione Antimafia, sono state attuate contromisure per arginare il fenomeno? Il governo ha proposto una legge contro il bagarinaggio? Ha trasferito dirigenti di Polizia che (eventualmente) avevano sbagliato? La Giustizia Sportiva ha messo in discussione la responsabilità oggettiva per liberare le società dai ricatti dei delinquenti? NULLA!
Al contrario, qualche “manina” nella giustizia ordinaria e sportiva ha fornito materiale e documenti, riservati, per confezionare un servizio in cui si accosta, in modo faziosa, la Juventus alla ‘Ndrangheta, nonostante sia giustizia sportiva che ordinaria abbiano scagionato la società da queste accuse.
Si sono attivate le solite banali tecniche di comunicazione volte a creare un “sentimento” che ha influenzato lo spettatore, senza attenersi ad una descrizione rigorosa dei fatti.
“Solo la Juve“: così che ho iniziato il pezzo. Il calcio tra scommesse, bagarinaggio e riciclaggio ha davvero tanto da farsi curare. Cosa fanno lo Stato, la FIGC per curarlo? NULLA.
Dopo il servizio di Report, le uniche cose chiare sono quelle non dette: la Juve era sola, e solo è stato lasciato anche Bucci.
Di Graziano Carugo Campi (giornalista e produttore video)