Una nuova bomba giudiziaria è deflagrata nelle scorse ore in casa bianconera: la Procura di Torino, nell’ambito di un’indagine iniziata lo scorso maggio e denominata PRISMA, ha dato mandato alla Guardia di Finanza di acquisire documenti nella sede della Juventus in relazione a tre anni di operazioni di mercato. Tra gli illeciti ipotizzati, falso in bilancio e false fatturazioni. Ad essere indagati, oltre alla società, vi sono i vertici dirigenziali del triennio 2019-2021, tra cui Andrea Agnelli, Pavel Nedved e Fabio Paratici.
In base alle prime informazioni emerse, l’indagine della Procura di Torino riguarderebbe prevalentemente l’ipotizzato abuso da parte della Juventus delle c.d. plusvalenze gonfiate e i relativi effetti distorsivi sul bilancio societario.
Tale indagine rischia di avere ricadute multiple in capo alla società bianconera.
Ricadute innanzitutto penali, con un ormai probabile rinvio a giudizio da parte della Procura di Torino, e amministrative, con l’eventuale irrogazione di sanzioni da parte della Consob, ossia l’autorità amministrativa indipendente che svolge attività di vigilanza sulle società quotate in borsa come la Juventus.
Infine, l’indagine avrà quasi inevitabilmente ricadute anche dal punto di vista della giustizia sportiva.
Da questo punto di vista, è circostanza nota da diverse settimane che la Covisoc (organo interno alla FIGC, composto principalmente da esperti di materie commerciali e tributarie, che esercita funzioni di natura prevalentemente consultiva) avrebbe trasmesso alla Procura FIGC un report avente a oggetto 62 operazioni di calciomercato concluse tra il 2019 e il 2021, considerate sospette in quanto frutto di una ipervalutazione del valore dei giocatori coinvolti. Ben 42 di queste operazioni riguarderebbero giocatori ceduti o acquistati dalla Juventus.
Con questo articolo si cercherà di fare un po’ di chiarezza proprio sull’indagine della Covisoc e sulle sue possibili ripercussioni esclusivamente dal punto di vista della giustizia sportiva e sulla eventuale natura illecita delle plusvalenze gonfiate.
Chi segue le vicende calcistiche italiane sa bene che la pratica di gonfiare il valore dei giocatori per “sistemare” i bilanci è ormai estremamente diffusa, tanto che nessuna squadra che abbia transitato nei maggiori campionati di calcio possa dirsi del tutto estranea a essa.
Con questo breve articolo non si vuole certamente giustificare tale pratica, né tantomeno negarne l’esistenza.
Piuttosto, l’obiettivo è fare il punto su una questione fondamentale: da un punto di vista del diritto sportivo, è lecito gonfiare le valutazioni dei giocatori? Esiste una norma o principio giurisprudenziale che limiti e ponga vincoli alle società di calcio?
La risposta che spesso si è sentita dare a tale quesito è che le società sarebbero completamente libere di valutare i propri giocatori come meglio credono e che non esistano vincoli in tal senso.
A parere di chi scrive ciò non è del tutto vero.
Sul tema, un importante spunto può essere fornito dal più illustre precedente giurisprudenziale in materia, ossia quello del Chievo Verona.
Nel 2018 la società veronese, insieme ad altre squadre tra cui il Cesena, venne coinvolta in un’indagine della Procura Federale per una vicenda di plusvalenze fittizie, finalizzate a far risultare un patrimonio superiore a quello effettivo e a ottenere la licenza per l’iscrizione ai campionati 2015/16, 2016/17 e 2017/18 in assenza dei requisiti previsti dalla normativa federale.
In quegli anni, il Chievo Verona avrebbe effettuato scambi alla pari di giocatori dal curriculum tutt’altro che di primo livello, attribuendo loro valutazioni milionarie. L’incongruità del valore attribuito ai giocatori era testimoniata dal fatto che gli stessi, una volta acquistati/ceduti, venivano impiegati poco o nulla e/o venivano quasi immediatamente ceduti in prestito a società di serie minori.
All’esito del procedimento, conclusosi nel febbraio 2019, la società clivense è stata sanzionata con 3 punti di penalizzazione e il suo presidente inibito per 3 mesi.
La pronuncia del Tribunale Federale deve essere considerata di assoluta rilevanza in quanto individua la norma che, seppure indirettamente, vieterebbe le plusvalenze “gonfiate”.
Si tratta in particolare dell’art. 19 dello Statuto FIGC, ai sensi del quale: “Le società professionistiche sono assoggettate alla verifica dell’equilibrio economico e finanziario e del rispetto dei principi della corretta gestione, secondo il sistema di controlli e i conseguenti provvedimenti stabiliti dalla FIGC, anche per delega e secondo modalità e principi approvati dal CONI”.
La pronuncia in esame prende inoltre una posizione significativa nello stabilire quando una valutazione deve ritenersi “gonfiata”. Si riporta di seguito il passaggio più significativo:
“Se, da un lato, può essere vero che la circostanza che tali operazioni, inserendosi in una contrattazione di libero mercato, non sono ancorate a fattori valutativi normativamente predeterminati, appare altrettanto evidente che, poiché idonei ad influire positivamente su dati di bilancio che, ai sensi di legge, devono essere basati su criteri di veridicità, correttezza e prudenza, l’evidente sopravvalutazione dei calciatori, unitamente alle concrete modalità di utilizzo degli stessi, all’ anomalo sostanziale inutilizzo di gran parte degli stessi (che venivano immediatamente trasferiti ad altre Società di serie minore localizzate il più delle volte nell’area geografica coincidente con quella della Società cedente), all’assenza di contratti di natura economica stipulata fra i calciatori e le Società e, soprattutto, l’elevato valore di compravendita, non comportante, tuttavia, alcun esborso economico, ma solo rilevantissimi effetti finanziari soprattutto se rapportato ai prezzi di cessione di altri giocatori professionistici di ben altra indubbia caratura sia dalla parte del Chievo che dalla parte del Cesena conducono a ritenere raggiunta la prova degli illeciti contestati dalla Procura Federale”.
In sostanza, i valori dei giocatori ceduti possono ritenersi “apparentemente sovrastimati” ogni qualvolta i medesimi calciatori vengano:
- utilizzati poco o nulla dalle squadre acquirenti;
- immediatamente trasferiti ad altre società di serie minori (spesso geograficamente vicine alla società cedente);
- ceduti nell’ambito di scambi di altri giocatori senza un corrispondente esborso economico, nonostante l’elevato valore dell’operazione;
- valutati in modo incongruo rispetto ad altri giocatori “di ben altra indubbia caratura” trasferiti nello stesso periodo e dalle stesse squadre.
Pur muovendo da tali premesse, tuttavia, all’epoca il Tribunale Federale non poté fare altro che constatare l’assenza, nell’ordinamento sportivo, di “parametri certi di riferimento o unanimemente condivisi in ordine all’oggettivo valore dei diritti di cessione di un calciatore in quanto frutto di una libera contrattazione fra le parti”.
In ragione di tale rilievo, il collegio giudicante ridusse drasticamente le sanzioni richieste dalla Procura Federale, limitando a 3 (contro i 15 chiesti dalla Procura) i punti di penalizzazione per la società clivense.
Il club veronese venne comunque condannato sulla base del rilievo che gli amministratori del club, “resisi conto” che il valore oggettivo del calciatore non corrispondeva a quello oggetto della precedente contrattazione, avrebbero dovuto procedere alla “svalutazione” a bilancio del calciatore, in conformità ai principi di corretta gestione economico-finanziaria della società.
Al di là del corto circuito logico di tale ultimo passaggio (da un lato si afferma che non esistono parametri oggettivi di valutazione, dall’altro si chiede agli amministratori di procedere alla svalutazione a bilancio dei propri giocatori qualora dimostrino di non “meritare” la valutazione originaria), è indubbio che tale pronuncia offra spunti interessanti, dal momento che:
- individua la norma potenzialmente contravvenuta in caso di plusvalenze gonfiate;
- in qualche misura attribuisce ai giudici sportivi la facoltà di valutare la congruità dei valori attribuiti ai giocatori, determinando parametri da usare quale riferimento.
A parere di chi scrive i criteri utilizzati dal Tribunale Federale nel caso del Chievo Verona sembrano ancora lontani dall’essere applicabili al caso della Juventus (o delle altre squadre coinvolte nel report della Covisoc).
Nel caso della Juventus, infatti, vengono coinvolti, nella “peggiore” delle ipotesi, giocatori nel giro di nazionali giovanili e delle squadre “primavera” di società di campionati di massimo livello.
Al contrario del caso del Chievo Verona, peraltro, le operazioni citate dalla Covisoc non sono state a “saldo zero”, ma hanno spesso previsto un conguaglio economico da parte di una delle due parti, come negli affari Danilo-Cancelo o Arthur-Pjanic.
La vicenda del Chievo Verona presenta inoltre alcune peculiarità che sembrano essere del tutto assenti nel caso delle società coinvolte nel report della Covisoc. Su tutte, il fatto che le plusvalenze registrate dalla società veronese avevano il precipuo scopo di ottenere la licenza per l’iscrizione al campionato di serie A, necessità che certamente non può essere ravvisata in capo a compagini come la Juventus.
Infine, nel caso del Chievo Verona era stata trovata la “pistola fumante”: la natura fittizia delle plusvalenze era stata provata anche attraverso alcune intercettazioni telefoniche tra i dirigenti delle società coinvolte dal contenuto inequivocabile. Questa circostanza, risultata decisivo per la condanna della società veronese, appare un elemento di continuità con il caso della Juventus, dove pare siano state effettuate estese intercettazioni telefoniche dalle quali emergerebbe la piena consapevolezza da parte dei vertici bianconeri circa la non totale liceità della loro condotta.
In conclusione, pur in mancanza di chiari riferimenti normativi e pur con tutte le sue specifiche peculiarità, il caso Chievo Verona offre le basi interpretative che potrebbero indurre la Procura federale a deferire, nei prossimi mesi, le società coinvolte e ad aprire un procedimento a loro carico.
Ad oggi il rischio di deferimento (ossia di “rinvio a giudizio”) della Juventus e dei suoi dirigenti da parte della procura federale deve ritenersi molto alto (quasi certo a parere di chi scrive).
Per quanto riguarda l’eventualità di una condanna, invece, data la estrema complessità giuridica della vicenda, si può dire che il rischio sia tutto sommato moderato, dal momento che la procura federale e i giudici sportivi saranno chiamati a un esercizio di interpretazione “creativa” non indifferente.
Difficile esprimersi su “cosa rischia la Juventus”, domanda ormai diventata un meme. Dovendosi basare sul precedente Chievo Verona, si potrebbe ipotizzare una possibile condanna a scontare alcuni punti di penalizzazione.
Chiaramente la valutazione di cui sopra è basata sulle poche, pochissime, informazioni disponibili ad oggi. La presenza di ulteriori condotte illecite oltre a quella delle plusvalenze gonfiate potrebbe infatti rendere l’impianto accusatorio ben più grave.
Antonio Santini.