Caro Zlatan buon viaggio. Dicono che sei in partenza per Los Angeles e che andrai lì a “miracol mostrare”, ad imporre i tuoi piedoni un po’ croati e molto svedesi, la tua capacità atletica, la schiena che non si spezza. Scrivo con lo sguardo rivolto ad un po’ di anni fa, quando prendesti le valige e in mezzo all’estate decidesti di voltare le spalle. Hanno raccontato che lo facesti spalleggiato dal tuo manager, alzando i toni, fregandotene dell’amicizia di Nedved e dei consigli di tutti quei tifosi che in mezzo all’uragano speravano solo di uscirne vivi. Andasti all’Inter per una somma che fece poca plusvalenza ed insieme con la cessione di Vieira dimostrò un passaggio di testimone, una perdita di potere e forza che uccise tutti i nostri sogni sotto l’ombrellone. Poi certo non è colpa tua se venne investito un ragazzino di belle speranze cercando in lui, Raffaele Palladino, un tuo erede. Era un tempo così. Chissà le risate che ti sei fatto. Chissà quanto poi hai brindato e ballato andando al Barcellona, alla corte di Messi, per vincere quello che sembrava a portata di mano. Anche lì spiegano che tradisti, anche se lo facesti con sommo gaudio del milanese neroazzurro, visto che gli diedero indietro Eto’o e un mucchio di milioni.
Averti visto giocare e vincere con quella maglia, caro Ibra, ha segnato però il rapporto con lo sport, con l’acquirente di biglietti e partite in tv. Inutile ogni sforzo di riferire una storia diversa, condita di passione e gesti tecnici, dribbling e colpi ad effetto. Il tuo passaggio in maglia blaugrana è stato come quello di quel difensore ucraino difficile da scrivere e quasi impossibile da pronunciare. Arrivaste insieme e dovevate dare i muscoli ad un 11 che se ne fregava. Dopo non ricordo quale vittoria Guardiola ha chiarito che non serviste, alla fine. Il tuo ritorno in Italia, caro Ibra, sponda Milan, fu uno dei tanti miracoli di Adriano Galliani pagati da Silvio Berlusconi. Nel giro di una manciata d’incontri scrollasti di torno qualche chilo in più e ricominciasti a dettare gioco. Questo era il tuo giardino di casa e sapevi importi in provincia come in città, mettendo sull’attenti difensori che tornavano ad essere spietati di fronte ad Amauri o Diego da Cunha, juventine illusioni di allora. Hai vinto ancora un campionato. Il mister era Massimiliano Allegri e pare che litigaste spesso perché se non c’era lui o voltava le spalle tu non davi il meglio, per così dire.
La favola milanese, con San Siro plaudente e Milanello ai tuoi piedi è finita quando da Parigi un direttore francese che conoscevi per il passaggio juventino ti chiese di palleggiare sotto la Torre Eiffel. Dopo ancora un paio di campionati da Manchester il signor Mourinho ha fatto schioccare le dita, insieme con l’agente un po’ italiano e molto olandese e tu hai ancora cambiato indirizzo e ti sei vestito di rosso. Eppure pare che avevi detto ai tifosi dell’Ajax “mai più in rosso”. Anche questo aspetto è tralasciato in quel film che va adesso sulla tua storia. Nel Los Angeles Galaxy troverai spazio e tempo per sbalordire ancora? Certamente. Certe cose non si dimenticano, anche dopo tanto tempo passato in infermeria od agli ordini di quel Josè che ti ha sedotto e abbandonato ancora una volta. Lui ha vinto e rivinto quella coppa che ti manca. Forse per sempre. Proprio come all’amico Pavel. Solo che per il nostro eroe-dirigente ceko è una bella storia da raccontare, di quelle che fanno sognare i bambini davanti al fuoco, la sera di Natale. La tua vicenda, caro Zlatan, è quella di uno che esce per comprare le sigarette e non torna più a casa. Leggenda vuole che un presidente molto criticato provò a convincerti. Eravate in un bel ristorante. Arrivò anche il direttore generale francese e quando questo spiegò che non si doveva perdere tempo tu facesti dire al procuratore che potevi andare. Fossi rimasto a Torino, nel posto dove ti piaceva fare la spesa e andare a prendere i bimbi a scuola forse poteva esser diversa la tua carriera? Forse. E’ il guaio di chi vince le battaglie e perde di vista l’obiettivo finale.
Simone Navarra.