E’ da poco passata la mezz’ora e Jakub Jankto ha già freddato lo Stadium con la complicità di Buffon. Su uno dei pochi palloni decenti (diciamo pure l’unico) toccati da Mario Mandzukic, Stephan Lichtsteiner si presenta a tu per tu con Karnezis: la posizione è leggermente decentrata sulla destra ma, da lì, si presume che un giocatore di Serie A riesca quanto meno a centrare la porta. E, invece, sfidando praticamente ogni legge della fisica, Lichtsteiner riesce nell’impresa di colpire l’esterno della rete con uno sbilenco interno destro che gira dalla parte sbagliata.
Un’occasione che griderebbe ancora vendetta, se Paulo Dybala non provvedesse poi a ristabilire l’ordine naturale delle cose. Far cadere nel dimenticatoio tutto il resto, però, costituirebbe un errore più grave di quello del terzino svizzero. Il quale, negli anni, a fronte di mezzi tecnici non propriamente di livello ha supplito con impegno, abnegazione, corsa e sacrificio, risultando sempre tra i più continui e concreti nell’arco di una stagione. Quante volte, a fronte delle critiche di chi (me compreso) ne evidenziava i limiti di tocca in fase di rifinitura della manovra, sono arrivate le (giuste) levate di scudi al grido di “eh, ma Licht corre come un matto e dà sempre tutto in campo”. Vero, verissimo. Così come è altrettanto vero che il #26 incarni perfettamente l’anima operaia della Juve.
Ecco, forse il punto è proprio qui. In quell’anima operaia, perfettamente incarnata dallo svizzero, di cui ci facciamo giustamente vanto ma che, talvolta, ci limita in quel che potremmo fare. La gara con l’Udinese ha mostrato, in tal senso, il rovescio oscuro della medaglia. Sia chiaro, non si chiede il bel gioco (quello non è e non sarà nel nostro DNA, almeno finché, per dirla alla Chiellini, si privilegerà la solidità e la difesa dell’1-0 alla ricerca del secondo e terzo gol), ma almeno di non lasciare all’Udinese il dominio della nostra trequarti negli ultimi minuti, senza riuscire a completare due passaggi in fila. Perché poi, se arriva il golletto stile Frosinone 2015, se si cerca un colpevole “tanto vale guardarsi allo specchio” (cit.).
Sia chiaro, la sofferenza finale di ieri non è certo da imputare a Lichtsteiner quanto, piuttosto, a quel che lui rappresenta (alla stregua di un Mandzukic e – per lo scrivente – dello stesso Chiellini), quell’essere operaio sempre e comunque anche quando non servirebbe, anche quando la partita si può vincere per manifesta superiorità tecnica, fisica e psicologica. In molte Juventus del passato, anche recente, Stephan avrebbe tranquillamente trovato posto: in questa, francamente, è di troppo. E non se ne faccia un discorso relativo alle ultime vicessitudini di mercato. Una squadra che dovrebbe, nelle intenzioni, imporsi con una precisa idea di gioco costruita sulla tecnica superiore dei suoi interpreti, non può (più) permettersi uno che, con l’Udinese in vantaggio a casa tua, colpisca l’esterno della rete a tre metri dalla porta. Grati, gratissimi per quel che ha dato e che darà di qui alla fine della stagione.
Ma poi si deve voltare pagine. Negli uomini e nella mentalità. Perché essere operai va bene. Esserlo troppo, fino a schierarsi 5-4-1 contro Thereau e Zapata, certamente no.
Claudio Pellecchia
Evra, la mutazione: le statistiche in Juventus – Udinese
Non più di una ventina di giorni fa su queste pagine abbiamo parlato di Evra contro la Dinamo Zagabria, del suo progressivo quanto fisiologico calo di rendimento dal punto di vista della corsa e del contributo in fase offensiva e di cosa lo Zio Pat può ancora dare a questa Juventus. Sabato sera contro l’Udinese abbiamo visto un Evra diverso, ed analizzare nel dettaglio la prestazione dell’ex United apre a interessanti riflessioni sul suo futuro prossimo. Diamo uno sguardo alla sua partita.
Le due heatmap di cui sopra sono fondamentali per comprendere quanto il passaggio al 4-4-2 e il grande lavoro di Alex Sandro in fase difensiva abbiano giovato al terzino francese. Com’è facile notare, contro l’Udinese Sandro si è mosso in maniera del tutto simile alle gare precedenti quando interpretava il ruolo di unico tornante nel 3-5-2; il brasiliano ha giostrato praticamente sempre larghissimo, in entrambe le metà campo, a differenza del dirimpettaio Cuadrado che ha occupato prevalentemente la metà campo avversaria come un canonico esterno del 4-4-2. I movimenti di Sandro hanno permesso a Evra di:
– non doversi spingere sino alla linea di fondo per andare al cross, fondamentale delegato al compagno di fascia;
– stazionare in un’area di campo più centrale rispetto a quella comunemente occupata da un terzino ed aiutare maggiormente i centrali in fase di non possesso.
A questi assunti vanno abbinate le eccellenti statistiche difensive di Patrice, il miglior difensore bianconero sabato sera per valutazione e terzo migliore assoluto, dietro a Sandro e al MOM Dybala. Evra è stato il migliore in campo per tackle effettuati e riusciti, 4 tutti a buon fine, e per respinte difensive, addirittura 10 (ora quando serve la spazza 😉 ), e ha vinto 6 duelli sui 9 disputati.
Questi numeri, uniti alle osservazioni di cui sopra relative alla posizione in campo, lo candidano prepotentemente a un posto da titolare per la trasferta di Lione, sarebbe la terza gara di fila nell’11 iniziale in Champions League. Il vecchietto Patrice ancora preferito al giovane Sandro? Non è detto che non li vedremo insieme, magari con Evra vice-Chiellini sul centrosinistra della difesa a 3 e il carioca restituito al ruolo di tornante sinistro. La trasformazione in difensore centrale, già paventata al termine dello scorso anno, potrebbe diventare realtà nel corso della stagione. Noi comunque i nostri due centesimi li giochiamo ancora sul numero 33.