Sapessi com’è strano, tra juventini e interisti

L’abbiamo fatto. Che vi piaccia o meno, che la cosa sia vissuta come un errore o meno, ci siamo confrontati su alcuni dei tantissimi temi e nodi che rendono la partita di domani un crocevia di destini e di emozioni forti, giuste e sbagliatissime. L’abbiamo fatto perché la nostra idea di calcio è molto lontana dal conflitto e perché crediamo che il tifo debba restare tifo e che il gioco debba mantenere la sua bellezza e la sua integrità ma soprattutto l’abbiamo fatto perché su moltissimi argomenti non la pensiamo allo stesso modo ma siamo convinti che sia possibile affrontarli dialetticamente. Poi è chiaro che sulle nostre pagine proseguiremo con gli sfottò e con la giusta dose di banalità, ma questo tentativo volevamo farlo. Spiegarsi, ascoltarsi e poi magari restare fermi nelle proprie convinzioni. Ma solo poi. Per la prima volta Juventibus e Il Nero e l’Azzurro si trovano a chiacchierare di passato, presente e futuro di Juventus – Inter davanti a un caffè e questo è il risultato, sorprendente solo per chi vive di luoghi comuni.

Michele Dalai – Quando ci siamo conosciuti ho avuto un’impressione che poi si è consolidata nel tempo. Entrambi abbiamo una posizione netta e solida sui fatti di Calciopoli ed è quella che sappiamo argomentare pubblicamente, eppure quella posizione non ci ha mai impedito di condividere un’analisi un po’ più serena e completa di quel decennio, delle dinamiche che hanno portato a questa forma di incomunicabilità e di odio ormai non solo sportivo tra tifoserie. Posto che a 44 anni sono finalmente riuscito a trovare un equilibrio e a non delegare più al calcio la mia serenità, pensi che usciremo mai da questo delirio ideologico? Pensi che esista una via d’uscita ragionevole, quella a cui non sono arrivati dirigenti e proprietà ma paiono essere giunti da tempo i giocatori? Come si restaura una rivalità sportiva, abbandonando paroloni come odio e neologismi stupidi come rubentus, cartonati, prescritti etc?

Massimo Zampini – Anche perché ci siamo conosciuti al matrimonio di un caro amico, dopo qualche bicchiere, e lì è facile andare d’accordo (nonostante fosse il giorno di un Inter-Juve, fortunatamente finito 1-1). Scherzi a parte, dipende dal contesto: se si parla vis à vis, con una persona aperta e che non pensa di tifare per i buoni contro il male del Paese, si può discutere in maniera serena e divertita di tutto (con qualche eccezione sul tema dei temi, l’innominabile, relativamente al quale le visioni restano in gran parte inconciliabili): di quanto siano forti Icardi e Higuain, bravi Spalletti e Allegri, veloci Perisic e Douglas Costa. Se invece l’argomentazione deve limitarsi a un tweet inevitabilmente rivolto a persone che non ti conoscono o a una battuta al volo in televisione, la rivalità sportiva si restaura con maggior difficoltà. Poi, come sai, se parli con me, non esiste Rubentus e non esistono Cartonati, ma solo Juve e Inter. Che al momento sono terza (gli esacampioni) e prima (gli odierni imbattuti e imbattibili), anche se fai finta di non saperlo.

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MD – In effetti uno dei temi da sempre sottovalutati è quello dell’accerchiamento. Ci eravamo ripromessi di parlarne poco e invece ci viene facile, quindi un’altra cosa provo a chiedertela. Non pensi che questo modo di pensare la sport e la competizione (chi vince ruba, chi perde è un piangina), sia una schematizzazione che nessuno ha voluto smontare e che ci ha portati a questo disastro? Mi spiego: così difficile ammettere che alcune catene di errori arbitrali fossero sconvenienti, o meglio che sia sconveniente rivendicarle come utili strumenti (vincere è l’unica cosa che conta così come alcuni reiterati elogi del moggismo)? Io di mio son molto a mio agio nel dirti che la cultura dello sconfitto-complottista è uno dei mali peggiori e più incurabili di una branca molto attiva dell’interismo. Mi spiego meglio: se l’unica ossessione sono i furti della Juventus, purtroppo quegli stessi furti diventano una giustificazione universale per le nostre falle e gli errori.

MZ – Nessuno è felice quando riceve uno smaccato favore arbitrale, come chiunque si arrabbia quando ne riceve uno contro: sono assolutamente con te, dunque, quando dici che è sempre sconveniente se si verifica una catena di errori. La frase vincere è l’unica cosa che conta è troppo spesso strumentalmente male interpretata: mica significa che Boniperti avrebbe ucciso o corrotto pur di vincere, vuole semplicemente dire che l’unico obiettivo da avere in testa, nello sport professionistico, per una squadra di vertice, deve essere la vittoria. Non c’è spazio per alibi e distrazioni, scudetti del bel gioco e dei pali. Poi, se non ci si riesce, si applaude il rivale, come abbiamo fatto con Real e Barcellona che ci hanno meritatamente battuto in finale. Quanto agli arbitri, la mia esperienza di tifoso e appassionato di calcio mi ha insegnato che, anche sotto questo profilo, ci sono stagioni, momenti e periodi più o meno fortunati: voi ricordate il ’97-98 come simbolo delle ingiustizie (e non staremo qui a tornarci, per carità), io, per restare in Italia, ho in mente gli anni post 2006 come molto sfortunati, per quanto riguarda la Juve, dal punto di vista arbitrale. Eppure non ho mai pensato neanche per un secondo che non vincessimo per quello (anche quando siamo arrivati secondi o terzi): l’Inter era mille volte più forte e solida, quindi vinceva. A Roma, invece, tanti miei amici pensano che i motivi delle loro sconfitte contro di voi, soprattutto nel 2008 fossero altri, e in quel caso, in quegli anni, erano gli interisti a fare gli juventini, rispondendo che erano nettamente più forti dei rivali e non era certo un gol dubbio al Parma o al Catania a permettere loro di vincere. La mia visione del calcio è più vicina a questa, perché ho visto la Juve perdere malamente quando non era all’altezza, con Maifredi o Del Neri. L’ho vista venire sconfitta in volata da Lazio e Roma, quando era fortissima ma non aveva dimostrato la giusta fame nei momenti decisivi. L’ho vista vincere quando era più forte, anche di testa. Dell’Inter che vince la Champions non mi rimangono i rigori chiesti dal Chelsea, ma un fuoriclasse come Eto’o che fa il terzino, difende, riparte e segna pure. Quindi, per farla breve, certamente le catene di errori sono sconvenienti, mica si deve vincere a ogni costo, in qualunque modo. Il punto però è che allora quelle catene vanno considerate tutte, mentre io ho l’impressione che ci siano episodi ricordati da vent’anni pressoché quotidianamente e altri che invece spariscano nei giorni successivi alla partita. Sarà solo una sindrome da accerchiamento?

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MD – Vedi, il tema è che sono molto più d’accordo di quanto pensi e non faccio fatica a estendere il concetto. È un problema culturale. Quando nel 2008 abbiamo ricevuto quelli che Daniele De Rossi chiama gli aiutini, ho provato fastidio e imbarazzo allo stesso tempo e davvero non riesco ancora a capire se quell’Inter fosse oggettivamente più forte della Roma. Lo è diventata negli anni, soprattutto mentalmente, ma quell’anno poteva davvero succedere di tutto e sono sicuro che quegli episodi abbiano influito. Per questo a volte cado dalle nuvole quando sento parlare di quella stagione (97/98), come di una stagione senza ombre né errori. La Juventus di Zavarov perdeva perché oggettivamente mal costruita, come l’Inter di Hodgson e quella di Tardelli, vero dramma sportivo, farsa dolorosa. Ma quell’anno è come se si fosse voluto riaffermare un principio, seguendo un certo rigore moggiano, e cioè quello che si doveva vincere lo stesso, al di là di ogni criterio obiettivo. Poi attenzione, sono il meno complottista d’Italia e ho sempre scelto di aver fiducia nella classe arbitrale, proprio per questo rimango particolarmente scosso quando vedo alcune cose, a favore o contro. Io credo che al di là dei massimalismi e delle derive più malsane, quello che manca al calcio italiano sia un centro di potere autorevole e non solo autoritario, in grado di preservare il gioco al di là degli interessi di parte. Una Lega solida con un commissioner stimato ed equidistante che sappia proteggere le squadre anche dai loro stessi desideri più oscuri (e qui ti parlo di quanti scudetti mettere in bacheca, di quali ritirare, di come trovare punti d’incontro per proteggere il gioco). Perché, vecchio mio, l’impressione è che qui tra insulti, scemenze e rivendicazioni il gioco l’abbiamo quasi distrutto del tutto. Sembriamo giapponesi sull’atollo, incapaci di guardare oltre le macerie.

MZ – Ma allora, se consideriamo che talvolta ho avuto più episodi a favore io, altre tu, se ci rimaniamo male per un gol di Muntari non visto come per un gol di Maicon con tanti interisti in fuorigioco (l’anno successivo a quello dell’aiutino di cui parlava De Rossi), perché nel 97-98 hai il sospetto che noi dovessimo “vincere lo stesso” e pensi al “rigore moggio” mentre nel 2007-08 no? Io non lo penso di alcuno dei due anni, ma come mai lo si pensa solo dell’anno in cui alla fine è andata male a noi mentre dell’altro si tende a rimuovere certi episodi? Ora, tu non li hai rimossi, ma riconoscerai che gli episodi del 1998 li vediamo ancora, a vent’anni di distanza (proprio in questi giorni ha luogo il consueto tragicomico giro di interviste a Simoni), mentre del 2007-08 non ricorda nulla nessuno, interessati a parte: se chiedi a un tifoso del Napoli o della Fiorentina di tirarti fuori qualche episodio di dieci anni fa nessuno saprebbe da dove partire, non avendoli mai rivisti. È questa la vera disparità che a mio parere ha falsato la percezione del merito nelle vittorie delle varie squadre e rende complicato per lo juventino ammettere quando c’è un episodio fortunato. Perché il mio dura vent’anni e tutti ricordano giorno, risultato, arbitro e protagonisti, quello altrui rimane un ricordo vago, indistinto, comunque non uno scandalo da perpetuare di generazione in generazione (e io preferisco sia così, sia chiaro!).  Comunque, se parli dell’assoluto bisogno di istituzioni calcistiche autorevoli, qui sfondi una porta aperta: anche sulle note questioni irrisolte, per me le responsabilità sono loro. Fatto sta che passano i minuti, continuiamo a parlare, ma non siamo ancora arrivati al punto: siete primi, imbattuti, senza la fatica di Coppa…

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MD – Eravamo primi anche due anni fa, non imbattuti ma primi ma in effetti la sensazione, questa sensazione è completamente diversa. Ho sempre sostenuto che le squadre dovrebbero riuscire a cambiare e stravolgersi quando le cose vanno bene e non nei momenti negativi. Nel 2010 non accadde e per pura passione, per troppo amore l’Inter vinse e non riuscì a cambiare, non ebbe il coraggio di privarsi di alcuni di quei giocatori meravigliosi ma quasi a fine corsa. La pagammo carissima, l’abbiamo pagata cara per 7 anni tra grandi equivoci e momenti di provvisoria felicità. Ora qualcosa è cambiato e nonostante sia molto presto per parlarne, il tema di fondo mi pare la solidità del progetto sportivo, l’idea che non siano i malumori della piazza a guidare le scelte e nemmeno i capricci della proprietà, quanto piuttosto un disegno di medio-lungo periodo, legato al marchio, alla società, alla maglia e non agli umori del momento e ai capricci dei giocatori. Quel modo e quella possibilità di pianificare che ho sempre invidiato alla Juventus, che nel bene attribuisco alla maturità della tifoseria e nel male alla mancanza di romanticismo, all’incapacità di concepire parabole crepuscolari e parzialmente perdenti, vincolandosi al concetto della vittoria per la vittoria. Kaizen è quella parola giapponese che significa proprio cambiare per migliorare (semplificando il concetto). Sapete farlo bene, non soffrite di nostalgia per i campioni che se ne vanno, guardate con fiducia a quelli che arrivano. Non diventeremo mai quello ma per fortuna ci stiamo spogliando delle nevrosi e dell’instabilità degli adolescenti. Cosa cambieresti della Juventus di quest’anno, pensi che stiate davvero evitando il logorio di questo record mostruoso (i sei campionati), e curando le ferite di due finali perse?

MZ – Hai ragione: bisogna cambiare quando sei ancora al top e non quando è troppo tardi. Ma non è facile e talvolta non basta: alcuni campioni invecchiano e un po’ di fame in meno, dopo così tante vittorie, è inevitabile; al contrario altrove la voglia è sempre crescente, come dimostrano anche i 70mila di San Siro o la concentrazione che il Napoli riserva al campionato, sacrificando qualche energia europea. Al netto di questi processi inevitabili, la squadra è forte, la rosa molto completa: stiamo cercando un equilibrio e dobbiamo assolutamente dare fiducia ad Douglas Costa. È lui il grande investimento estivo, l’idea per diventare più rapidi e imprevedibili in attacco, conseguentemente da lui passerà in gran parte la riuscita della nostra stagione. Per il resto, dietro siamo un po’ più solidi rispetto all’inizio, De Sciglio pare trovare più sicurezza (ma con Perisic di fronte c’è poco da sentirsi sicuri…), i centrali attraversano un buon periodo, Higuain sta bene, mentre Dybala sta cercando di ritrovarsi dopo un inizio fenomenale e qualche battuta a vuoto dopo i rigori sbagliati. Mi hai detto cosa ti piace della Juve, faccio lo stesso con l’Inter: sono uno spallettiano della prima ora, secondo me a Roma ha fatto grandi cose in un momento complicato, quello della gestione dell’addio di Totti. Tanti lo hanno criticato, per me invece è stato bravo, a costo di inimicarsi parte della piazza, ottenendo risultati di tutto rispetto. Apprezzo anche il personaggio, mai a caccia di alibi. Mi è piaciuta anche la società, questa estate: senza inseguire nomi per fare impazzire i tifosi, ha preso chi riteneva fosse utile. Le squadre si fanno così, no? Poi, scommetto che sono banale nel dire che mi piacciono molto Icardi e Perisic, vero? Ecco, dovessi individuare dei possibili limiti dell’Inter ne citerei due: 1) la grande dipendenza da quei due davanti, difficilmente sostituibili se avessero qualche periodo opaco; 2) alcuni limiti negli esterni difensivi: D’Ambrosio Nagatomo, Santon e i due nuovi che si sono visti poco non so se sono all’altezza di una squadra da scudetto. Lo dico premettendo che, almeno a destra, è anche il nostro ruolo più delicato, visto che siamo aggrappati a De Sciglio e alla longevità di Lichtsteiner. Mi sbaglio?

MD – Non sbagli, ma credo che la scommessa sia trasformare quelle debolezze in piccole certezze. Conte fece il miracolo di responsabilizzare giocatori medi e aumentare la loro autostima fino a farli diventare pedine fondamentali. Spalletti sa che l’Inter non farà mercato nemmeno a gennaio e quindi cerca di inventarsene uno di fantasia con quello che si ritrova in casa. Nagatomo, Santon, Ranocchia e alcuni dei talentuosi ma incostanti trequartisti possono diventare un valore se si sentono utili a un progetto.
Spalletti è un buon architetto, sta gettando le basi, tutto sta nella serietà di chi gestisce questa fase di transizione, nella dirigenza.
Io della Juventus temo la cattiveria agonistica e la forza fisica. Poi certo, la qualità, che è grande e troppo spesso diamo per scontata. Temo soprattutto che Matuidi possa rappresentare la quadratura di un cerchio che quest’anno non davo per scontata. Come vedi la Juventus a fine anno, senza scaramanzia?

MZ – Senza scaramanzia, ma è troppo difficile fare previsioni. Dopo sei scudetti (ma anche dopo uno o due) è difficile confermarsi, calcolando che quest’anno le avversarie sono più agguerrite. Ma le potenzialità per riprovarci fino in fondo ci sono. Quanto alla forza fisica, caratteristica di questi nostri ultimi anni, dipende da chi giocherà: nelle ultime settimane, oltre a Pjanic a centrocampo, stiamo giocando con Dybala-Costa-Higuain, guadagnando dal punto di vista tecnico e in velocità ma perdendo in forza e centimetri. Spero che Skriniar e Miranda, due molto fisici, possano soffrire queste caratteristiche, ma per ora non hanno sofferto quasi nessuno. È anche per questo che siete i favoriti, no?

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MD – No, sempre senza scaramanzia non siamo i favoriti. In una partita che non ne ha, credo saranno i dettagli a fare la differenza. L’attenzione in ogni fase di gioco, il controllo dei nervi, la convinzione nei propri mezzi. In questo devo dirti che Skriniar è una sorpresa incredibile, un giocatore che non ci aspettavamo. Maturo, forte e consapevole.
Senti, siamo arrivati alla fine senza insultarci, un esperimento perfettamente riuscito. Tanto da risultare sospetto. Proviamo a farlo cordialmente. Ti dico cosa non sopporto degli juventini, una cosa che dal dì di Ronaldo e Juliano è montata sempre più (tanto da farmi sospettare che sia una reazione, un riflesso condizionato): il dogmatismo. Così, un po’ superficiale e incondizionato, mi pare che spesso i tifosi juventini procedano per luoghi comuni e dati acquisiti, in ogni conversazione gli stessi. Ma temo tu possa dire lo stesso di noi…

MZ – No, degli interisti, sempre generalizzando, non amo l’autoattribuzione di una certa superiorità morale, gli smoking bianchi, il portare la discussione calcistica, innocua e divertente, su un piano di tipo diverso, inevitabilmente sgradevole (se parliamo di Perisic e Dybala e io dopo due minuti dico che tu rubi, vinci per i furti, mentre io sono un santo – pure quando vinco un trofeo con diversi episodi fortunati – il dibattito si arena e va verso altri lidi). È un atteggiamento che non amo in politica, figurati nel calcio. Il tutto unito al vittimismo di chi è riuscito a fare la panolada addirittura negli anni di Mourinho. Parlare di calcio è piu divertente, lì non si litiga mai e i toni rimangono quelli giusti. E, se parliamo di calcio, voi siete primi, imbattuti e favoriti. Te lo avevo già detto?