Ultima lettera a Mario Mandzukic

Alzi la mano chi oggi, 11 aprile 2018, sbalordirebbe all’ipotesi di un addio estivo di Mario Mandzukic. Fra problemi fisici, panchine, sostituzioni e partite scialbe la sensazione è che negli ultimi due mesi si sia visto un Mario diverso, forse già con la testa altrove.

Per trovare l’ultima partita giocata per intero bisogna risalire a Juve-Atalanta di Coppa Italia, 28 febbraio. Gli ultimi 90 minuti in campionato sono addirittura quelli di Fiorentina-Juve, 9 febbraio. Un’eternità per un giocatore che viene da una stagione da inamovibile (quasi 4000 minuti).

Da allora, tra le altre cose, ricordiamo la sostituzione nell’andata contro il Tottenham, l’infortunio a Wembley, la panchina contro il Madrid. E l’ultima rete in tutte le competizioni risale addirittura al 3 gennaio.

Chi scrive è uno juventino da salotto, uno di quelli che, secondo la vulgata, non può apprezzare a pieno l’impatto del croato sulle partite. En passant, devo dire che l’ho anche visto giocare allo stadio (tre volte) e mai ne sono rimasto folgorato – ma questa è un’altra storia. Eppure, persino guardandolo dalla televisione, non si può negare che Mandzukic sia un animale diverso dagli altri.

Non è un Dybala, per il quale si usano locuzioni come “periodo di appannamento”, “al di sotto delle sue potenzialità”. Non è uno di quei giocatori per i quali il tifoso ricorre alle vecchie cantilene da bar sport tipo la “panchina che gli farà bene”. Mandzukic è uno che, finché si è sentito al centro del progetto, ha sempre giocato.

Soprattutto è sempre stato un leader emotivo di questa squadra, un uomo in grado di interpretare i momenti delle partite, gestire le energie e salire di tono quando necessario, qualità che gli hanno risparmiato decine di sostituzioni in frangenti in cui il suo contributo effettivo alla causa era ridotto ai minimi termini.

Vederlo così a terra, anche in quei 20 minuti pietosi all’andata contro i blancos, mi fa pensare che in questo momento Mario non si senta più al centro del progetto. Probabilmente ha dato alla Juve tutto ciò che poteva dare, incluso il “sacrificio” tattico per tornare al ruolo che ricopriva 8 anni fa a Wolfsburg, ricevendo tra l’altro tantissimo in cambio – non so in quante altre big d’Europa avrebbe potuto sentirsi ancora titolare alla soglia dei 32 anni, soprattutto dopo la brutta chiusura dell’esperienza all’Atletico.

E allora mi viene da fantasticare che l’unica cosa che la Juve può chiedergli ancora, prima di salutarsi e proseguire ognuno per la sua strada, è una partita senza senso al Bernabeu. Una partita incosciente, con quel tasso di agonismo che in rosa solo lui e Matuidi possono darci.

Il Real Madrid giocherà senza Sergio Ramos, non solo un grande difensore centrale, ma anche uno degli avversari più maliziosi che abbiamo incontrato in questi anni. Mandzukic allora deve avere come missione quella di far pesare tutta la differenza di esperienza e cattiveria con chiunque giochi al posto di Ramos. Contendere tutti i palloni, far sentire l’avversario a disagio, metterla sul piano dell’intimidazione fin dal primo minuto. Forse è una delle cose che ci sono mancate a Cardiff, sicuramente ci è mancata in casa una settimana fa. E poi segnare uno di quei gol sporchi, di testa, di fisico, in scivolata, quelli che Higuain non farà mai.

Questo è ciò che gli possiamo chiedere, questo è ciò da cui non possiamo prescindere per provare a fare una bella figura: un’ultima partita da indiavolato, con un’intensità fuori dal normale. Anche per trascinare i compagni dai piedi buoni e convincerli che bisogna credere fino in fondo a quel dribbling, a quel passaggio filtrante. Convincerli a mettere quella palla tagliata sul secondo palo, anche se gli sembra troppo lunga. Tanto Mario ci arriva.

Davide Rovati.

Salvate il soldato Dybala

dybala smile

Dybala non fa la differenza in Europa” è uno degli slogan più inflazionati del periodo; revisionismo dei media e degli antijuventini, utilizzato ad arte per evidenziare l’enorme divario tra la Juve e il Real Madrid in termini di talento ed insistere così sul mantra “In Italia fenomeni, in Europa agnelli“, dicono alcuni juventini; verità oggettiva, asseriscono altri, juventini e non, per giustificare le sconfitte sonore di Allegri con un gap troppo evidente per essere colmato dall’allenatore i primi, per evidenziare la relatività della forza dei bianconeri altri.

 

Provando a ragionare sull’efficacia della sentenza e sul suo valore di giudicato, sul punto non si hanno risposte definitive. Nessuno conosce il futuro, si puo’ ricostruire meramente il passato.

 

Personalmente su Paulo Dybala, da tifoso del calcio, prima che della Juventus, ho due certezze: tendo a distinguere il Dybala giocatore dal Dybala attaccante. Il Dybala giocatore in champions non è lo stesso della Serie A. In una partita ad alto ritmo emergono i suoi difetti: monopiede, egoista in un ruolo, quello del raccordo, che richiede ordine, velocita’ di pensiero e doti di regia, lento sul lungo, incapace di partire da lontano, soffre la fisicità dei mediani e dei centrali altrui quando si deve destreggiare nel traffico, non resiste insomma ai contatti;non appare un giocatore autosufficiente, alla sostanza. Volendo fare un paragone con un giocatore del passato recente, è inferiore a Tevez, che, seppur poco ordinato nel distribuire gioco, era come individualita’ eccezionale nel partire da lontano, una bomba.

 

Il Dybala attaccante invece fa già la differenza. Gol al Bayern di Guardiola, doppietta al Barcellona di Messi, gol al Tottenham di Pochettino. Dybala in partite dove la struscia poco si dimostra comunque freddo davanti al portiere, e questo fa di lui un grandissimo attaccante.

 

Volendo trovare un appunto, una nota stonata, non riesce a dominare ancora contro le squadre inferiori, come fa in Serie A. Le peggiori partite di Dybala in maglia bianconera in Champions appaiono senza dubbio quelle disputate contro lo Sporting Lisbona e l’Oly quest’anno, contro il Siviglia l’anno scorso e contro il Gladbach due anni fa. Match in cui, per vero, la stessa Juve ha fatto fatica a dimostrare la propria schiacciante superiorità.
E pazienza se contro il Real non riesce a tirare in porta. Il Real annichilisce tutti i giocatori offensivi del periodo in champions. Si basa su cinque giocatori (4 in linea più Casemiro) che se giocano concentrati sono insuperabili; fisici, freschi, rapidi e veloci, intimidiscono e non si fanno intimidire, affrontano ogni situazione con la calma dei forti.
Non va dimenticato, invero, cosa ha fatto il Real all’attacco del PSG; i francesi arrivavano tranquillamente sulla trequarti per poi sbagliare sempre la fase di rifinitura e conclusione. E questo avviene perchè, come ai tempi di Nesta e Maldini, è nata una difesa superiore alla norma nelle individualità, capace di affrontare situazioni di parità ed inferiorità numerica contro qualsiasi attacco quando è motivata e concentrata.
Il PSG ha creato molto contro il Real, ma non lo ha fatto con i suoi giocatori stellari, bensi’ giocando sull’unico punto debole di un simile organismo difensivo cosi’ forte negli uno contro uno: densità sul lato palla, cross sul lato opposto, inserimento della mezzala o addirittura del terzino sul secondo palo e occasioni a gogo, perlomeno potenziali. Lo ha fatto potremmo dire tatticamente. Noi siamo stati più timidi sotto questo punto di vista. Non avevamo mezzali e i nostri terzini a spingere sono incapaci.

 

Tornando all’argentino, emerge sicuramente un percorso da compiere. Non tutti sono Messi o Del Piero che già da giovani fanno la differenza nei big match (ah cosa sarebbe stata la carriera di Alex senza quel maledetto crack).

 

Lo stesso Cristiano Ronaldo, il marziano, prima di cominciare a dominare la Champions ha perso, si è infranto contro il muro del Milan di Ancelotti, ha giocato partite mediocri. Non ha mai smesso di credere nelle sue enormi potenzialità pero’, si è trasformato nel tempo, da ala prolifica a centravanti totale. Ed è dall’esempio di Cristiano che Dybala deve partire per costruirsi un’immagine internazionale di grande giocatore. Per me Paulo Dybala puo’ diventare uno dei primi tre attaccanti del mondo, puo’, non lo è ancora.

 

Per chi scrive, come punta, siamo ad una categoria diversa da Zlatan Ibrahimovic, altro campionissimo discusso per la sua poca familiarità con la Champions. Se vogliamo, Zlatan è stato in questo rovinato dalla stessa Juventus che lo ha costruito come attaccante; ha perso in fantasia per diventare pratico ed efficiente; ma quando uno è costruito e non ha un talento naturale nel far gol, a certi livelli si nota. Zlatan era un meraviglioso rifinitore, una spalla, da accentratore, da Messi, ha fallito ovunque sia andato. Le palle gol le ha sempre create e mai realizzate.

 

Paulo invece i gol li segna e contro squadre nettamente superiori alla Juventus, è freddo, segna anche quando soffre, come già sopra osservato. Appartiene alla categoria degli eletti, di quelli che in questa coppa possono recitare un ruolo fondamentale, da attore protagonista, non da spalla, da punta traducendo sul campo la metafora cinematografica.

 

Ed è proprio su questo aspetto che vale la pena di soffermarsi; Dybala appare oggi di fronte ad un bivio e deve prendere una direzione: centravanti di manovra, seconda punta se la prima lavora per lui, oppure giocatore totale, catalizzatore della manovra offensiva e se rimane il tempo goleador, partendo da più lontano. A parere di chi scrive è un giocatore che è più facile impostare da centravanti a cui chiedere prima di tutto i gol. Come 9 ha un repertorio sconfinato. Puo’ segnare da fuori area, è rapido, scaltro, freddo in area, riesce ad eseguire ciò che pensa, dandogli la libertà di movimento davanti ma come unico riferimento centrale può rivelarsi imprendibile ed illeggibile, quasi mortifero, per le difese in linea moderne. Deve migliorare sulla lettura dei cross, nel colpo di testa (non è questione di centimetri) e in generale nell’acrobazia per diventare un centravanti completo. Mentre invece come giocatore a tutto tondo ha troppi difetti soprattutto atletici secondo me difficilmente migliorabili.

 

Questo discorso si riflette anche sulla Juve. La coppia con Higuain non funziona ad alti livelli e ormai il dado è tratto e definitivo. Non si completano e non giocano uno per l’altro (e questo potrebbe essere anche colpa dell’allenatore, non solo delle caratteristiche), e tra Higuain e Dybala non vi è nessun dubbio su chi sia il giocatore su cui puntare.

 

Tutto quanto premesso, Paulo Dybala è un grandissimo attaccante, fa vincere i campionati, in champions se ha la palla giusta fa gol; non si vede pertanto la ragione delle critiche piovute dopo la partita contro il Real. Non è pronto per dominare il mondo da solo, deve crescere, ma queste cose si sapevano già. La Juventus rimane un club ed una squadra forte, con giocatori forti, semplicemente tatticamente mal costruita e non pronta per vincere la Champions. Esattamente come il suo numero dieci. Ma non è distruggendo lo stesso che si cambiano le cose. Si riparta dall’unico dato inconfutabile: quando ha la palla fa gol!

 

Di Federico Cardaci