Stefano non è un 1993 qualunque. Non gli garba la discoteca, non gli garba la serata lunga con drink in mano, preferisce fare nottata al mare: è molto orgoglioso del tonno di sessanta chili che pescò tre anni fa.
Un tranquillo che contagia tranquillità: quando l’allenatore si gira e lo vede in panchina, è certo di poter scegliere una carta importante; come il colore grigio, sta bene su tutto, risponde sempre presente e ad hoc per ogni occasione. Andrea Schianchi de La Gazzetta dello Sport scrive che è l’ingrediente segreto di Allegri, il pasticciere che lo dosa quanto basta.
Il CT dell’Under 21 Di Biagio ne parla come di un Gennaro Gattuso con buona tecnica, ok per centrocampo a tre, quattro o cinque; «Ringhio» ammette, aggiungendo che è molto meglio di lui nell’inserimento e giocoforza una mezzala da sfruttare. Gasperini ben sapeva tutto questo e ostentava una poco credibile sicurezza quando, ormai quattordici mesi fa, dichiarò che Sturaro sarebbe rimasto l’intera stagione a Genova.
E lui? Lui si sentiva Matuzalem. Anzi, si ispirava al compagno Matuzalem. Questo, onestamente, non era un auto-spot da invidia. Poi è arrivata la primavera e ad aprile Stefano ha giocato una partita eccezionale, perfetta, con la casacca bianconera.
A fine stagione, la sua presenza ha contribuito a mostrare una grande Juventus bambina: contro la Sampdoria, al minuto 80, è stato palpitante ammirare gli scambi tra Stefano (’93), Morata (’92) e Coman (’96). Sturaro è da sùbito entrato nella società, nel team, nel gruppo; percepibile dagli sguardi, dai movimenti, dai feedback propri e dei compagni (soprattutto quelli dal peso specifico importante, numerati 10 e 21).
Ruba l’occhio per la prima volta a Platini & co. nella semifinale di Champions contro il Real Madrid: per la sezione dell’almanacco che lo riguarda, è la gara dell’annullamento del gol di James Rodríguez causa suo salvataggio inumano sulla linea; per me è la dimostrazione di poter disputare quella gradazione di match, senza cali di concentrazione, proprio come il dapprima criticato Allegri (che gli dice «Giochi titolare» quarantotto prima di quelle 20:45) credeva fortemente.
Non c’è molto da dire sul suo fisico, già fatto a ventidue anni; se siete malfidati, potete chiedere in giro il numero e telefonare a Képler Laveran Lima Ferreira, noto come Pepe.
Quando Stefano è conscio che qualcosa è migliorabile, inizia a provare, a sbagliare, a riprovare, ad imparare fino a non sbagliare più. Dopo il contrasto di spalla, aggiunge il tackle col rischio; dopo la testa alzata, aggiunge l’appoggio sicuro; dopo la serenità nella conduzione, aggiunge la palla filtrante. E dopo la torta dell’inserimento contro il City, aggiunge la ciliegina della realizzazione contro il Bayern.
Real Madrid e Manchester City hanno constatato in diretta, le altre avversarie d’Europa hanno preso appunti in televisione. Con dovute proporzioni e proprie attribuzioni di contesto, pare il déjà vu del Bonucci-percorso: intempestivamente ed incongruamente stimato dai nostri addetti ai lavori, benché decantato dal miglior allenatore del pianeta calcio.
Ciò detto, per quanto vale, dovessi buttare cinque euro, li scommetterei sulle quote de L’Equipe.