Il 2019 ha almeno un giorno di festa in più rispetto ai 4 anni precedenti. Negli anni passati, come noto, si festeggiavano Capodanno, Pasquetta, il 25 Aprile, il 1° Maggio, i Santi, Natale, S. Stefano e, decisamente con più enfasi, l’uscita dalla Champions della Juve.
In quei giorni – su, si vive una volta sola! – ci si lascia un po’ andare: cibo, entusiasmo, fuochi d’artificio.
Magari a volte si esagera, ma è salutare scatenarsi ogni tanto, eccedere, dimenticare le regole per le occasioni speciali.
Ebbene, quest’anno, a sorpresa, si aggiunge un giorno di più: il 30 gennaio, l’uscita dalla Coppa Italia.
Così, all’improvviso, a un mesetto dal Natale, rieccoci con champagne che scorre a fiumi e ci rende più ingenui, meno razionali ma finalmente liberi di sfogarci e dire qualunque idiozia ci venga in mente, in privato o, peggio, sui social.
Siamo usciti dalla Coppa Italia. E per noi questa Coppa, dopo averla inseguita senza troppo convinzione per 20 anni (!) e averla vinta di fila 4 volte, ormai era soprattutto la finale, perché era scontato arrivarci, una serata routinaria con aperitivo a Ponte Milvio, partita, Coppa al cielo, cena sul Lungotevere (ieri mia moglie mi chiedeva sorpresa e delusa: “quindi quest’anno non c’è la festa di maggio?”).
Non so a voi come sia andata, ma che l’alcol sia grondato lo so perché mi sono ritrovato messaggi di interisti felici perché non facciamo il Triplete (rigorosamente maiuscolo), altri interisti che mi scrivevano che sognavo da sempre il Triplete (maiuscolo) e ora fingo che non me ne freghi nulla, altri interisti che mi mandavano le foto del Triplete (maiuscolo), ricordandomi che resterà solo loro.
E per carità, io capisco tutto, ma dopo sette anni e mezzo (sono tanti, eh, circa 2500 giorni, non scordiamolo), dopo un inizio di stagione in cui la Juve ha fatto 19 vittorie e 2 pareggi in 21 gare mentre la loro squadra è reduce dalla zuccata decisiva di Izzo, dopo una serie di zuccate e pedate che l’hanno portata fuori dalla Champions e dalla lotta per il titolo, questi impazziscono di gioia per l’uscita dalla Coppa Italia che ci impedirà di “vincere il Triplete” (“vincere il Triplete”, dicono proprio così).
Poi mi hanno scritto dei tifosi napoletani, i quali, anch’essi reduci da quei 2500 giorni così e così, e già fuori dalla Champions, staccati in campionato, eliminati la sera prima, hanno ritenuto di celebrare una serata magica perché la Juve,dopo cinque anni, non vincerà la Coppa Italia.
Mi hanno scritto i milanisti, 2500 giorni tosti pure loro, comprensibilmente su di giri per l’accesso alle semifinali e l’esordio di Piatek e, so che non ci crederete, mi ha scritto un caro amico romanista (!), per lui i giorni così e così sono un po’ di più di 2500, per dirmi che “noi siamo delle pippe, ma se uscite con l’Atletico avete fatto peggio di noi”. Cioè, la stessa sera di un ritorno alle tradizioni con un 7-1 a Firenze, staccato di non so quante decine di punti in campionato, mi ha scritto un amico romanista per avvisarmi dei miei prossimi fallimenti.
In tutto questo, non si rendevano neanche conto che, dopo tanti anni, una squadra era finalmente riuscita a darci un dispiacere e non era nessuna delle loro, bensì l’Atalanta, quella che per loro si scansa quando affronta la Juve.
Galoppava, l’alcol, eccome se galoppava!
Lo so che ci rode sempre perdere, eh. Ci rode molto perdere 3-0, e ci rode uscire dalle competizioni. Siamo preoccupati, perché la squadra è senza idee, produce poco e rischia troppo per le sue qualità, so perfettamente che Allegri deve rapidamente trovare un assetto più convincente perché va bene il periodo, i carichi di lavoro, gli infortuni, quello che vogliamo, ma (“dillo, dillooo”, ecco, ora lo dico) non si può giocare così male. E lo so, a proposito, che gli infortuni sono un problema sul serio, la vera questione che oggi mi preoccupa, so bene che oggi Benatia servirebbe (ma vuole andarsene da questa Juve e, nostra regola aurea, allora addio), che già l’Atletico è tosto, ma se lo affrontiamo con dei rincalzi in difesa le speranze crollano vertiginosamente. E so pure che, se le reazioni sono state così isteriche per la Coppa Italia, per la Champions scenderanno in piazza sul serio come fosse un loro trofeo.
So tutto questo e so anche che per avere i like oggi dovrei scrivere tutt’altro e ma la verità, e io devo raccontare quella, è che ieri non conta già più niente. Che mi spiace per mia moglie, che si era abituata a vedere alzare quella coppa a fine maggio e a quella cenetta allegra con amici sparsi che quel giorno ci vengono a trovare da tutta Italia, ma la sconfitta di ieri non mi interessa già più. Che sono preoccupato perché la squadra oggi proprio non c’è, e chissà se ci sarà tra venti giorni, tra un mese, tra due, ma al tempo stesso eccitato di vivere, 2500 giorni dopo, una stagione così, in cui se qualcuno ci batte è festa nazionale. In cui se Mourinho vince una partita inutile si festeggia perché “Tripleteee”, se dopo due mesi usciamo in Coppa Italia si scatenano tutti e non possiamo “vincere il Tripleteee”.
Ma il punto è che, come sappiamo, il triplete non esiste, né maiuscolo né minuscolo.
E che vorrei tanto vincere l’ottavo scudetto, per far sì che quei 2500 giorni diventino quasi 3000, e per me è ancora tutt’altro che scontato che ci riusciamo (dobbiamo andare a Napoli, Milano, Roma, Genova con la Samp, ecc). Che il sogno è andare avanti in Champions, magari arrivare in finale, magari per una volta vincerla pure, ma la strada è lunga e tortuosa sin da subito, contro una squadra fortissima e tosta. Che dobbiamo toglierci quest’ansia che ci porta all’isterismo dopo ogni sconfitta (gli isterici devono essere sempre gli altri, dopo 2500 giorni così e così glielo dobbiamo concedere), che ci fa considerare ogni trionfo come obbligato e ogni giornata negativa come una tragedia.
Che voglio rivedere presto, caro Max, non la Juve di Roma o quella di Londra dello scorso febbraio, che vincono quasi per caso, ma la Juve di Valencia di questo inizio stagione, che domina in 11 e vince bene pure in 10, senza alcuna ansia anche dopo un’espulsione surreale del più atteso, perché vuole semplicemente dimostrare di essere più forte delle altre.
E siamo forti, caro Max, eccome se lo siamo. È il momento di ricordarcelo e tornare a dimostrarlo.
Il Maestro Massimo Zampini