Quando non basta una netta supremazia territoriale per far davvero male ad un avversario rintanato nella propria trincea, allora scatta il momento in cui ci si affida alla speranza del classico colpo ad effetto, quello capace di sparigliare uno scopone fin qui troppo scientificamente inchiodato dalla paura, innanzitutto, di non prenderle.
La partita ha detto poco, è vero, ma quel poco che ha raccontato non è di certo a sfavore dei nostri beniamini. Un sontuoso Marchisio ha messo la museruola al prode Nainggolan ben prima che quest’ultimo potesse estrarre la sua. Si prospettava come il tema del match, l’arma segreta in possesso dei capitolini capace di far saltare il banco bianconero ed, invece, fin qui, è stata più o meno come una fialetta carnevalesca e, a stento, ci si è accorti della presenza in campo del belga, sistematicamente tagliato fuori dal torinese con secche e precise verticalizzazioni rasoterra a favore dell’Eletto lì a tre quarti. Per il resto, un’attentissima disposizione della fase difensiva, un sacrificio commovente dell’ariete lì davanti e uno stipendio da corrispondere per intero ad un portiere, quest’oggi, in cassa integrazione.
Eh ma non c’è niente da fare. Si scivola verso un nulla di fatto, mentre sullo Stadium aleggia la sagoma del mite Karpov, annoiato come al termine di una delle qualsiasi 104 partite patte col suo storico rivale.
Ecco, forse l’uomo di ghiaccio deve averlo chiamato col pensiero proprio nel momento in cui la stilettata di Pogba ha solleticato lo sguardo del guardiano avversario, sfilando larga sul cartellone.
Non ha preso il giro, maledizione e, come un gattino bagnato, il francese si risistema nel cerchio di centrocampo attendendo la rimessa del portiere.
Il calcio è lungo, così profondo che la squadra avversaria si ritrova magicamente nella metà campo juventina, nonostante fino a questo momento, sarà per il nome dell’avversaria, sarà per i suoi demeriti, tutto il mondo era sicuro si giocasse alla “Romana”. Sta di fatto che la sfera, quando tocca il prato, si trova tra le leve di un centauro giallorosso che, in tre secondi, vuole sfogare con una sgasata tutta la sua frustrazione di una partita sacrificata, partendo all’arrembaggio come il più spregiudicato dei Kasparov.
Ma dove pensi di andare!?. Ecco, la scena l’avrete certamente in mente, ed è presa pari pari a qualsiasi altra in cui un papà trentenne blocca con il piattone il proprio figliolo di quattro anni, intento nei suoi primi passi col pallone tra i piedini. Si, insomma, di quegli interventi nei quali non la si vuol dare per vinta al piccolino, perfettamente consapevoli che dopo una decina d’anni le parti saranno invertite, ma per adesso è cinicamente così.
Eh eh, ma certo non basta un piedone dell’ “Alfiere” per la svolta di una partita ed, anzi, il sol fatto che vi ricordo l’intervento appare, ora, come l’indice più elevato a riprova della pochezza della stessa. Ed invece, col suo terzino tagliato via e fuori posizione, questo è il passo falso decisivo della sfidante, la prima mossa sbagliata su uno scacchiere fin qui pietrificato, in un crescendo di talento che, di lì a breve, troverà la sua sublimazione. La palla è subito servita all’esperto tedescone il quale, accerchiato dagli indiani, chiede il dai e vai alla faccia d’angelo, sicuro del passaggio di ritorno. Lo scavetto con il quale il “Cavallo” irride il tackle deciso del suo dirimpettaio è un pezzo di bravura pronto a cedere il passo a quelli che, in rapida successione, seguiranno, mentre la progressione verso sinistra assume le sembianze di una galoppata, anche se, per la verità, un pochetto appesantita e dall’esito tutt’altro che scontato, visto l’affannoso ritorno dello scugnizzo nella zolla di campo da lui oggi preferita.
“E no, a questo punto ci sono io”, sembra quasi ordinare il maestoso francese, maculato al punto da apparire come un Ghepardo nascostosi fin qui all’ombra di un Baobab nella savana. Al “tu pensa a neutralizzarmi sto pedone alle mie spalle” – il labiale è netto, non facciamo zingarate – il centrale, passandogli davanti, gli sussurra “jawohl” e se lo porta via per prati, invitando il terzino ormai spompato dal desistere da ogni velleità di rimonta.
Nata dal niente e dal tutto, un’azione corale prende forma sul rettangolo verde, ma la degna conclusione è nei piedi fatati dei suoi due interpreti più attesi. Come negli scacchi, dove la “Torre” acquista maggiore potenza sul calar della partita, ossia quando la sua vista non è disturbata da molti pedoni, così Pogba sterza la sua andatura verticale alla ricerca del varco giusto per servire il suo “Re”. Senza meditare più di tanto, il no look del transalpino è per gli inebetiti giallorossi la motivazione di una sentenza. Il controllo d’esterno ed il rapidissimo interno ad incrociare della Joya il suo dispositivo, per uno Scacco Matto (e pazienza se in quell’altro gioco il “Re” gioca in difesa) tanto improvviso quanto voluto.
Perché in quest’azione da manuale, esattamente come negli scacchi, l’aleatorietà è pressoché assente ed in una dozzina di secondi le pedine bianconere hanno dato il massimo in quello che ciascuna di esse meglio sa fare, nella lucida riconcorsa ad un traguardo per tutti ritenuto impossibile fino a due mesi fa.