La Juve ha anticorpi più forti di altri. E’ un contesto che riguarda molte altre squadre: c’è un dossier di 100 pagine della Commissione Parlamentare Antimafia dal quale emerge che il calcio è infiltrato dalla malavita attraverso il rapporto con gli ultras”: sono questi i titoli di coda del servizio appena andato in onda su Report, lo strumento giornalistico che nelle speranze di qualcuno avrebbe dovuto far partire la Calciopoli 2.0 e che invece ha finito per concludersi con una specie di avvertimento verso il resto del mondo del calcio. Non si può, però, dimenticare tutto il tragitto prima del traguardo.
Accostamenti a Ronaldo, parallelismi ambigui e collegamenti forzati con Luciano Moggi e le sue disavventure con la giustizia, un cocktail fra situazioni note ed altre meno, quest’ultime evidentemente molto lontane dalla Juventus: tutto fa brodo, tutto crea attesa, cresce l’enfasi, poi la montagna finisce per partorire il topolino, appunto. Anche perché della chiusura vi abbiamo detto, ma l’apertura era stata d’altro tenore: “Parleremo della Juve e i rapporti con la Ndrangheta”, dicevano.
Due i filoni seguiti nel servizio: da un lato gli aspetti legati al bagarinaggio e i fatti annessi ad Alto Piemonte (che abbiamo avuto più volte modo di raccontarvi, comprese le frecciate – non approfondite e ricostruite superficialmente – sul discorso degli striscioni su Superga dalle quali non è il vertice bianconero a venirne fuori male eventualmente: al di là delle ricostruzioni non fondate al 100% sulla cronologia raccontata, è stata per lo meno due volte sottolineata l’estraneità di Andrea Agnelli), dall’altro l’inquietante contesto della morte di Bucci. Inquietante per gli aspetti presentati, al di là del racconto romanzato sui primi rilievi sul luogo del suicidio: il silenzio dei server sulla scheda intercettata a ridosso dell’evento, i contatti con schede attribuite alla presidenza del Consiglio dei Ministri, Servizi Segreti e Digos, le ricevute di giocate vincenti al Lotto o biglietti sempre vincenti di Gratta & Vinci. Da qui sarebbe interessante partire per capire quale scenario ci sta dietro, l’impressione è che appunto si sia voluto accendere un faro utilizzando la Juventus come ariete di un portone chiuso con cemento armato. In tal senso obiettivo raggiunto. Un faro che si è spento lì, perché non può mai bastare l’allert etico senza approfondire: la Juve ha gli anticorpi, ma il resto del calcio italiano? Perché poi, concluso il filone Bucci, si è tornato a parlare di bagarinaggio.
Quel primo filone costituito da qualche mezza frasetta qua e là, uno scenario particolare già giudicato anche dalla Giustizia Sportiva, una spettacolarizzazione di intercettazioni tagliate e cucite ad arte per creare lo show. E un passaggio della sentenza d’Appello, giustizia ordinaria, lasciato passare come fosse superfluo: la Juve come società concedeva biglietti agli ultras, senza essere a conoscenza della caratura criminale degli stessi, perché sotto scacco in termini di ordine pubblico dentro e fuori dallo stadio. Con buona pace delle battutine di Di Lello, ex presidente della Commissione Parlamentare che in queste pagine abbiamo già avuto modo di trattare in passato. Con buona pace di quella pietra lanciata lì nello stagno del mal pensiero quando si fa riferimento a biglietti dell’Allianz Stadium venduti a prezzo maggiorato ancora oggi fuori dai cancelli della casa della Juventus: non si mette in dubbio che sia così (forse…), ma la natura di ciò?
Ripartiamo da lì, tutti insieme se è vero che si ha a cuore il problema in quanto tale, se tutto quanto visto e sentito negli ultimi mesi non è stato un tentato omicidio mediatico abortito col passare del tempo. O si vuol far credere che i biglietti del Meazza per Milan-Juve, I anello blu, in listino a 115 euro, sono acquistabili su siti di bagarinaggio online a 200 euro perché c’è Agnelli che incarica D’Angelo, che sfrutta la criminalità organizzata per far sì che poi la Vecchia Signora possa permettersi CR7? Suvvia, potete fare di meglio…
Fabio Giambò.
Il servizio completo.
E’ come la maledizione di chi finisce nelle barzellette
Bisognerebbe avere la forza di cacciare tanta gente dagli stadi di calcio. Bisognerebbe avere l’accordo della politica e della polizia, del mondo che accende la televisione e di quelli che dopo un po’, ogni tanto, leggono un giornale. La trasmissione Report fa il riassunto delle puntate precedenti, vissute dalla Juventus, e racconta l’inchiesta ‘Alto Piemonte’ della Procura di Torino e della Direzione distrettuale antimafia che ha portato, tra l’altro, alla squalifica del presidente Andrea Agnelli. Ma è una cronaca vecchia, in molta parte conosciuta dagli amanti della Vecchia Signora ma anche, c’è da scommettere, dai suoi detrattori. La sensazione che resta dopo la visione del programma di Raitre è che nel catino inaugurato nel 2011 ci siano finite tante persone che forse non se lo meritano. A cominciare da quei rappresentanti del tifo organizzato tirati per i capelli dentro il processo. E’ in mezzo a questi dati di fatto che bisogna pesare certe scelte terribili, come quella di togliersi la vita. E’ stato una sorta di spot di lancio del programma ed è uno dei temi centrali della ricostruzione offerta. Mettiamola giù facile: un soggetto, ad un passo dall’indagine che gli potrebbe incasinare la vita, decide di farla finita. E’ successo in passato e succederà ancora. Purtroppo. Perché ognuno reagisce a suo modo quando deve scalare una montagna con i lupi che lo inseguono. Può cercare un rifugio, armarsi di qualcosa o usare tutta la forza possibile per salvarsi. La disperazione di chi si confronta con questo muro di dolore va compresa da tutti. Specie da chi prova ad amare lo sport.
La Juventus non è un argomento facile, ammettiamolo. In Italia ormai gli over 60 superano gli under 30, ed una squadra che sin dalla sua denominazione inneggia alla gioventù non può che essere un problema, un guaio interpretativo come dicono i sociologi. Il sistema criminale della ‘Ndrangheta è entrato dentro la squadra più titolata d’Italia? Ha deciso, chessò, acquisti e cessioni? Investimenti qualunque? No, è la risposta dalla giustizia, della magistratura, degli inquirenti. Ha mercanteggiato con i biglietti, fatto affari con qualche capo ultras e cercato di far fare un provino ad un ragazzo. Niente altro? Ha messo Andrea Agnelli all’angolo costringendolo a fare qualcosa? Giammai. Ha venduto sostanze ai giocatori? Nemmeno. E’ entrata dalla porta di servizio e maneggiato il possibile con la connivenza di chi senza lavoro e una fuoriserie in garage è comunque un punto di riferimento sugli spalti di uno stadio. Qualunque esso sia. Per questo, tante volte, si arriva a pensare che tanta gente andrebbe mandata via, messa all’indice e fatta accomodare all’uscita senza preoccuparsi troppo. Bisognerebbe fare come il presidente Claudio Lotito della Lazio ebbe la forza di denunciare anni fa, contrapponendosi addirittura ad un idolo della curva ed ex giocatore come Giorgio Chinaglia. Le indagini successive sugli impicci con la Camorra e il processo al gruppo degli Irriducibili hanno fatto il resto. Lotito ha vinto, insomma, e tutti gli altri hanno perso. Lui è diventato uno dei presidenti più longevi della storia biancoceleste e chi non è finito in qualche guaio ha dovuto chinar la testa. Lotito potrebbe insegnare qualcosa?
Forse andrebbe raccontata meglio questa cronaca molte volte sussurrata e che viene da squadre che non siano la Juventus. Forse. Ma è nella nostra anima di amanti vedere che altri vengono trattati meglio dai mezzi d’informazione. E’ la maledizione di chi finisce nelle barzellette appena dopo che nei libri di testo. E’ la realtà di 40mila persone poltroncine da riempire, di un entusiasmo da convogliare, di una tabella che si regge sui risultati nel rettangolo verde ma anche in quello che accade tutt’intorno. Lo ha spiegato Beppe Marotta quando è stato ascoltato dai magistrati e lo ha sottolineato chi è andato alla Commissione parlamentare presieduta da Rosy Bindi. In mezzo alla legge e alle regole, in mezzo alla prassi ed al sistema sicurezza delle città e delle questure che non riescono ad imporre alcunché, nemmeno nei piazzali appena fuori gli impianti sportivi dove si vendono sciarpe e magliette contraffatte in faccia a tutte le regole dei marchi. Ed è questa una protesta trasversale dei dirigenti, da Palermo a Torino, da Napoli a Milano. Ed allora per avere una risposta sul perché adesso interessa questa storia dei biglietti bianconeri bisogna forse tornare ad una sentenza penale che nei mesi scorsi, in appello, ha dato molte colpe dove pure in primo grado erano state registrate delle innocenze. Ma siccome non è sempre così semplice la storia e non c’è quasi mai un documento a spiegare, bensì un atteggiamento generale, un senso che viene da lontano, resta l’interrogativo su quale significato abbia tutto ciò. Ed allora, forse, bisogna tornare alla cronaca per comprendere.
Da Torino dicono che nei prossimi mesi dovrebbe risolversi il processo per omicidio colposo, lesioni aggravate colpose e disastro, per gli incidenti avvenuti in piazza San Carlo il 3 giugno 2017, quando di fronte al maxischermo con la finale di Champions League, Juventus-Real Madrid, scoppiò il panico. Ed in breve ci furono 1.500 feriti e una vittima, Erika Pioletti, deceduta in ospedale dodici giorni dopo i fatti. Tra gli accusati c’è anche la sindaca Chiara Appendino. Non si può escludere che la seconda puntata su una squadra di calcio che fa confusione possa ad avere oggetto proprio quella serata maledetta, quell’evento finito in una corsia d’ospedale. Per questo la raccomandazione che possiamo fare sin da adesso è solo quella di pulire gli spalti come si è fatto con il paesaggio a ridosso dell’Allianz Stadium, dove un intero pezzo di città dice grazie alla Juventus, che ha creduto nell’investimento quando altri avevano abbandonato lasciando tutto all’incuria ed alla periferia disperata. Il non aver sottolineato abbastanza quello sforzo titanico di bonifica bellissima, verde e sensazionale, urbanistica e vera, è il vero sbaglio di comunicazione compiuto dalla Juventus. Così come non l’aver rimarcato, sui giornali e non solo, da dove viene e cosa ha fatto la famiglia Agnelli per lo Stato, quello vero. Perché se certe cose non le dici vanno via come lacrime nella pioggia, si potrebbe dire. Allora penso al fondo messo a disposizione dall’Avvocato per pagare il riscatto di Aldo Moro. Penso a quel calendario dei carabinieri con l’indimenticabile Giovannino protagonista. Penso a quella macchina per Giovanni Falcone. Penso a quella fuoriserie Fiat che riuscì a sgominare una pericolosa banda di rapinatori romana e che fa mostra in un museo dimenticato. Penso…
Simone Navarra.