Sindrome del primo della classe

“Tu si’ ‘e Napule e tifi p’a Juve? E comme faje?”.

Eh, come faccio… me lo chiedo spesso anche io, giuro. Perché sta diventando davvero complicato, sapete, amici che leggete queste parole dal resto del mondo? Forse anche più che in tanti altri posti.

Ho provato a chiedere all’INPS se esista una sorta di sussidio, una specie di vitalizio, un reddito di cittadinanza, perché essere juventino a Napoli, soprattutto nell’approssimarsi della sfida dell’anno (cit.), diventa un lavoro usurante, una vera fatica, ma pare che ancora non sia previsto… Strano!

Facebook qualche giorno fa, in quella sua simpatica applicazione con la quale ti riesuma ricordi degli anni passati (anche quelli che hai magari fatto fatica a rimuovere dalla tua testa, ma vabbè), mi ha mostrato una foto di una torta. Era la torta del sesto compleanno di mio figlio, otto anni fa. Era una torta con il logo della Juve e il suo nome scritto con la panna. Nei commenti, pateticamente, avevo scritto che l’aveva scelta lui e forse era vero, ma era anche il periodo in cui avevo un certo ascendente. Oggi, in casa mia ci sono magliette, poster e giornali che mi parlano del Napoli. Ma va bene così, figurati. Mi rendo conto che, oggi, per un adolescente, essere juventino a Napoli è davvero complicato. Significa stare ai margini dal giro degli amici, essere visto sempre con una certa diffidenza, dover affrontare sui social idiozie di ogni genere, dover rispondere a domande “scomode”. Per qualche tempo mio figlio mi ha chiesto se fosse vera la storia di Paparesta negli spogliatoi e se era vero che la Juve comprava gli arbitri… in quel momento, o scattava lo ju29ro che c’è in me, lo legavo alla sedia e gli leggevo tutte le udienze di Calciopoli o me ne uscivo con una di quelle frasi che, se sei genitore, prima o poi ti serve per venire fuori da una situazione: “è una storia lunga, a papà…”. Ecco, le magliette del Napoli sul suo letto fanno capire che strategia ho usato. Ma, giuro, non sono pentito. Se non sei un adolescente dal carattere forte, magari un po’ ribelle, qui ti fanno sentire un “diverso”, quasi in colpa. E se non puoi esprimere a pieno il tuo tifo, che senso ha?

Ecco: esprimere il tifo: ho rischiato due volte la vita al San Paolo ed ho detto: basta così. Aprile 1989, Coppa Uefa, ritorno, al gol di Laudrup regolare, quello che avrebbe cambiato l’intera storia della partita e della Coppa, mi lancio in una lieve contestazione. Da quel momento, vengo fatto oggetto di insulti e minacce e al gol di Renica al 119’ intorno a me si scatena l’inferno… lo stesso accade nel 3-3 del novembre 2011, quello della partita rinviata per troppo sole, salvato da amici tifosi del Napoli che quasi mi tirano fuori dicendo: abbiate pietà di lui, già soffre per essere juventino, compatitelo…

Perché qui possono accettare se sei milanista, anche interista. Ma juventino no. Ed ogni volta, ogni maledetta volta che si avvicina la “sfida dell’anno” (ovviamente per loro) mi chiedo il perché, ovviamente senza trovare risposte.

La storia sportiva racconta di un solo campionato, quarant’anni fa, in cui le due squadre si sono veramente contese lo scudetto, vinto dalla Juve senza alcuna recriminazione, e di una coppa Uefa vinta dal Napoli dopo aver eliminato la Juve ai quarti con un gol regolare di Laudrup ingiustamente annullato. E quando, per qualche anno, il Napoli ha vinto in Italia la Juve non era competitiva, ma chiedere al Milan cosa si prova a perdere uno scudetto per la monetina di Alemao o vincerne un altro perché qualcuno aveva deciso così… insomma: rivalità sportiva… zero!

Provo a porre scherzosamente il quesito ad un vecchio professore di storia della mia città ma lui mi risponde in maniera seriosa con un pippone del tipo: “tu sai che nella canzone “Brigante se more” c’è scritto: Chi ha visto ‘u lupo s’è miso paura, nun sape bbuono qual’è ‘a verità, ‘u vero lupu ca magna ‘e criature, è ‘o piemuntese e l’avimma caccià, è ‘o piemuntese e l’avimma caccià”. Nell’animo napoletano, da qualche parte, è nascosta quell’avversità al “piemontese”, quello che doveva essere uno stato d’animo popolare diffuso nel Sud post-unitario. La Juve, poi, rappresenta il padrone, la FIAT, che ti sfrutta”. Sarà, ma nemmeno mi convince questa versione “storiografica” di questa avversità. E penso che anche il professore ha fatto il suo tempo, in fondo ha una certa età…

E allora, mi torna in mente una versione “psicologica” che mi diede qualche anno fa un amico. La “sindrome del primo della classe” la chiamò. Abbiamo avuto tutti uno in classe bravo in tutto. Ed era lui l’oggetto del nostro livore, della nostra rabbia, qui diremmo del nostro “schifo”. Quello che ti faceva piacere se aveva un “cazziatone” dai professori; quello che godevi se quella volta era, se non impreparato, meno preparato del solito; quello che ti faceva piacere se aveva sei invece del solito nove, anche se tu eri pieno di quattro; quello che, se potevi, cercavi di mettere in cattiva luce con compagni e professori; quello che magari è vero che va bene a scuola ma con le donne è una frana, ma in fondo anche io non è che stia con Miss Italia ma vabbuò, che fa… ecco quello è la Juve per quel mio amico. Quando sei lucido puoi anche pensarlo come un modello, qualcosa da imitare, ma che in assoluto è un male da combattere, perché se non ci fosse lui saremmo tutti sullo stesso livello…

Ecco, mi piace pensare, ogni anno, quando capita questa partita, che il motivo sia proprio quello. La sindrome del primo della classe. Perché anche oggi, in fondo, ci presentiamo a casa loro proprio così: da primi della classe.

Francesco Alessandrella.

La tua squadra del cuore (ovvero perché tifo la squadra che tifo)

Di Andrea Favarin

Tema: la tua squadra del cuore (ovvero perché tifo la squadra che tifo)

Svolgimento.

Signora Maestra, la Juventus è la squadra del mio cuore. E’ anche la squadra del cuore del mio papà. E’ stato lui a farmi vedere le prime partite, di signori grandi ed eleganti con delle belle magliette bianche e nere. Adesso io non so se mi piace la Juventus perché piaceva al mio papà, o se mi piace il mio papà perché gli piace la Juventus. Fatto sta che faccio il tifo per tutti e due.

Il mio papà è un uomo grande e forte. Non ha tanti capelli e la sua testa mi ricorda un pallone da calcio. Forse è anche per questo che mi piace il mio papà. Sa Signora Maestra, il mio papà, quando guardiamo la partita, è sempre molto silenzioso. Quando il tiro di un nostro giocatore (nostro sì, mio e del mio papà) prende il palo o viene parato dal portiere degli altri, il mio papà continua a guardare silenzioso. Io mi arrabbio tanto, perché vorrei che la mia Juve facesse gol. E allora salto, grido, a volte quando voglio tanto tanto che la mia Juve faccia gol, anche piango.

Mi ricordo una volta, che stavamo perdendo contro una squadra che aveva la maglia viola (il nome degli altri non lo ricordo, ma non credo sia importante). Avevano segnato due gol di fortuna e noi nemmeno uno. Il mio papà guardava e stava in silenzio. Io invece piangevo tanto. Poi un signore pelato come il mio papà (forse è anche per questo che mi piace tanto il mio papà) ha fatto due tiri fortissimi e ha fatto due gol! E allora salti di gioia, grida di felicità. Ho continuato a piangere. Ma stavolta perché ero contento. E il mio papà era ancora fermo in silenzio (Signora Maestra, posso assicurarle che non era morto, sta benissimo e ieri mi ha accompagnato a prendere il gelato).

Poi un signore coi capelli lunghi (il mio papà quando era piccolo aveva i capelli lunghi, forse è anche per questo che mi piace tanto il mio papà) ha fatto un gol incredibile!!! Un pallone alto alto che sembrava non venisse più giù, lui la prende al volo e la palla va in gol! Quanto contento ero Signora Maestra! Anch’io, come i nostri giocatori, correvo avanti indietro, urlavo e mi buttavo a terra! Il mio papà era sempre fermo lì. Subito dopo il gol, prima di impazzire di gioia, l’ho guardato il mio papà. Era sempre fermo, silenzioso (Signora Maestra, le assicuro anche che il mio papà non è muto e neanche invalido. Mi ricordo ancora tutte le parole che mi ha detto quando ho rotto il finestrino della macchina col pallone cercando di fare un tiro fortissimo come quel signore pelato. Per fortuna corro già più forte di lui, altrimenti Signora Maestra sai le mazzate). Ma gli è comparso per poco tempo un sorriso. Poi fermo e silenzioso come prima.

Io non so cosa vuol dire questo Signora Maestra, ma quel giorno ho imparato che qualsiasi cosa succeda, un tifoso della Juventus, non deve fare troppi versi. Adesso sono un po’ più grande e il mio papà non lo vedo tanto spesso. Quando però gioca la nostra Juve, viene a prendermi con la sua macchina (ha aggiustato il finestrino intanto) e guardiamo la partita insieme. Lui sempre fermo e silenzioso. Spesso sorride. A me piace guardare le partite con lui. Sono diventato anche più tranquillo. Ho imparato da quel giorno che qualsiasi cosa succeda, un tifoso della Juventus non fa versi come i tifosi delle altre squadre (i neri e i blu piangono sempre, insieme a quelli viola che però non vedo in giro da tanto tempo. Anche quelli rossi e neri mi sembrano un poco tristi ultimamente. Quelli azzurri e gialli e rossi li vedo in estate tanto tanto felici ma poi in primavera si arrabbiano sempre tanto e se la prendono con me e mi dicono che rubo. Boh, non ho mica capito Signora Maestra, cosa gli avrei rubato, ma vedo che dopo che me l’hanno detto si sentono meglio e festeggiano).

Sono sicuro che qualsiasi cosa succederà anche le cose più brutte come perdere finali, campionati e anche se dovessimo andare in Serie B (ma non succederà mai) io sarò sempre col mio papà a guardare la nostra Juve. E pazienza se qualche volta urlerò, griderò, mi butterò a terra, piangerò. Ci sarà sempre il mio papà, fermo, silenzioso, spesso sorridente a insegnarmi che “un tifoso della Juventus, non fa versi come i tifosi degli altri, perché noi, abbiamo uno stile che nessuno ha”. Anch’io non ho capito bene cosa è di preciso questo stile. Ma noi ce lo abbiamo e gli altri no. Signora Maestra sono quasi sicuro che mi piace la Juventus perché assomiglia tanto al mio papà.

Voto: 3. L’alunno divaga dal tema assegnatogli, parlando più del suo papà che della sua squadra del cuore (che poi non capisco come l’alunno in questione, possa non tifare per la squadra della sua città). La Maestra Concetta Esposito