Le domande non sono mai indiscrete. Le risposte lo sono, a volte.
Oscar Wilde
C’è probabilmente una domanda che gira nella testa di Medhi Benatia e nella nostra da sabato sera, dopo l’intervista concessa alla trasmissione RAI Calcio Champagne e bruscamente interrotta in seguito a un insulto che il giocatore ha sentito in cuffia.
Il video è abbastanza chiaro: Benatia sta parlando, sente qualcosa in cuffia, qualcosa diretto a lui, un insulto che i telespettatori non possono sentire (non è uno di passaggio che gli urla per capirci) e chiede logicamente spiegazioni.
Qua accade una cosa strana… prima di provare a capire cosa sia successo, qualche ospite in studio si discolpa senza richiesta, in seguito Benatia chiarisce parlando di “insulto” (“marocchino di m…”), poi la conduttrice Sabrina Gandolfi taglia molto corto e saluta il giocatore “c’è qualche interferenza” che è l’equivalente del “s’è schiacciata una valvolina” dei meccanici di una volta, buona per ogni occasione.
Siamo nell’era dei social, quindi prima che Eraldo Pecci possa partorire una delle sue abbacinanti battute, la notizia dell’accaduto si è già sparsa per tutto il web.
Partono le prime reazioni: Marco Mazzocchi dal suo profilo twitter chiede giustamente di non saltare a rapide conclusioni. Molti utenti gli chiedono di rapidamente di fornire delle spiegazioni, altri di fare cose irripetibili, soprassediamo.
Domenica, 12:53: comunicato dell’ufficio stampa RAI: le frasi razziste non sono state pronunciate da dipendenti RAI.
Un po’ poco sinceramente, soprattutto per un’azienda come la RAI sempre attenta alla sensibilità delle minoranze come nel caso del tweet di Marchisio durante Inter Juve (ritorno della semifinale di Coppa Italia) in cui accusò il telecronista di essere un non vedente, dopo un’ammonizione a Zaza (quella sera in effetti i telecronisti RAI diedero il meglio di se dimostrando di avere qualche diottria in meno del normale… non si offendano i miopi Link1 Link2).
In quel caso si mosse addirittura L’USIGRAI (Unione Sindacale Giornalisti Rai) per richiedere le scuse ufficiali al giocatore dal momento che le sue parole avevano “offeso una intera comunità, quella dei ciechi, oltre che un collega che stava svolgendo come sempre in maniera professionale il proprio lavoro” e chiudeva il comunicato così “Ci auguriamo che Juventus, Lega Calcio e Figc prendano provvedimenti, per render chiaro che i valori della sport nulla hanno a che vedere con questi linguaggi”.
Lodevole, non c’è che dire. Per questo ci saremmo aspettati nel caso di frasi chiaramente razziste delle spiegazioni più dettagliate, una ricerca dei colpevoli più serrata, anche perché è evidente che non stiamo parlando di 1000 persone che hanno accesso alle linee audio interne. Il numero di coloro che può aver pronunciato quella frase è necessariamente ristretto, scoprire l’autore di un simile gesto è semplice come capire chi ha mollato in un ascensore condominiale…
A questo punto, secondo la RAI, il colpevole dev’essere qualcun altro impegnato nei collegamenti audio/video che partono dallo Juventus Stadium verso l’esterno. Qualche dipendente della società bianconera o che lavora per una delle ditte a cui la Juventus FC appalta il servizio.
Domenica, 20:30: comunicato della Juventus FC in cui si rigetta formalmente la spiegazione fornita dalla RAI e avanzata da qualche giornalista sui propri profili social in quanto “Tale circostanza è fattualmente incredibile e tecnicamente inverosimile, poiché la linea audio (n-1) parte direttamente dalla sede Rai di Milano e arriva sugli auricolari. La produzione in loco, infatti, non interloquisce con l’ospite.”
In pratica nessuno può intromettersi nella linea che collega lo stadio con la sede RAI di Milano se non i tecnici RAI stessi.
Questi i fatti. Alla Juventus non è piaciuta la maniera sbrigativa con cui la redazione della tv di stato ha cercato di chiudere la cosa, ne tantomeno lo scarica barile messo in atto e auspica che le indagini (manco fosse un intrigo internazionale) possano portare prontamente a individuare il responsabile.
Come dicevamo è impossibile che non si riesca risalire a quanti potessero avere accesso alle linee dedicate per le interviste.
La regia RAI le assegna prima della diretta e sa benissimo in qualsiasi istante chi può avere accesso a cosa. A ognuno è assegnato un microfono e nell’auricolare possono entrare solo un numero di segnali ben definiti e prestabiliti. In quello di Benatia è entrato per forza di cose il segnale di uno di questi microfoni, lo ripetiamo definiti prima e assegnati a persone precise.
C’è anche un altro fatto che solleva il dubbio: il modo sbrigativo con cui la conduttrice saluta Benatia in mezzo all’imbarazzo generale degli ospiti in studio che corrono a scusarsi ancora prima che il giocatore stesso parli di insulto. L’impressione (sottolineiamo impressione) è che loro abbiano sentito qualcosa che a casa non è arrivato. Quei 40 secondi di video sono abbastanza strani; se hai problemi di collegamento cerchi di sistemarli, non di mandare via frettolosamente l’ospite collegato.
Come finirà? Non lo sappiamo. Di certo non convincono le scuse della RAI, lo scarica barile, le spiegazioni che non spiegano e il desiderio di chiudere sbrigativamente la questione senza andare fino in fondo. Emerge un quadro di pressappochismo e scarsa professionalità, oltre alla mancanza di rispetto mostrata al giocatore Benatia.
Ovviamente sono cose che possono succedere (come dimenticare l’eroe che diede del pirla a Suma, o quell’altro disse accusò Mosca di comprare la cocaina in Piazza Aspromonte a Milano e che venne arrestato nel tempo di uno spot pubblicitario, però parliamo di reti private locali) ma in RAI comincia ad essere un vizio, e se pensiamo alla gestione della faccenda è decisamente peggio la toppa del buco.
Di certo le domande poste dalla Juventus FC non sono indiscrete. Le risposte fornite sì e pure incomplete e inadatte.
Noi di Juventibus attendiamo e nel frattempo cantiamo a squarciagola il pezzo di Renato Zero… e mentre impariamo anche la coreografia suggeriamo un nuovo claim per la tv di stato: RAI. Di tutto. Di più. Di ogni.