Avere 3 punti in più dopo Roma-Juve è sempre bellissimo. Anche in anni in cui la rivalità è finalmente meno velenosa e dunque l’ispirazione per una nuova edizione di un sonetto complottista viene meno; anche se sei sopra 2-0 dopo dieci minuti, con gol nati da una punizione e un rigore senza nemmeno una contestazione, una protesta, negandoci perfino il minimo sindacale di un “sapete solo rubare”, insomma togliendoci pressoché tutte le soddisfazioni che solitamente accompagnano i nostri successi all’Olimpico, vincere qui è comunque difficile quanto divertente.
E’ una squadra strana, la Juve di quest’anno: prima dell’inizio non sai mai che partita aspettarti. Di più: non sai cosa aspettarti neanche dopo un bel quarto d’ora che produce due gol di scarto e quindi teoricamente le condizioni perfette per i 75 successivi tra possesso e ripartenze. E stavolta, dopo un residuo di primo tempo discreto, quello che ci aspetta è una Juve sempre più bassa, un po’ per contenere e un po’ perché c’è pure l’avversario che fa un gol, grazie al Var qui funzionante e in quel momento mi è chiarissimo che le possibilità son solo due, perché tanto così non finisce: o facciamo il terzo gol o pareggia la Roma e rimpiangeremo questi due punti perduti per qualche timore di troppo.
E invece ovviamente finisce proprio 2-1 e si susseguono, nell’ordine, a) grande gioia e abbracci, perché vincere a Roma è sempre bellissimo e la gioia viene prima di tutto, b) qualche riserva sulla gestione di una partita contro un avversario forte, ma in discesa dopo dieci minuti, con il pensiero che a volte ancor più del gioco manchi un uomo di grande carattere in mezzo che prenda la squadra in certi momenti della partita e la allontani dai pericoli, c) interdizione nel vedere ancora una volta come i legittimi dubbi sull’atteggiamento e certi errori di troppo (quante urla, da casa, sui troppi passaggi sbagliati da parte di Pjanic, Cuadrado e nel finale anche di un Rabiot autore fin lì della prima partita davvero convincente) per alcuni miei cotifosi vengano prima della gioia per una vittoria così complicata e importante, più o meno come l’anno scorso dopo Napoli, quindi non è neanche più un discorso di antiallegristi o antisarristi, perché gli 8 scudetti di fila sono fantastici e irripetibili ma producono anche questo, l’”anestetizzazione” della felicità per sostituirla, ancor prima del fischio finale, con una severa analisi sui motivi per i quali la Juve, 48 punti nel girone al nono anno da prima della classe, non abbia distrutto la Roma all’Olimpico senza soffrire neanche un po’.
Come spesso accade il calcio, in un solo weekend, ci riempie di tante cose, alcune belle, altre brutte, altre ancora divertenti e basta.
Le brutte, si sa, riguardano Zaniolo e Demiral, a terra doloranti e disperati, le lacrime agli occhi, lasciandoci intuire da subito un referto, anche se di medicina non capiamo nulla e stavolta neanche ci affidiamo ai responsi solitamente tragici di google: vediamo le espressioni e comprendiamo che li rivedremo l’anno prossimo, e spiace sempre ma ancora di più quando due giovani si stanno imponendo e devono interrompere tutto per ricominciare presumibilmente in estate. Avete tempo e qualità, forza e coraggio a tutti e due.
E verrebbe voglia di prendersela con la geniale idea di giocare due partite di cartello della serie A nello stesso stadio a un giorno di distanza, più o meno come noi giochiamo da sempre nello stesso campo di calcetto un’ora dopo l’altra, e probabilmente avremmo anche qualche ragione, se non corressimo il rischio di emulare le cose più divertenti del weekend, cioè il comico tentativo di tanti tifosi interisti, più o meno illustri, di trovare un frame, un tocco, una spinta che permetta loro di definirsi vittime anche stavolta, perché il ruolo del carnefice lo respingono per definizione (basti vedere le reazioni quando si nominano alcuni episodi della Champions 2010, del campionato vinto sulla Roma al fotofinish nel 2008 o meglio ancora certe telefonate al tempo dimenticate da chi di dovere): l’Inter è vittima o comunque, al più, se proprio, non ha avuto alcun indebito vantaggio, anzi, ora che ci penso, “come mai ha fischiato la fine a 93.53 invece di 94”, quando stavamo per impostare dalla difesa l’azione del 2-1?
E così, spiacendosi per le cose brutte, liquidando con una risata le vicende più divertenti, rimangono quelle belle, anzi bellissime. Come vincere a Roma, che è sempre stupendo, anche mille vittorie e otto scudetti dopo.
Il Maestro Massimo Zampini.